Non solo Milano e Roma, in Europa l’affitto diventa questione politica

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Rolla Scolari

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Nei Paesi dell’Unione europea quasi il 19 per cento del reddito dei cittadini è dedicato a costi abitativi

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Charlottenburg è un elegante quartiere di Berlino, dal gusto un po’ francese, che prende il nome da una regina di Prussia. Lungo i suoi raffinati viali alberati ci sono caffè e ristoranti, gallerie d’arte e boutique. È proprio qui, su Leibnizstrasse, che il mese scorso si è formata una coda di 150 metri circa, raccontano le immagini rubate dagli smartphone e postate online, per visitare un appartamento di 74 metri quadrati. Il padrone di casa, subito dopo aver pubblicato l’annuncio dell’affitto – 1.074 euro al mese – ha ricevuto oltre 600 richieste.  

Affitti a Berlino aumentati del 27%

Chi ha conoscenti o amici a Berlino sa che da qualche anno cercare e trovare casa in affitto nella capitale tedesca è diventato un processo lungo e logorante. E come se non bastasse, secondo i dati pubblicati a marzo dal gruppo immobiliare Immowelt, da novembre 2022 i prezzi degli affitti sono aumentati del 27 per cento. In una città dove almeno l’80 per cento dei residenti è affittuario, questo incremento diventa una sfida per la maggior parte della popolazione. Benché sia indubbio un incremento importante degli affitti a Berlino, la capitale tedesca resta molto più conveniente in termini abitativi – considerando anche gli stipendi nazionali – rispetto ad altre grandi centri europei come Londra, Parigi o Milano, mentre aumenta il numero delle città in cui la questione della casa entra progressivamente nel dibattito pubblico, e politico. 

Le ragioni dietro gli aumenti

Sarebbero tre le ragioni dell’impennata dei prezzi a Berlino, secondo il gruppo Immowelt: la popolazione della capitale tedesca è cresciuta a causa dell’immigrazione (e negli ultimi mesi l’afflusso di profughi ucraini ha gonfiato la domanda); sono saliti i tassi di interesse e anche i costi nel settore edilizio: quindi si costruisce meno; la Corte costituzionale federale ha dichiarato illegale nel 2021 il blocco degli affitti che era stato deciso dall’amministrazione della capitale. 

Il racconto di un’italiana a Berlino

“La situazione peggiora”, ci racconta al telefono da Berlino Berta Del Ben, 35 anni, attrice di teatro italiana che vive in città da dieci anni e che è attiva nella campagna per limitare i costi abitativi. Nel 2021, quando la Germania votava nelle elezioni parlamentari, chiudendo l’era di Angela Merkel e riportando al potere i socialdemocratici, i berlinesi si recavano alle urne anche per decidere con un referendum dell’esproprio e della risocializzazione degli appartamenti di grandi gruppi immobiliari. Berta era in piazza a volantinare e a fare campagna. Allora, il 59 per cento degli elettori si è espresso in favore del sì, ci ricorda, eppure la politica “prende tempo”, dopo aver organizzato una commissione di esperti che studi in dettaglio la questione.  

Le differenze con l’Italia

Come a Milano e Roma, gli studenti sono i più coinvolti dall’aumento dei prezzi. “Se prima abitavano nei quartieri centrali – dice Berta – ora si spostano in aree periferiche, con meno offerta culturale. Nelle zone centrali le nuove costruzioni sono soltanto uffici, case di lusso e grandi alberghi: la casa non è più intesa come un tetto sopra la testa, ma è diventata oggetto speculativo”. Rispetto all’Italia, però, dove soltanto il 4,8 per cento degli studenti ha a disposizione studentati universitari, la Germania offre al 12 per cento dei giovani soluzioni abitative a basso prezzo: soltanto il 21 per cento di loro vive ancora con i genitori contro il quasi 69 per cento dell’Italia, secondo i dati di Eurostudent. 

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La situazione in Europa

Non sono soltanto Berlino e Milano le capitali europee a finire in questi mesi sulle prime pagine dei giornali per gli affitti in aumento. Lo raccontano i numeri di Eurostat: dal 2010 al quarto trimestre del 2022, gli affitti sono saliti del 19,2 per cento in Europa. Rispetto allo stesso periodo nel 2021, del 2,5 per cento. Nei Paesi dell’Unione europea, il 18,9 per cento del reddito disponibile dei cittadini è dedicato a costi abitativi. Il caso più eclatante è la Grecia dove i due terzi della popolazione spendono attorno al 40 per cento del proprio reddito per pagarsi un tetto. Ovunque, hanno un peso l’aumento dell’inflazione e il rialzo dei tassi d’interesse. 

