Tunisia, l'oasi di Gabès è distrutta dall'inquinamento: divampano le proteste

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Ad infiammare le proteste nella regione di Gabès guidate dal collettivo Stop Pollution, il ricovero quasi simultaneo di 122 persone per intossicazione da fumi tossici. I tunisini chiedono al governo la chiusura degli impianti del Gruppo chimico tunisino 

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Le proteste nel sud della Tunisia sono cominciate il 10 ottobre. All’inizio sono state poche centinaia le persone scese in strada per denunciare l’aumento di casi di asfissia legati all’inquinamento ambientale causato dal Gruppo Chimico Tunisino (GCT). In poco meno di due settimane, però, la partecipazione è aumentata trasformandosi nella più grande mobilitazione ambientale mai registrata nella storia del paese. Da fonti locali si apprende che nella città di Gabès, martedì 21 ottobre, sono state registrate all’ultima manifestazione più di 100mila presenze. 

Le manifestazioni nella regione di Gabes

Dopo il ricovero, quasi simultaneo, di più di un centinaio di pazienti per intossicazione da fumi dall’inizio del mese, il 10 ottobre il collettivo Stop Pollution ha organizzato un sit-in per discutere della situazione e organizzare una mobilitazione. Per cercare di intervenire in maniera tempestiva sulle fughe di gas, il presidente Kais Saied ha inviato a Gabès una squadra congiunta dei ministeri dell’Industria, delle Miniere, dell’Energia e dell’Ambiente e ha rimarcato l’urgenza di predisporre un piano per tutelare la popolazione e l’ambiente della regione: "sin dal 2013 i cittadini, gli studiosi e i giovani della zona di Gabès hanno elaborato un programma per porre fine al disastro ambientale" ha dichiarato il presidente che ha anche denunciato la cattiva gestione del complesso chimico, ricordando che "attrezzature acquistate nel 2017 per miliardi di dinari giacciono inutilizzate". Le proteste non si placano e continuano ad intensificarsi dal sud del paese fino alla capitale, dove, come di consueto sulle scale del teatro municipale che si trova nel cuore di Tunisi si sono riunite centinaia di persone. 

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Teenagers hold a large banner reading ''stop pollution in Gabes, stop pollution everywhere, save Gabes'' while shouting slogans during a mass protest that brings together thousands of residents in Gabes, Tunisia, on October 15, 2025, to protest and demand the dismantling of the units of the Tunisian Chemical Group (GCT). The mobilization comes after a surge in cases of respiratory problems, poisonings, and illnesses affecting students at a middle school located near the phosphate processing plant, sparking anger among a population exposed to chemical risks for more than fifty years. In 2017, Tunisian authorities promise the gradual dismantling of the polluting units of the Gabes chemical complex following strong protests against pollution. However, this decision is never fully implemented, and the population continues to suffer from massive pollution. (Photo by Chedly Ben Ibrahim/NurPhoto via Getty Images)
Tunisia, 21 ottobre 2025

La risposta d’emergenza del governo tunisino

In risposta alle proteste della popolazione che chiede la chiusura degli impianti del Gruppo chimico tunisino (Gct), durante la plenaria del  20 ottobre all'Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp), il ministro tunisino delle Infrastrutture e dell'edilizia abitativa, Salah Zouari, ha spiegato che "i numerosi progetti ambientali avviati anni fa per un valore superiore a 200 milioni di dinari (circa 60 milioni di euro al cambio attuale) non sono stati ancora completati, contribuendo all'aggravamento della situazione ambientale". In questo contesto, il ministro ha illustrato alcuni dei principali progetti volti a ridurre le emissioni tossiche delle unità produttive del Gct, tra cui: uno per la riduzione delle emissioni di anidride solforosa dalle unità che producono l’acido, un secondo per il miglioramento del lavaggio dei gas di ammoniaca dalle unità di produzione di fertilizzante Dap (fosfato biammonico) e un terzo per l'utilizzo della tecnica di doppio assorbimento e recupero di calore nella seconda unità di produzione di acido solforico, con un costo di 154 milioni di dinari. Zouari, ha comunicato anche la decisione di interrompere lo scarico in mare del fosfogesso e ha proposto l'istituzione di un "bacino controllato" destinato al recupero e al riciclo di tale materiale. Per adesso, però, questi restano soltanto progetti sulla carta e i tunisini sono restii a credere che gli obiettivi prefissati possano essere raggiunti. Per comprendere la gravità della situazione occorre fare un passo indietro e andare al 2018, ovvero a quando la Commissione Europea ha pubblicato uno studio sull’impatto dell’inquinamento industriale e sull’economia nella regione di Gabès. Dal rapporto che conta più di 170 pagine emergono, infatti, dati preoccupanti. Ogni anno è stato calcolato che il GCT scarica nel mar Mediterraneo circa cinque milioni di tonnellate di fosfogesso, sottoprodotto tossico dell’acido fosforico. L’inquinamento dell’acqua e della terra ha devastato non soltanto l’ecosistema e la sua biodiversità ma ha anche generato un impatto negativo sulla salute umana, sul turismo, sulla pesca e sull’agricoltura nell’intera regione. “Oltre il 95% dell'inquinamento atmosferico proviene dalle fabbriche di GCT” si legge nel rapporto. 

