Processo Regeni, agente egiziano imputato partecipò alle indagini

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Emerge dall'audizione di 4 investigatori del Ros e dello Sco. La legale della famiglia del ricercatore ucciso: "Dall'Egitto depistaggi e ostruzionismo"

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Durante il sopralluogo del 10 febbraio 2016 condotto da due team investigativi, uno egiziano e uno italiano, nel luogo in cui è stato trovato il corpo di Giulio Regeni era presente uno degli agenti segreti imputati nel processo a Roma. Questo è quanto emerso dall'audizione del Ros e dello Sco nel procedimento contro quattro membri della National Security egiziana. Durante l'udienza presso la Corte d'Assise di Roma sono state mostrate foto che ritraggono l'ufficiale Uhsam Helm presente sul luogo, lungo la strada tra Il Cairo e Alessandria. I testimoni hanno affermato che l'imputato ha partecipato alla maggior parte degli incontri dei team investigativi durante le indagini sul caso.

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Uno degli 007 imputati nel processo a Roma nel corso del sopralluogo effettuato il 10 febbraio del 2016 sul luogo dove il 3 febbraio 2016 venne trovato il corpo di Giulio Regeni - ©Ansa

Nicolì: "Da autorità egiziane ipotesi non compatibili con risultati autopsia"

"All'inizio ci fu una apparente collaborazione, ci consentirono di assistere alle assunzioni di testimonianze ma noi cercavamo riscontri oggettivi. Fin da subito - ha detto in aula il direttore del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, Vincenzo Nicolì - le autorità egiziane furono informate che ciò che era emerso dall'autopsia svolta in Italia non era compatibile con le loro ipotesi investigative come l'incidente stradale". Nel corso delle indagini "ci furono prospettate altre ipotesi come il coinvolgimento di Giulio Regeni in un traffico di opere d'arte rubate, altre che riguardavano la sua sfera sessuale, poi quella di uno scontro fisico con una persona davanti all'ambasciata. Tutto queste ipotesi investigative della polizia egiziana - ha aggiunto - non erano però assolutamente riscontrate. Proprio quando il 24 marzo 2016 decidiamo di far rientrare il team investigativo, con i nostri uomini che erano in aeroporto, ho sentito la notizia che gli egiziani sostenevano di aver trovato gli assassini di Giulio Regeni e allora li ho chiamati per dirgli di non partire e di rimanere lì".

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Il luogo dove il 3 febbraio 2016 venne trovato il corpo di Giulio Regeni - ©Ansa

In aula foto dei corpi dei 5 uomini accusati dalla polizia egiziana dell'assassinio di Regeni

Raccontando dell'evolversi della collaborazione investigativa, i testimoni hanno fatto riferimento ad un incontro avvenuto nell'aprile del 2016. "La parte italiana - hanno aggiunto Nicolì - in quell'occasione ha dato conto delle richieste fatte dal nostro Paese rimaste inevase, soprattutto sui dati tecnici. Nel corso dell'incontro dopo l'intervento del professor Fineschi che aveva eseguito l'autopsia sul corpo del ricercatore, il clima divenne più rigido. Dopo questo incontro ci fu il ritiro dell'ambasciatore da parte dell'Italia". In aula sono state poi mostrate le foto dei corpi dei cinque uomini indicati dalla polizia egiziana come responsabili della morte di Regeni e uccisi a loro dire durante un conflitto a fuoco. "C'è un'incompatibilità tra le immagini del pulmino e dei corpi con la ricostruzione di un conflitto a fuoco. Dall'analisi sul telefono trovato addosso a uno dei cinque uomini è emerso che, a mezz'ora della scomparsa di Giulio, si trovava a 100 chilometri dal centro del Cairo", ha aggiunto il funzionario dello Sco, Alessandro Gallo.

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Claudio e Paola Regeni durante l'udienza del processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati di aver torturato e ucciso Giulio Regeni, presso il tribunale di Roma - ©Ansa

Legale famiglia Regeni: 'Dall'Egitto depistaggi e ostruzionismo' 

L'avvocato Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni, ha detto che nel corso dell'udienza di oggi "è emersa l'assoluta mancata collaborazione egiziana, l'ostruzionismo e i depistaggi. L'inizio della ricostruzione di queste difficoltose indagini al Cairo, e anche il clima di intimidazione". L'avvocato ha aggiunto: "C'erano molte contestazioni da parte degli egiziani e molto ostruzionismo. Abbiamo capito le informalità con cui sentivano questi testimoni, non venivano fatti verbali. Ai nostri investigatori di fatto era impedito di fare domande dirette, ed anche chiedere agli egiziani di fare delle domande se questi non le ritenevano pertinenti o più che altro le ritenevano scomode non le ponevano ai 'testi'".

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