Dal cibo agli alloggi, così i volontari aiutano chi è scappato dagli attacchi di Hamas

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Federica Villa

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Segnalazioni di appartamenti liberi, raccolte di cibo e vestiti, hotel di Tel Aviv che aprono le loro stanze per chi non ha più un posto dove stare. In Israele, in pochi giorni, si è creata una rete di solidarietà in risposta all'attacco di Hamas. "Cerchiamo di aiutare soprattutto le famiglie del Sud del Paese, si è creato una specie di movimento", spiega a Sky TG24 uno dei volontari

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Il tam-tam è iniziato su WhatsApp, poi Facebook e Instagram: segnalazioni di case libere, appuntamenti per raccogliere cibo e vestiti, messaggi di hotel che mettono a disposizione le loro stanze per chi non ha più un posto dove stare. In Israele, dopo gli attacchi del 7 ottobre nel Sud del Paese, si è rapidamente creata una rete di solidarietà per aiutare chi è stato più colpito. Ed è successo in un Paese che, prima dell’aggressione dei terroristi di Hamas, stava attraversando un periodo di forti tensioni e divisioni sociali, con proteste importanti anche - e soprattutto - contro il governo di Benjamin Netanyahu. "In questo momento così difficile, non ci possiamo concentrare su quello, ma piuttosto dobbiamo focalizzarci su tutte le iniziative di solidarietà che si stanno vedendo in questi giorni", spiega, intervistato da Sky TG24, Ron Huberman, 29 anni, originario del distretto di Haifa e ora fra i volontari in azione a Tel Aviv (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI SUL CONFLITTO LIVE).

Gli alloggi per chi arriva da Sud

"Stiamo provando a fare qualcosa che rappresenti la vita, cioè aiutare le persone e dare una mano soprattutto a quelle che non hanno una casa", dice Ron. "Nel mio caso, si tratta di un’iniziativa privata: io e alcuni miei amici abbiamo saputo che c’era una casa, molto grande, a Tel Aviv, libera, e che i proprietari volevano dare una mano, mettendola a disposizione per chi ne aveva bisogno, in particolare per le famiglie del Sud", alcune delle quali hanno dovuto spostarsi verso il Centro del Paese dopo gli attacchi. Così è partita la mobilitazione e, "negli ultimi tre giorni, abbiamo aiutato a raccogliere quel che c’era bisogno per ospitare cinque famiglie, in modo che potessero avere un alloggio sicuro". Ci si basa molto sul passaparola e su una rete fatta di messaggi sui social network, principalmente: "Ci sono molte iniziative di questo tipo, molte persone scrivono cosa possono donare - cibo, vestiti - e altri mettono a disposizione le proprie case". "I volontari sono tantissimi", prosegue Ron. "In realtà, possiamo dire che l’iniziativa su questo fronte non sia più ‘privata’, perché abbiamo creato una specie di movimento, nei vari quartieri, nelle varie aree, soprattutto nella zona di Tel Aviv".

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Le iniziative a Tel Aviv

Proprio Tel Aviv è uno degli snodi principali della catena di aiuti. Le organizzazioni in campo hanno creato una rete che può assistere i cittadini in arrivo dal Sud del Paese con trasporti, alloggi, attrezzature e anche supporto psicologico. Il gruppo Brothers and Sisters in Arms - composto principalmente da soldati di riserva e veterani - messe da parte le proteste di cui è stato protagonista nei mesi scorsi, da domenica ha organizzato una colletta alimentare e punti di raccolta in città per le donazioni di vestiti e altri oggetti, anche per i militari, trovando il sostegno di centinaia di cittadini, come ha scritto The Times of Israel. Molti ristoranti e bar della città preparano pasti e dolci, sia per i civili che per i soldati. E anche alcuni hotel fanno la loro parte. Come si legge sulla pagina Instagram @telaviv, molte strutture ricettive hanno aperto le loro porte ad alcuni dei civili sopravvissuti agli attacchi di Hamas, collaborando con gli Scout della città per offrire intrattenimento ai più piccoli. Intanto, online, si moltiplicano le iniziative, anche per offrire supporto psicologico. Il gruppo Mothers on the Frontline, ad esempio, è impegnato nell’organizzare incontri via Zoom con professionisti della salute mentale, per "madri, nonne e mogli di soldati che stanno andando al fronte". E, in tutto il Paese, nell'ultima settimana, da Gerusalemme alla stessa Tel Aviv, in migliaia hanno risposto all'appello per donare il sangue.

Udi Razzin

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