Guerra in Medioriente, tra la vita e la morte: cosa significa diventare madri a Gaza
Mondo ©AnsaNella Striscia ci sono 50mila donne in gravidanza e in media 180 partoriscono ogni giorno. Ma accedere alle cure medice pre e post partum è difficilissimo, spesso impossibile. I letti mancano e nelle tende, dove molte sono costrette a partorire, mancano anche le minime condizioni igieniche. L'ospedale emiratino di Rafah è l’unico a fornire assistenza alla maternità. La presidente di Medici Senza Frontiere: "Situazione inimmaginabile, serve un cessate il fuoco permanente"
Ci sono posti del mondo dove le mamme non hanno ragioni per festeggiare. Dove l'atto di nascere rischia di incontrare la morte. Gaza è uno di questi, dove, dopo sette mesi di guerra, il sistema sanitario è al collasso e solo 11 ospedali su 36 riescono ancora a funzionare parzialmente. E se abituarsi a sopravvivere in un teatro dell'orrore simile è difficile per ogni essere umano, per le donne che aspettano un bambino le difficoltà diventano estreme. Nella Striscia ci sono 50mila donne in stato di gravidanza e in media 180 partoriscono ogni giorno. Ma poter accedere alle cure medice pre e post partum è difficilissimo, spesso impossibile. L’ospedale emiratino di Rafah è l’unico a fornire assistenza alla maternità a Gaza: prima del conflitto gestiva circa 20 parti al giorno, mentre ora ce ne sono oltre 100. Una situazione ingestibile da diversi punti di vista, come quello pratico dello spazio: ci sono infatti solo sei lettini per il parto, come sottolinea Medici Senza Frontiere.
Partorire nei campi profughi
"La situazione per le donne incinte e per i neonati è sempre più drammatica", racconta a Sky TG24 Monica Minardi, presidente di MFS Italia. Le gestanti a Gaza non hanno infatti la possibilità di sottoporsi ai controlli pre-parto per prevenire le complicanze a cui spesso vanno incontro. Molte di loro partoriscono nelle tende, perché non riescono nemmeno a raggiungere l’unico ospedale per motivi legati alle difficoltà nei trasporti, in primis alla mancanza di carburante, carente e troppo costoso. "Noi di MSF a Rafah supportiamo le donne palestinesi soprattutto nelle cure post partum: abbiamo allestito una struttura semi-permanente nel parcheggio dell'ospedale con 26 letti. Ovviamente sappiamo che è un numero molto basso, una goccia nel mare", spiega Minardi, ricordando che moltissime donne sono costrette a partorire all'interno dei campi profughi, in condizioni di sovraffollamento estremo e senza le condizioni igieniche di base, quindi altamente esposte al rischio di infezioni e malattie.
La mancanza di latte può uccidere i neonati
Le conseguenze ricadono ovviamente anche sui neonati, la cui vita è in pericolo da subito dopo il parto: "Le neomamme molto spesso non riescono ad allattare perché sono denutrite o malnutrite, e il latte in polvere, oltre a essere introvabile, ha dei costi esorbitanti". In questi casi succede il peggio: molti neonati muoiono di fame (a marzo 2024 il rapporto IPC - Integrated Food Security Phase Classification - ha parlato di una carestia alimentare imminente a Gaza). Spesso dimentichiamo che "in aggiunta al numero altissimo di persone uccise direttamente dal conflitto c'è anche quindi un esercito di vittime silenziose, morte per le conseguenze di questo contesto devastante", ricorda la presidente di Mfs. "E con la chiusura del valico di Rafah la sitiuzione diventerà ancora più catastrofica".
Le cliniche di Al-Shaboura e Al-Mawasi
Nelle strutture di Al-Shaboura e Al-Mawasi a Rafah i team di MSF forniscono consultazioni ginecologiche e di ostetricia a circa 300 donne a settimana. Il 36% delle pazienti ha infezioni genito-urinarie, 34% sono anemiche o riportano deficit di ferro e circa il 6% hanno emorragie ginecologiche. La condizione più frequente rimane però la rottura prematura delle membrane e del sacco amniotico. In particolare, nella clinica di Al Shaboura, le donne incinte ricevono cure prenatali, compreso lo screening per la malnutrizione e vengono forniti cibi terapeutici supplementari se necessario.
Le testimonianze
E poi c'è il trauma di vivere una gravidanza durante un conflitto, con conseguenze psicologiche inquantificabili per le mamme e i loro bambini. "Nascere sotto le bombe è qualcosa di impensabile", dice Minardi. A questo si aggiungono le difficoltà fisiche delle donne nel post partum, che spesso, anche dopo parti cesarei d'urgenza e gravi emmoragie, vengono comunque dimesse poche ore dopo. E non sempre sopravvivono. Queste donne hanno dei volti e dei nomi. Come Zeinab, 19 anni: sfollata dalla sua casa nell’area centrale di Gaza e al sesto mese di gravidanza ha iniziato ad accusare forti dolori addominali, ma non è riuscita a ricevere assistenza poiché nell’ospedale di Al-Awda c’era posto solo per parti d’urgenza e feriti da armi da fuoco. O Rana Abu Hameida, 33 anni: fuggita da Beit Lahya, nel nord di Gaza, ora vive in una tenda. È stata ammessa al reparto di maternità al sesto mese a causa di complicazioni, senza esseresi mai sottoposta a nessuna visita dall’inizio del conflitto. “È difficile trovare un posto per le cure o organizzare la mia vita in modo da poter ricominciare i controlli mensili. Vivo in una tenda, la vita è dura, soprattutto quando bisogna trovare cibo o acqua e dormire senza un giaciglio adeguato”, ha raccontato a Msf. E ancora Maha, residente nel nord di Gaza, è andata in ospedale quando ha sentito che stava per iniziare il travaglio, ma tutte le sale parto erano piene. Sentiva che qualcosa non andava e che aveva bisogno di un ricovero, ma è stata costretta a tornare nella sua tenda per via del sopravvollamento. Così ha partorito suo figlio nelle latrine adiacenti alla tenda e il suo bambino è nato morto.
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L'urgenza di un cessate il fuoco permanente
Senza aiuti umanitari sufficienti e senza la protezione delle poche strutture sanitarie ancora in funzione, la fornitura di cure mediche continuerà a essere una goccia nell’oceano, è la denuncia di Medici Senza Frontiere, che ribadisce la richiesta per un cessate il fuoco immediato e incondizionato e chiede che le strutture sanitarie siano protette per salvare vite umane: quelle dei neonati e delle loro mamme. "Quella a Gaza è una situazione senza precedenti per il numero di civili uccisi e il numero altissimo di strutture sanitarie colpite e rese completamente inaccessibile, oltre a quello di operatori e opratrici umanitarie uccisi. L'unica soluzione per fermare questa distruzione è porre fine al conflitto", conclude la presidente.