Iran, la rivoluzione dopo Mahsa Amini. Masih Alinejad: "Velo simbolo apartheid di genere"

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Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

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Intervista all'attivista iraniana Masih Alinejad, una delle donne del 2022 per il Time. "La rivoluzione delle donne dopo Mahsa Amini non è solo una lotta contro il velo obbligatorio: le iraniane vogliono una democrazia laica in cui la religione sia separata dalla politica".  Esiliata negli Usa dal 2009 e costretta a vivere sotto scorta, per la giornalista la risposta internazionale è arrivata troppo tardi: "I leader dei Paesi democratici dovrebbero tagliarsi anche le cravatte, non solo i capelli"

 

 

 

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Hijab bruciati e capelli tagliati: sono i simboli della rivoluzione delle donne iraniane che infiamma il Paese da un anno, quando il 16 settembre 2022 la studentessa curda Mahsa Amini è stata uccisa dalla polizia morale di Teheran perché indossava il velo in modo scorretto. In occasione del primo anniversario della sua morte, nonostante pesantissime misure di sicurezza, l’Iran è tornato in strada a gridare per la libertà delle donne tra colpi di arma da fuoco contro i manifestanti e arresti a tappeto. E pochi giorni dopo il primo anniversario della morte di Mahsa, l’ennesima minaccia: il Parlamento iraniano ha approvato un disegno di legge che rafforza le sanzioni contro le donne che non indossano il velo nei luoghi pubblici: rischiano fino a dieci anni di carcere. “Migliaia di donne iraniane ogni anno vengono arrestate perché indossano lo hijab in modo scorretto. La morte di Mahsa Amini ha infiammato le strade perché le iraniane sapevano che ognuna di loro avrebbe potuto essere Mahsa”, dice a Sky TG24 la giornalista e attivista iraniana Masih Alinejad, autrice di Il vento fra i capelli. La mia lotta per la libertà nel moderno Iran. “Il nostro popolo ha dimostrato quanto detesta il regime di apartheid di genere rappresentato dalla Repubblica Islamica e le sue leggi, quelle della Sharia. Le richieste di chi è sceso in strada a protestare non si limitavano a chiedere la fine dell’hijab obbligatorio, ma appunto la fine della Repubblica islamica”.

Sotto scorta per aver attaccato il regime  

Nata a Ghomi Kola nel 1976, ex giornalista parlamentare a Teheran, dal 2009 Alinejad vive in esilio con i suoi figli negli Usa, dove continua la sua battaglia per le donne iraniane come attivista politica. Ma la sua sicurezza è a rischio anche a 10mila chilometri di distanza: nel luglio 2021 è riuscita a sfuggire all’omicidio pianificato per eliminarla, per il quale il dipartimento di Giustizia americano a gennaio 2023 ha accusato tre uomini che appartengono a un’organizzazione criminale dell’Est Europa. Nel corso degli anni, Alinejad, che da 14 non può abbracciare la sua famiglia, ha espresso durissime critiche nei confronti del regime iraniano, ideando anche campagne contro l’obbligo per le donne di indossare il velo in pubblico, come “My Stealthy Freedom”, pagina Facebook che dal 2014 invita le donne iraniane a pubblicare foto di se stesse senza l'hijab. “Non sono contraria al velo in assoluto, ma voglio che le donne possano decidere se indossarlo o meno. Oggi le donne iraniane non hanno scelta, e questo è il problema”. Un’attività – la sua voce raggiunge quasi 9 milioni di follower su Instagram - che ha scatenato la rabbia del leader della Repubblica islamica Ali Khamenei. Alinejad, che porta sempre un fiore bianco tra i capelli, vive sotto scorta in un rifugio segreto dell’Fbi e nel 2022, l’anno delle proteste in Iran, il Time l’ha scelta tra le sue 12 donne dell’anno per "l'impatto significativo sulle loro comunità".

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Come è cambiato nell’ultimo anno, dal 16 settembre 2022 in poi, il suo lavoro da attivista?

