"All eyes on Rafah", milioni di repost per la foto simbolo di Gaza. Ma è vero attivismo?
Mondo ©AnsaL'immagine, creata con l'intelligenza artificiale e ricondivisa oltre 50 milioni di volte solo su Instagram, ha fatto il giro del mondo ma anche attirato critiche e perplessità. Il sociologo Davide Bennato spiega che cos'è lo slacktivism, "per utenti pigri": "Si tratta di un'attivismo a bassa intensità che coinvolge utenti che non condividerebbeo mai immagino forti o crude". Una moda? Anche. Ma che senza quel tipo di tono non avrebbe mai raggiunto una platea così enorme
“Tutti gli occhi su Rafah”. Il numero di sguardi sull’immagine diventata virale negli ultimi giorni ha raggiunto decine milioni di persone: oltre 50 milioni di condivisioni nelle storie su Instagram (una delle più condivise della storia), oltre 12 su Facebook e 18 su X. L’immagine, creata con l’intelligenza artificiale, mostra file ordinate di tende che formano un campo profughi e si estendono in lontananza su un terreno polveroso circondato da montagne. Al centro, strutture bianche che compongono le parole "All eyes on Rafah", città palestinese nel Sud della striscia di Gaza, dove domenica scorsa un brutale attacco israeliano ha ucciso almeno 45 civili palestinesi a causa di un enorme incendio in un campo profughi.
La frase-slogan - secondo i media internazionali - sarebbe stata pronunciata da Rik Peeperkorn, rappresentante dell'Oms a Gaza e in Cisgiordania, a febbraio. Mentre Gaza si preparava ad un'estensione dell'invasione di terra da parte di Israele, il funzionario Onu dichiarò: "Tutti gli occhi sono puntati su Rafah". Lo "slogan" trasferito nel post quattro mesi dopo ha fatto il giro del mondo. E, secondo gli esperti, si tratterebbe di una delle prime opere di attivismo virale create dall'intelligenza artificiale. Ma perché proprio questa foto “sintetica” ha toccato la sensibilità di milioni di persone nel mondo, comprese celebrities e politici? Non stupisce che il massacro del 26 maggio abbia provocato un'ondata di indignazione e acceso il sostegno per la popolazione palestinese sui social media, ma perché la portata della diffusione di quello scatto è stata così esponenziale?
Le critiche, da Meta agli utenti
Insieme ai milioni di condivisioni, l'immagine ha portato con sé diverse critiche contro Meta, accusata fin dall'inizio del conflitto di censurare le immagini degli attacchi a Gaza limitandone la diffusione o nascondendole dietro avvisi di contenuti sensibili. Matt Navarra, consulente di social media e analista del settore, ha detto a Nbc News che l'immagine potrebbe essere un modo per gli attivisti di condividere il loro messaggio giocando secondo le regole delle piattaforme di social media: "Probabilmente l'immagine sta eludendo parte del controllo automatizzato sulla piattaforma, perché è un'immagine generata dall'intelligenza artificiale e non c'è nulla che sia estremamente pericoloso o controverso". Niente violenza, niente sangue, niente bambini in condizioni disumane.
Ma le critiche a questa operazione di repost di massa non riguardano solo Meta: da parte degli utenti più attivi politicamente sono anche dirette a quei milioni di utenti che invece non hanno mai manifestato solidarietà nei confronti del popolo palestinese da ottobre a oggi, né hanno espresso posizioni sul conflitto in corso. "Un’immagine realizzata dall’AI non basta. Condividete dati e infografiche, informatevi, donate, partecipate alle proteste" è, tra i tanti, il pensiero della tiktoker Isobel Dye in un video che ha avuto una grande impatto online. La domanda allora sorge spontanea: il mero repost di una storia può essere definito "attivismo"? Si tratta del cosiddetto "attivismo da poltrona".