La situazione in Grecia

Come in Italia, a fare le spese della difficile situazione abitativa in Grecia sono i giovani. Secondo un sondaggio del think-tank greco Eteron, il 47,9 per cento dei greci trai 18 e 44 anni fa fatica o non riesce a pagare un affitto. Il 20 per cento di greci vive in affitto: la cifra è sotto la media europea del 22,2 per cento. In seguito alla crisi del debito e a dieci anni di austerity, è partito un processo di ristrutturazione di aree e quartieri del centro della capitale greca: i prezzi delle case nel cuore di Atene sarebbero aumentati da 30 fino a 50 per cento secondo i dati delle agenzie immobiliari locali. L’effetto di questo fenomeno è stato lo stesso di Berlino: residenti costretti a trasferirsi in quartieri periferici. La questione è inevitabilmente diventata prioritaria per il governo di destra del premier Kyriakos Mitsotakis, alla prova del voto questa domenica. Come in altri Paesi, Spagna e Irlanda per esempio, la Grecia ha tentato di arginare la crisi abitativa con un pacchetto di aiuti governativi, eppure, come ci spiega Alkis Kafetzis, Project coordinator del think-tank Eteron, benché la questione degli elevati prezzi del settore immobiliare coinvolga una vasta fetta di popolazione greca, gli effetti sulla campagna elettorale non sono stati proporzionati all’entità del problema. “Certo, tutti i partiti hanno incluso le politiche abitative nella propria agenda, alcuni mettendo enfasi sulla necessità di aiutare chi vuole comprare, altri sottolineando invece la necessità di alloggi in affitto sociale. – dice Kafetzis – Forse però, visto che dall’inizio del 2023 la questione immobiliare è stata intesa e sentita come parte della più vasta crisi dell’aumento del costo della vita, la discussione politica non si è evoluta come necessario, non è scesa nei dettagli di quanto serva realmente alla società greca per affrontare il problema”.

Dublino come San Francisco?

Le immagini delle code per visitare un appartamento sono diventate virali anche a Dublino. Se per anni si è pensato che l’Irlanda stesse diventando la Silicon Valley d’Europa, per aver attratto numerose aziende tech, qualcuno ha paragonato Dublino, dal punto di vista abitativo, a San Francisco: accessibile ormai soltanto agli altissimi stipendi. La città della costa occidentale americana ha spinto lontano, oltre la sua baia, residenti di lunga data incapaci di sostenere i prezzi mensili. Così, come Berlino e Atene, il cuore storico di Dublino è diventato un quartiere per stranieri.  “Non conosco dublinesi e in generale irlandesi che vivano in centro, dove abitavo io”, ci spiega Lavinia Ferri, tornata a Milano dopo aver vissuto otto anni nella città, lavorando sia per un’azienda tech sia in una società di pubbliche relazioni. L’abbandono del centro da parte degli irlandesi, racconta, ha portato al quasi totale spopolamento di quelle zone di Dublino durante il lockdown del 2020, all’inizio della pandemia di Covid-19, quando tutti gli stranieri che ci abitavano sono tornati nei rispettivi Paesi di origine. Tornata la normalità, la situazione non è migliorata: “C’è ormai chi cerca casa a Dublino anche per sei mesi – dice Ferri - e i soli appartamenti liberi sono molto cari: sono immobili di nuova costruzione in aree in cui si trovano le aziende tech”.  

Le promesse della politica

Oltre alla presenza trasformatrice delle compagnie straniere, quello irlandese è un problema di quantità. Secondo uno studio riportato a dicembre dal Financial Times, a luglio 2022 a Dublino soltanto 495 case erano disponibili per essere affittate, 35mila nel resto del Paese: la metà rispetto al 2016. L’offerta è bassa, la domanda è alta a causa di un incremento della popolazione, dell’arrivo dei rifugiati ucraini e dei numeri dei dipendenti delle grandi aziende straniere attratte dalla favorevole tassazione irlandese. Così, gli affitti sono schizzati alle stesse nel giro di un decennio: dell’82 per cento tra il 2010 e il secondo trimestre del 2022 secondo la Banking & Payments Federation Ireland.

Come altrove, la questione è diventata politica: il governo ha promesso un vasto piano di costruzione di immobili ma, sempre secondo lo studio, nei prossimi decenni per risolvere il problema servirebbero tra le 40mila e le 60mila unità abitative. Il partito Sinn Fein, a febbraio 2020, ha conquistato il voto popolare spostando il focus della sua campagna dalla riunificazione a un’agenda incentrata sull’edilizia sociale.  

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