Ogni giorno ricevo innumerevoli chiamate, e-mail, video e messaggi da uomini e donne in Iran, che mostrano i loro incrollabili atti di disobbedienza civile contro questo regime di apartheid di genere. Il mio attivismo ha continuato a concentrarsi nel diffondere le loro voci e nel mostrare al mondo la verità su ciò che accade in un Iran controllato dagli agenti della Repubblica Islamica. La scorsa settimana ho testimoniato davanti al Congresso e ho esortato il governo americano a smettere di aiutare e favorire questo regime terroristico.
 

In Iran le violazioni dei diritti delle donne avvengono quotidianamente. Perché la morte di Masha Amini ha avuto un impatto così forte?

Perché chiunque di noi avrebbe potuto essere picchiata a morte solo per aver mostrato qualche ciocca dei capelli. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: le iraniane sono stanche di dover temere per la propria vita ogni volta che escono di casa. E il tentativo del regime di insabbiare il suo omicidio ha dimostrato che sapevano che avrebbe innescato una rivoluzione.


Si aspettava una risposta così potente a livello mondiale?
Sono felice di vedere così tante reazioni da parte di tutto il mondo - dalle studentesse alle attrici celebri - ma come persona che da nove anni conduce una campagna contro la polizia morale e le leggi sull'hijab obbligatorio, il mio cuore si è spezzato. Perché è stato necessario che Mahsa Amini, una giovane donna innocente, fosse brutalmente assassinata affinché il mondo si svegliasse? Penso che la risposta internazionale sia arrivata troppo tardi. E se hanno davvero a cuore le donne iraniane, i leader dei Paesi democratici dovrebbero tagliarsi anche le cravatte, non solo i capelli.

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Lei ha scritto che il racconto di The Handmaid's Tale non è finzione per le donne iraniane ma la realtà. Un cambiamento è iniziato?

Sì, è cominciato nei cuori e nello spirito del popolo iraniano, ma affinché avvenga un cambiamento significativo, la comunità internazionale deve espandere la definizione di "apartheid" perché diventi "apartheid di genere", in modo che la Repubblica islamica possa essere ritenuta responsabile dei suoi crimini. Allo stesso modo le nazioni occidentali e quelle più libere devono cessare e desistere da qualsiasi forma di diplomazia o commercio con l’Iran. Tutto il denaro che entra nel Paese finisce direttamente nelle mani del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, non viene utilizzato per migliorare l’economia o la vita dei cittadini. Il resto del mondo deve smettere di negoziare con i terroristi, il cui comportamento imita appunto quello dei misogini di The Handmaid's Tale.

 

Le proteste dell’ultimo anno hanno portato a spazi di libertà rimasti fino a prima nascosti?

Le leggi sull'hijab obbligatorio sono diventate un simbolo di sfida al regime. Il velo obbligatorio non è solo un piccolo pezzo di stoffa, ma il pilastro principale di una dittatura religiosa. Quindi sì, sempre più donne camminano senza velo, ma ciò non significa che questo sia tutto ciò che volevano. Anche se domani la Repubblica islamica annunciasse che si sbarazzerà della polizia morale e delle leggi sull’hijab obbligatorio, le donne non rinunceranno alla loro lotta. Vogliono una democrazia laica in cui la religione sia separata dalla politica.

 

Le proteste anti-governative delle donne hanno portato a una discussione nuova riguardo al femminismo islamico?

Affatto. La Repubblica islamica utilizza da tempo la religione per interferire nella vita personale degli iraniani. La società iraniana è progressista: rispetto all’establishment, anche i musulmani praticanti sembrano essere antireligiosi perché criticano a gran voce l’Islam come strumento di oppressione. Nessuno dei manifestanti con cui sono stata in contatto crede nel femminismo islamico. Ad esempio, uno dei manifestanti, Majid Raza Rahnavar, prima di unirsi alle proteste, ha criticato pubblicamente l’Islam. Anche molte donne che indossano l’hijab e credono nell’Islam fanno parte di questa rivoluzione guidata dalle donne, ma la maggior parte dei giovani manifestanti non crede nel femminismo islamico perché leggi islamiche non possano garantire alcuna uguaglianza e nessuna libertà.

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Masih Alinejad
Masih Alinejad.