Lo slacktivism, o 'attivismo da poltrona'
"Per capire bene quello che è successo con questa immagine dobbiamo prendere in considerazione più fattori", dice a Sky Tg24 Davide Bennato, docente di Sociologia dei media digitali all'università di Catania. Il primo è "sicuramente lo slacktivism, in italiano 'l’attivismo da poltrona', quello dei pigri. Si tratta di una tendenza molto presente oggi sui social, che consiste nell’appoggio a un movimento politico o l’altro semplicemente attraverso delle azioni mediali". Come cambiare la propria foto del profilo Facebook usando la bandiera arcobaleno nel mese del Pride, o usare l’hashtag #MeToo nel periodo in cui è scoppiato lo scandalo Weinstein nel mondo del cinema. E anche in un periodo storico come questo, segnato dai conflitti in Ucraina e in Medioriente, lo slacktivism è diventato protagonista: si vogliono esprimere le proprie posizioni all'interno del dibattito che si costruisce sui social, ma allo stesso tempo se ne vuole fare parte senza esporsi in modo attivo.
Un endorsement a bassa intensità
Si tratta o no di vero attivismo? "Per chi si occupa di comunicazione politica online questa è una domanda antica, che ci si è iniziati a porre quando i social sono diventati mezzi di comunicazione di massa", spiega il sociologo. Lo slacktivism coinvolge persone "che tradizionalmente non sono particolarmente vicine a una posizione politica, quindi è come un endorsement a bassa intensità, un coinvolgimento debole su un idea che però si condivide".
Un'altra componente è la promozione dello slacktivism da parte di chi è pesantemente coinvolto nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica. "Come persone, attivisti di gruppi veri e propri, canali social che si hanno precise posizioni ideologiche. Ecco, in questo caso c’è piu una dimensione strategica: consapevoli che molte persone si trovano piu a proprio agio nel condividere immagini che sono virali, di cui parlano tutti, questi gruppi sensibilizzano persone che tradizionalmente non sarebbero coinvolte nel topic". Una moda? Anche.
approfondimento
Rafah, un'infermiera di Msf: “Combattimenti a 100 metri dalla clinica"
La resistenza verso l'intelligenza artificiale
La terza componente, spiega Bennato, riguarda l'intelligenza artificiale: "Che questa immagina abbia un’ estetica dell'IA generativa è evidente. Ha caratteristiche che la riconducono a quel tipo di estetica: formale, molto struttrata", osserva. Ed è qui che si innesca un ulteriore meccanismo: la resistenza culturale nei confronti dell' intelligenza artificiale. "La domanda di fondo quindi è questa: se io cerco di dire la mia in una maniera a bassa intensità utilizzando un’ immagine sintetica, costruita al computer, faccio comunque una piccola parte nel sostenere la causa?". Il tipo di immagine, sostiene il sociologo, non è il punto: "Siamo nel mondo dei media e parlare di fonti autentiche – nel senso che esprimono profondamente una determinata caratteristica – non ha molto senso. Mentre chiedersi se fosse stato meglio pubblicare la foto di un bambino o di un'esplosione anziché una foto generata dall IA non ha senso in assoluto", dice il docente. Perché dobbiamo appunto ricordare "che questa immagine è perfettamente coerente con le dinamiche di un periodo storico di slacktivism: anche io che non mi esprimo spesso voglio dire la mia su questo tema, e mi trovo in linea con quel tipo di immagine che per me sarà piu facile convididere perché non contiene il coinvolgimento emotivo che altre foto potrebbero suscitare, così come sangue o scene crude". Ricordiamo, conclude, che "ognuno di noi decide di farsi coinvolgere dalle tematiche che sostiene dal punto di vista, e dall'intensità, che sente più affine". Anche se il messaggio non è di rottura, "questa immagine sentica dice una cosa chiara e incontra anche chi è dotato di una sensibilità profonda ma non se la sente di convidere immagini violente". Una foto forte come un pugno sullo stomaco non diventerebbe mai "di moda", quindi mai virale. Non è altro che una questione di tono.