Tunisia, 21 ottobre 2025
Tunisia, 21 ottobre 2025

Dalle misure di emergenza agli obiettivi di lungo periodo del Governo

Le misure che il ministro Zouari sostiene di dover adottare devono però fare i conti con quanto è stato deciso all’inizio di quest’anno. In un comunicato pubblicato a marzo sul sito ufficiale del Governo tunisino, infatti, si legge: “Un consiglio ministeriale ristretto (CMR) che si è tenuto presso il Palazzo del Governo a Kasbah, sotto la presidenza del capo del governo, Kamel Madouri, ha consentito l'adozione del futuro programma per lo sviluppo, la produzione, il trasporto e la lavorazione del fosfato per il periodo 2025-2030 e l'istituzione di un meccanismo permanente per monitorarne l'attuazione.” Durante la riunione, la Ministra dell'Industria, delle Miniere e dell'Energia, Fatma Thabet Chiboub, ha presentato i programmi e i piani d'azione dei vari attori del settore dei fosfati e ha evidenziato i principali risultati attesi nell'ambito del futuro programma, specificando che “il rafforzamento del tasso di produzione avverrà gradualmente nei prossimi anni, con l'obiettivo di raggiungere 14 milioni di tonnellate all'anno entro la fine del 2030”. 

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Residues from chemical plants in the Ghannouch industrial zone in Gabes in southeastern Tunisia, flow toward the Mediterranean sea, on May 22, 2025. In southern Tunisia's Gabes, a vast phosphate-processing plant has been pumping toxic gases and waste into the open air and sea, and locals have long decried living under heavy pollution as their city hosts one of the country's largest chemical plants. After government promises to gradually dismantle the plant in 2017, Tunisia is now seeking to ramp up phosphate production by nearly fivefold, further angering the population. (Photo by MOURAD MJAIED / AFP) (Photo by MOURAD MJAIED/AFP via Getty Images)
Gabes, Tunisia

L’audit ambientale e sociale condotto da GCT

Lo stabilimento del Gct non dispone di un sistema di monitoraggio permanente per la qualità dell'aria e dell'acqua. Sono state riscontrate carenze nel rispetto dell'uso dei dispositivi di protezione individuale, nonostante siano disponibili, e l'assenza di programmi di formazione continua in materia di salute e sicurezza sul lavoro. La gestione dei rifiuti, sia pericolosi che non, presenta carenze strutturali, ha evidenziato la squadra di audit ambientale e sociale condotto a giugno dallo stesso Gct, che ha evidenziato l'assenza di meccanismi di tracciabilità e registri aggiornati. Le misurazioni acustiche effettuate nel sito hanno rivelato che in diverse aree adiacenti al polo industriale del Gct si registrano livelli ben superiori alle soglie normative di esposizione al rumore con una media giornaliera di 85 decibel (DbA), equiparabile al rumore prodotto da un treno in corsa e poco meno di quello registrato in una discoteca.

Cosa c’entra la Cina in questa storia

In merito alla questione, il ministro tunisino delle Infrastrutture ha discusso sabato 18 ottobre con l'ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Tunisia, Wan Li. L'incontro ha avuto come focus la riabilitazione delle unità di produzione del Gct di Gabès nella zona di Chott Essalem. Questo sito, infatti, sarebbe il principale responsabile del deterioramento degli ecosistemi marini e della qualità dell'aria. Di fronte alla rabbia delle comunità locali e alla moltiplicazione delle proteste, lo Stato tunisino ha deciso di accelerare la ricerca di soluzioni sostenibili. In questo contesto si inserisce la possibile cooperazione con Pechino, che potrebbe apportare tecnologie avanzate di depurazione industriale. Secondo un comunicato del ministero, i colloqui hanno riguardato la partecipazione di imprese cinesi alla modernizzazione degli impianti, in particolare per quanto riguarda il trattamento delle emissioni tossiche, la filtrazione dei gas e la gestione dei rifiuti industriali.

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A picture shows on July 20, 2017 the state-owned Tunisian Chemical Group (GCT)'s phosphate processing plant close to the Chott Essalem beach and in front of a rare coastal oasis in Gabes. - The authorities say the plant pumps 14,000 tonnes of phosphogypsum into the sea every day. On top of the toxic mud, the factory also pumps phosphoric acid into the air. (Photo by STRINGER / AFP) (Photo by STRINGER/AFP via Getty Images)
Gabes, Tunisia

Il simbolo della modernità che ha avvelenato un’intera regione

La “Chernobyl della Tunisia”: questo il soprannome di Gabès (che un tempo era un’oasi incantevole) che oggi si legge sugli striscioni delle manifestazioni. Tutto è iniziato negli anni Settanta, precisamente nel 1972, ovvero nell’anno di costruzione del polo del Gruppo chimico tunisino. Il nuovo progetto industriale avrebbe dovuto creare posti di lavoro e giovare all’economia locale attraverso la trasformazione dei fosfati – essenziale per l’agricoltura intensiva - in fertilizzanti da esportare. La realtà si è però rivelata ben diversa e il sogno di un futuro prospero si è trasformato in un incubo senza fine a causa dei metalli pesanti, degli acidi e del materiale radioattivo non adeguatamente smaltito. 

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