Le donne iraniane hanno dimostrato un grande coraggio. Dove si trova il coraggio se si è abituati a convivere con la paura?

Molti giovani sentono di avere poco da perdere combattendo. Ne hanno abbastanza di vivere nella paura. Quando vedo donne e uomini coraggiosi camminare disarmati verso la Polizia morale, ogni senso di paura scompare. Anche se vivo in America in esilio, anche qui ci sono state minacce credibili alla mia sicurezza, tanto che il governo americano mi ha invitato a ricorrere alla protezione testimoni. Questo è esattamente ciò che il regime vuole: intimidire le persone come me che non rimarranno in silenzio. Quando ero piccola mia madre mi diceva sempre di non aver mai paura del buio ma di fissarlo finché le ombre non scomparissero. L’Iran è assediato da molte forze oscure. E se le persone tacciono, il male trionferà.  

 

Nei giorni scorsi la giornalista iraniana Nazila Maroufian ha denunciato di essere stata violentata in carcere dalle forze di sicurezza dopo aver intervistato il padre di Mahsa Amini.

Nazila Maroufian è una dei giovani giornalisti il ​​cui crimine è stato proprio quello di intervistare il padre di Mahsa. Lei è un esercito formato da una sola donna. Il regime iraniano l'ha arrestata più volte, avvertendola di non pubblicare nessuna sua foto sui social media, ma lei si è rifiutata e ha denunciato le molestie sessuali che molte donne subiscono da anni, diventando la voce di molti giovani giornalisti e attivisti che non ne hanno una. So che Nazila ha pagato un prezzo enorme, ma lei come me sa che la libertà non è gratuita. Le persone come Nazila ai miei occhi sono come le suffragette dell'Iran: praticano la disobbedienza civile e pagano un prezzo enorme per questo. Sanno che questo è l’unico modo per liberarsi di un regime barbaro.

 

Che ruolo hanno giocato gli uomini in questa rivoluzione?

Quella scoppiata con il caso Masha Amini non è la prima protesta che l’Iran vede negli ultimi quarant’anni, ma è diversa. Perché questa volta uomini e donne si sono uniti per opporsi, insieme, al regime. Per molti anni ho maledetto gli uomini iraniani per la loro riluttanza a stare dalla parte delle loro sorelle, madri e figlie, ma alla fine si sono dedicati alla nostra lotta. Non ci sarebbero figli senza madri. E non esistono padri senza figlie. I video che mostrano uomini e donne che camminano a braccetto verso i membri armati dell’IRGC (Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, ndr) sono la prova che gli uomini svolgono un ruolo vitale in questa rivoluzione sostenendo le donne che amano.

Masih Alinejad. - ©Getty

Da lontano, cosa possiamo fare per continuare sostenere le donne iraniane?

Tutti dovrebbero pronunciare i loro nomi. Per rendere Zeinab, Nazila e Asal famosi quanto la stessa Mahsa. Sono loro gli eroi di questa storia. Ma la realtà è che le rivoluzioni necessitano di risorse, fondi, personale dedicato e molto altro ancora. Se vogliamo liberare le donne iraniane, abbiamo bisogno di risorse. Dopotutto stiamo combattendo uno dei regimi autocratici più potenti del mondo. Gli Stati Uniti dovrebbero rimanere fedeli ai propri ideali fondatori e spingere l’Ue a smettere di inviare denaro e di condurre affari con un Paese che si oppone alla libertà e ai diritti umani. Quando alle dittature religiose viene consentito di agire impunemente, la democrazia è in pericolo ovunque.

 

Patriarcato e fascismo sono connessi?

Il fascismo è un’ideologia politica che cerca di ristabilire il patriarcato. E questo è esattamente ciò che i leader della Repubblica islamica sostengono apertamente. Credono che il ruolo principale delle donne sia quello di essere madri e che dovrebbero restare a casa. Sono loro i veri fascisti.

 

Spera ancora di poter tornare nel suo Iran un giorno?

Sì, mi mancano così tanto il mio Paese natale e la mia famiglia, costantemente. Spero di tornarci un giorno per sentire il vento tra i capelli e abbracciare coloro che amo.

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