Secondo il sindacato dei medici sudanesi, molti dei feriti non hanno potuto raggiungere gli ospedali a causa delle difficoltà negli spostamenti sul territorio. Bombardamenti a Khartoum, dove mancano l'acqua e l'elettricità. L'Unione africana ha tentato di concordare un cessate il fuoco, ma si è continuato a sparare nonostante l'apertura di corridoi umanitari. Ambasciatore Ue aggredito in residenza
In Sudan lo scontro fra esercito regolare e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) guidati da un generale legato al Gruppo Wagner, Mohamed Hamdan Dagalo, ha provocato finora quasi 200 morti in un bilancio che rischia di continuare ad aggravarsi. Le forze armate hanno potuto annunciare la riconquista della tv di Stato ma rivendicazioni di successi di entrambe le parti rendono difficile stabilire chi stia effettivamente prevalendo sul campo. Il bilancio di sangue di oltre 180 morti e 1.800 feriti tra civili e militari è del rappresentante speciale delle Nazioni Unite nel Paese, Volker Perthes. Stamattina, nel centro di Khartoum, ci sono stati altri bombardamenti aerei, cannoneggiamenti e lancio di missili terra-terra con un numero crescente di abitazioni civili colpite da proiettili vaganti, come ha riferito all'ANSA una fonte qualificata. Due ospedali colpiti da razzi e proiettili sono stati evacuati. Molti feriti fra civili e militari non hanno potuto raggiungere gli ospedali a causa delle difficoltà negli spostamenti sul territorio. L'ambasciatore dell'Ue in Sudan è stato aggredito nella sua residenza, ha informato l'Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell in un tweet.
Lo scontro
La guerra civile sta contrapponendo da sabato il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate sudanesi e di fatto presidente del grande Paese dell'Africa orientale, e il suo vice, il capo delle Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdan Dagalo, detto 'Hemedti': i due, dopo aver estromesso insieme i civili dal potere con il golpe dell'ottobre 2021, sono in contrasto da mesi soprattutto su tempi e modi dell'assorbimento delle Rsf nell'esercito. Dall'esame degli elementi disponibili, il conflitto appare come una lotta all'ultimo sangue per il potere tra forze armate e paramilitari e per ora il ruolo più evidente dei mercenari russi della Wagner è limitato agli affari nel settore aurifero dell'ex venditore di cammelli Dagalo. L'Unione africana ha tentato di concordare un cessate il fuoco, ma l'impresa è difficile visto che si è continuato a sparare nonostante l'apertura di corridoi umanitari per soccorrere i feriti concordato per sole tre o quattro ore.
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La situazione sul territorio
Nel centro di Khartoum stamattina ci sono stati "bombardamenti aerei, cannoneggiamenti e lancio di missili terra-terra", anche nella zona dove si trova l'Ambasciata d'Italia. Lo ha riferito una fonte qualificata nella capitale sudanese aggiungendo che "sempre più abitazioni civili vengono colpite da proiettili vaganti". All'Ansa risulta che nell'area ci siano centri di comando e altre infrastrutture dei paramilitari che si stanno scontrando con l'esercito regolare. A Khartoum si rincorrono voci di flussi di truppe verso la capitale a sostegno dei paramilitari. Il canale televisivo nazionale è tornato in onda un giorno dopo l'oscuramento e sta trasmettendo messaggi a sostegno dell'esercito. Lo segnala il sito della Cnn. In sovrimpressione si legge che "le forze armate sono riuscite a riprendere il controllo dell'emittente nazionale dopo i ripetuti tentativi delle milizie di distruggere le sue infrastrutture". In una guerra di annunci quasi impossibili da verificare, ieri Dagalo ha sostenuto di controllare il "90% delle aree militari in Sudan" anche grazie a numerose defezioni tanto che ormai, a suo dire, Al-Burhan, il generale che guida l’esercito regolare, "si nasconde sotto terra" e "deve solo arrendersi". L'intelligence militare sudanese ha fatto al contrario sapere che l'esercito controlla "tutti i siti militari della capitale". Lo spazio aereo sul Sudan è stato chiuso e a Khartoum, dove mancano acqua ed elettricità, i civili che si avventurano all'esterno rischiano di finire sotto il fuoco incrociato. ll Programma alimentare mondiale (Pam-Wfp) delle Nazioni Unite, maggiore organizzazione umanitaria del mondo, ha annunciato una sospensione temporanea delle proprie operazioni in Sudan a causa dell'uccisione dei tre suoi dipendenti e il ferimento di altri due nel Darfur settentrionale.
Cosa succede
L'esercito ha potuto mandare in onda che "le forze armate sono riuscite a riprendere il controllo dell'emittente nazionale dopo i ripetuti tentativi delle milizie di distruggere le sue infrastrutture". Ai paramilitari, Burhan ha fatto promettere attraverso un portavoce che non ci saranno conseguenze se entreranno nell'alveo delle forze armate. Su Twitter, Dagalo invece si è appellato alla "comunità internazionale" che dovrebbe "intervenire contro i crimini" di Al-Burhan, "un islamista radicale che sta bombardando i civili" e spera "di mantenere il Sudan isolato e lontano dalla democrazia".
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Le reazioni internazionali
Senza schierarsi per nessuna delle due parti, i ministri degli Esteri statunitense e britannico, Antony Blinken e James Cleverly, a margine del G7 in Giappone hanno esortato i due contendenti nell'ex colonia britannica a "cessare immediatamente le violenze" e a tornare al tavolo dei negoziati. Un "appello ai leader delle forze armate sudanesi e delle Forze di supporto rapido affinché cessino immediatamente le ostilità" e "inizino un dialogo per risolvere la crisi" è arrivato anche dal segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, in linea con la Lega araba. I confinanti Egitto e Sud Sudan e il vicino Kenya si sono offerti di mediare. Il capo della missione Onu in Sudan, Volker Perthes, si è detto "estremamente deluso" dal fatto che l'esercito e i paramilitari abbiano rispettato solo "parzialmente" la "tregua umanitaria" di tre ore che avevano affermato di voler accettare domenica. Il governo italiano ha espresso "vivissima preoccupazione per il protrarsi degli scontri" e la loro estensione "a diverse zone del Sudan", ha fatto sapere il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in contatto con l'ambasciata d'Italia a Khartoum e altre ambasciate europee per monitorare la sicurezza dei circa 150 connazionali sul posto e valutare eventuali "opzioni a tutela della loro incolumità".