Una sentenza della Corte suprema spagnola ha chiesto pene altissime per i secessionisti. Ma le ragioni della protesta risalgono a prima del referendum del 2017 indetto da Carles Puigdemont: dallo statuto degli anni Settanta alla consultazione referendaria del 2014
A due anni dal referendum che chiedeva l’indipendenza della Catalogna, la Corte Suprema spagnola ha annunciato condanne durissime per i leader separatisti, scatenando proteste che hanno portato al blocco dell'aeroporto di Barcellona e a scontri con la polizia. Anche la squadra di calcio del Barcellona ha preso una posizione netta: "Oggi è stata resa pubblica dallo Stato spagnolo una sentenza del tribunale equivalente a attacco diretto ai diritti umani", ha detto il tecnico Pep Guardiola. (LE FOTO DELLE PROTESTE) Nel quadro delle proteste c’è un nuovo mandato di cattura internazionale per Carles Puigdemont, da due anni rifugiato in Belgio. Ma anche per il suo vice Oriol Junqueras, leader di Esquerra Republicana de Catalunya, arriva una condanna da 13 anni, da scontare nella prigione catalana di Lledoners, dove è già rinchiuso da due. Poi condanne da 9 a 12 anni per altri esponenti secessionisti come Jordi Turull, Raül Romeva, Dolors Bassa, Carme Forcadell, Josep Rull, Joaquim Forn, Jordi Sànchez e Jordi Cuixart. Ma quali sono gli avvenimenti che hanno portato alle proteste del 14 ottobre?
Le radici storiche
Le contee della regione catalana risalgono all’epoca Carolingia, ma il cosiddetto catalanismo - la lingua, la bandiera, l’inno nazionale della Catalogna - esplode durante il franchismo. Quattro anni dopo la morte di Franco, nel 1979, il nuovo statuto della Catalogna riconosce alla regione lo status di comunità autonoma all’interno della Spagna. Nel 2006 lo statuto di Sau viene rinnovato: la nuova versione, lo statuto di Miravet, estende i poteri della comunità soprattutto in campo finanziario e contiene un riferimento alla regione catalana come 'Nazione' ma solo nel preambolo, mentre nel testo vero e proprio viene eliminata una espressa definizione in questo senso (ragione per cui il nuovo statuto superò il test del referendum ma non piacque, per ragioni opposte, né agli "unionisti" del Partido Popular né agli autonomisti di Esquerra republicana).
Le prime proteste
Nel 2010 una sentenza mette in discussione per la prima volta l’autonomia catalana. Il Tribunale costituzionale spagnolo dichiara incostituzionali diversi articoli dello statuto del 2006, evidenziando specialmente il punto in cui la Catalogna viene definita una "nazione". La sentenza però non piace ai catalani che, il 10 luglio 2010, scendono in piazza a Barcellona per una grande manifestazione contro la presa di posizione del Tribunale costituzionale. Lo slogan della protesta è proprio "Som una naciò, nosaltres decidim" ("Siamo una nazione, e vogliamo decidere") e trova seguito in quasi tutti i partiti politici del Parlamento catalano. La manifestazione tuttavia non ha cancellato la sentenza e la ferita è rimasta aperta.
Il referendum del 2014
La richiesta principale di molti catalani è quella di poter gestire direttamente le proprie risorse economiche, senza dover passare per il governo centrale di Madrid. Questo non piena indipendenza della Catalogna, ma maggiore autonomia in chiave federalista. Nel novembre 2014 il presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, indice un referendum "informale" sull’indipendenza. L’affluenza alla consultazione è stimata intorno al 36% degli aventi diritto e l'80% dei votanti si esprime a favore dell'indipendenza. Tuttavia il voto non ha alcun valore legale, e viene dichiarato anche questo illegittimo dal Tribunale costituzionale.
