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Israele sotto attacco. Perché proprio ora?

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Michele Cagiano de Azevedo

Michele Cagiano de Azevedo

©Ansa

Un attacco arrivato all'improvviso che il governo israeliano non si aspettava. In una data simbolica, quella dell'inizio della guerra dello Yom Kippur. Era il 6 ottobre del 1973, esattamente 50 anni fa: un attacco simultaneo di Egitto e Siria sulle due frontiere Nord e Sud dello stato ebraico

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Un attacco improvviso di Hamas, migliaia di razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele. Incursioni anche via terra, raid oltre frontiera, con ostaggi e decine di morti, centinaia di feriti. La risposta israeliana non si è fatta attendere, Gaza è stata colpita più volte dal cielo, ma la sensazione è che il governo di Netanyahu non si aspettasse un attacco così violento. 

Una data da ricordare 

Intanto, va ricordata la ricorrenza della guerra dello Yom Kippur. Il 6 ottobre del 1973, esattamente 50 anni fa, un attacco simultaneo di Egitto e Siria sulle due frontiere Nord e Sud dello stato ebraico, le alture del Golan e il deserto del Negev, mise in grande difficoltà le difese israeliane. Anche in quella occasione, non mancò l’effetto sorpresa. Ma una ricorrenza non può spiegare tutto. Peraltro, oggi i palestinesi sono ben più isolati e molti paesi anche arabi hanno normalizzato le loro relazioni diplomatiche con Tel Aviv. 

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Le rivendicazioni “ufficiali”

Un’altra spiegazione - non esaustiva e non convincente - è quella “ufficiale”. Hamas attacca di sabato, giorno dedicato alla religione, e in una nota legittima la scelta dei raid per la “profanazione dei luoghi sacri e il costante rifiuto da parte di Israele di liberare i prigionieri palestinesi”. Queste rivendicazioni però non hanno tempo, non si collegano ad altri fatti recenti e sono sempre state. 

Così come la nota dell’Autorità Nazionale palestinese è senza tempo. Gli attacchi vanno inquadrati “nella assenza di una soluzione della questione palestinese per 75 anni, nella continuazione della politica di doppio-standard della comunità internazionale, nel suo silenzio di fronte alle pratiche criminali e razziste delle forze di occupazione israeliane, e nella continuazione della ingiustizia e della oppressione".

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Ciò che invece ha una forte connessione temporale con l’attacco di Hamas è ciò che si muove proprio in questi giorni intorno a Israele e ai Territori palestinesi. 

Sono entrati nel vivo i negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, fortemente sostenuti dagli Stati Uniti. Il conteso è quello degli Accordi di Abramo del 2020. Un ravvicinamento  tra Tel Aviv e Riyadh sarebbe di portata storica e avrebbe inevitabili conseguenze. Prima di tutto, isolerebbe ancora di più i palestinesi e le loro aspirazioni, all’interno del mondo arabo. C’è poi l’Iran che contende all’Arabia Saudita il ruolo di prima potenza dell’area mediorientale. I sospetti che il sostegno iraniano ad Hamas sia più che concreto è nelle parole del governo Israeliano. "Le organizzazioni terroristiche - viene fatto notare dal ministero degli Esteri di Tel Aviv -sono una diramazione del regime degli Ayatollah dell'Iran, che promuove intensamente l'attività terroristica in Israele e contro obiettivi israeliani ed ebraici in tutto il mondo".

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