Il parlamento indipendentista
Ma il sentimento indipendentista si rafforza nella regione con il passare degli anni e alle elezioni del 2015 il parlamento catalano registra una forte maggioranza di indipendentisti: ci sono i 62 di Juntos per Catalogna ai quali si sommano i 10 del Cup. Si avvia così una lunga trattativa con il governo centrale di Madrid, nella speranza si ottenere maggiore autonomia, ma non si raggiunge alcun accordo. Si arriva così al 2017, anno in cui la situazione degenera in scontri frontali con il governo spagnolo.
Cosa è successo nel 2017
Il 13 marzo 2017 l’ex presidente della Generalitat, Artur Mas, viene interdetto dalle cariche pubbliche per due anni per aver indetto il referendum del 2014. Il 9 giugno il presidente allora in carica Carles Puigdemont risponde annunciando un nuovo voto sull’indipendenza e fissa la data: il primo ottobre. Il 6 settembre la decisione è confermata dall’approvazione della legge del parlamento catalano che convoca il referendum sull’indipendenza. Il giorno dopo arriva subito un’altra alzata di scudi dalla Corte costituzionale spagnola che sospende la convocazione del voto popolare. Ma sembra che i catalani non vogliano arrendersi e il 23 settembre il ministero dell'Interno spagnolo assume il coordinamento delle forze di sicurezza. In pochi giorni arriva l’ordine della Corte costituzionale di sequestrare i locali dove si dovrebbe votare.
Il referendum del primo ottobre
Nonostante la chiusura di molti seggi e lo schieramento della Guardia civil, due milioni e 200mila catalani scelgono di votare lo stesso. Ci sono tensioni e scontri con la polizia, e alla fine il sì registra il 90% delle preferenze. Il giorno dopo il presidente Carles Puigdemont chiede una "mediazione internazionale", ma il 3 ottobre arriva l’accusa del re Felipe che chiede di rispettare l’ordine costituzionale e accusa i leader indipendentisti di spaccare la società catalana. Il primo effetto delle tensioni interne sul mercato è il trasferimento di 1200 aziende in altre sedi della Spagna. L’8 ottobre una manifestazione a Barcellona chiede l’unità della Spagna e il dialogo.
L’ultimatum di Rajoy e gli arresti
A una settimana dal voto, Puigdemont, pur riconoscendo di aver ricevuto il mandato per formare uno Stato indipendente, propone di sospendere gli effetti del voto per favorire il dialogo. La risposta del premier Mariano Rajoy l’11 ottobre è la richiesta di un chiarimento entro 5 giorni: Puigdemont deve dire se ha dichiarato l’indipendenza. Il 21 ottobre Rajoy chiede l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione, con il quale di fatto blocca l’autonomia della Catalogna. Passa una settimana e il Parlamento catalano approva una mozione per l'indipendenza: il Senato spagnolo dà il via libera all'applicazione dell'articolo 155. Ma il 30 ottobre Carles Puigdemont e altri quattro membri della Generalitat devono rifugiarsi in Belgio e il 3 novembre viene emanato un mandato d'arresto europeo.
La vicenda giudiziaria di Puigdemont
La prima udienza per l’estradizione di Puigdemont si tiene il 17 novembre. Il 4 dicembre c’è la seconda udienza, poi rinviata al 14. Ma il 5 dicembre a sorpresa la Corte suprema Spagnola ritira la richiesta di estradizione. Tuttavia per l’ex presidente della Generalitat non è ancora finita: a marzo 2018 viene arrestato e messo in stato di fermo in Germania. A luglio però la situazione si sblocca di nuovo: il giudice del Tribunale Supremo di Madrid, Pablo Llarena, decide di ritirare il mandato di cattura internazionale nei confronti dell'ex presidente catalano e di altri cinque dirigenti separatisti all'estero. Poi, il 14 ottobre 2019 le condanne per i leader indipendentisti e il nuovo mandato d’arresto internazionale per Puigdemont.