Sudan, scontri nella capitale tra esercito e paramilitari. In Darfur morti 3 operatori Onu

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Continua la guerriglia a Khartoum tra i militari di Burhan e Hemedti, che avrebbero dovuto firmare un accordo per riportare la pace nel Paese. Scontri anche in altre regioni: in Darfur uccisi tre operatori del Programma alimentare mondiale dell’Onu. Spari nonostante i corridoi umanitari. Le Nazioni Unite sostengono stop immediato delle ostilità. Gli Usa evidenziano come “le parti si debbano impegnare a ridurre le tensioni e garantire la sicurezza dei civili”. Papa: “Si depongano le armi, prevalga il dialogo”

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Non si ferma la guerriglia a Khartoum, in Sudan, dove da giorni si fronteggiano l’esercito regolare e le Forze di supporto rapido (Rsf), che si erano già affrontate durante il colpo di Stato del 2021. Il comitato centrale dei medici sudanesi parla di oltre 56 vittime e centinaia di feriti. Scontri anche in altre regioni. In Darfur sono stati uccisi tre operatori umanitari del Pam-Wfp, il Programma alimentare mondiale dell'Onu. "I civili e gli operatori umanitari non sono un bersaglio", ha detto il rappresentante speciale delle Nazioni Unite Volker Perthes. Il Programma ha annunciato una sospensione temporanea delle proprie operazioni nel Paese. Intanto, l'esercito sudanese e i paramilitari si sono dichiarati disponibili all'apertura temporanea, di tre o quattro ore, di corridoi umanitari chiesti dall'Onu, pur riservandosi il diritto di rispondere al fuoco della parte avversa. Nonostante l’annuncio, però, a Khartoum si continuano a sentire spari, colpi di "artiglieria" e "forti esplosioni". Colpita anche la sede dell'ufficio di corrispondenza della tv panaraba Al Arabiya e del suo canale di sole notizie al-Hadath. Per concordare un cessate il fuoco, andrà "immediatamente" in Sudan Moussa Faki Mahamat, capo dell'Unione africana (Ua).

La situazione nella capitale

A Khartoum mancano l'acqua e l'elettricità. Nonostante gli appelli delle organizzazioni internazionali al cessate il fuoco, nella capitale si sentono spari e il rumore dell'artiglieria pesante: da un lato le forze di supporto rapido dichiarano su Facebook che a Port Sudan sono state attaccate da "aerei stranieri", mentre dall'altro l'esercito sudanese dice di avere preso il controllo della più grande base delle Rsf a Karari. I paramilitari sostengono "di controllare il 90% delle aree militari in Sudan", come ha dichiarato il tenente generale Muhammad Hamdan Dagalo, detto Hemedti, a Sky News Arabia. Secondo quanto sostiene Dagalo, il suo rivale, il generale Abdel-Fattah Al-Burhan che comanda le forze armate sudanesi, "si nasconde sotto terra e spinge i figli dei sudanesi a combattere mentre un certo numero di ufficiali si sono uniti alle forze di supporto rapido". 

Una scuola bloccata

Almeno una ventina di alunni delle classi elementari e medie della Comboni Boys School, la scuola maschile comboniana della capitale Khartoum, sono rimasti intrappolati nel loro istituto, bloccati dagli scontri scoppiati da sabato tra l'esercito e le milizie paramilitari. “Abbiamo parlato con i genitori per far loro sapere che i bambini stanno bene”, ha raccontato il preside Joseph Francis. Difficile il ricongiungimento. “I genitori non sono riusciti a raggiungere la capitale per recuperare i ragazzini perché vivono fuori città e i ponti di collegamento da Omdurman e Bahari sono stati chiusi", ha dichiarato il preside che ha poi aggiunto come sia stato allertato l'Unicef e come, insieme ai ragazzini, ci siano almeno 17 dipendenti intrappolati anche loro da due giorni.

Le ragioni dello scontro

Lo scontro era nell’aria già da settimane e le ragioni hanno due nomi e cognomi, i già citati Al-Burhan e Dagalo, che sono i capi dei rispettivi eserciti. Nei giorni scorsi si sarebbe dovuto firmare un accordo che avrebbe aperto un processo politico in grado di riportare i civili al potere in Sudan. La firma è stata continuamente rinviata per disaccordi tra l'esercito regolare, guidato da Burhan, e dalle Forze di supporto rapido, capeggiato da Hemedti, che disporrebbero di circa 100mila uomini, i cosiddetti “janjaweed", noti come i “diavoli a cavallo”. Durante il colpo di stato di due anni fa, Hemedti e Burhan hanno formato un fronte comune per estromettere i civili dalla guida del paese, dopo l’arresto di Omar al-Bashir, finito davanti alla Corte penale internazionale de L’Aja. Col passare del tempo, tuttavia, Hemedti ha costantemente denunciato il colpo di stato e anche di recente ha scelto di schierarsi con i civili, perciò contro l'esercito nelle trattative politiche, bloccando ogni possibile soluzione alla crisi in Sudan. Le ragioni delle divergenze riguardano essenzialmente il futuro dei paramilitari, che sarebbero dovuti entrare nell’esercito regolare, istituzione che in Sudan detiene sia il potere politico che economico. L'esercito non rifiuta questo compromesso, ma vuole comunque imporre le sue condizioni di ammissioni e limitarne l'integrazione. Hemedti, invece, rivendica un'ampia inclusione e, soprattutto, un ruolo centrale all'interno dello stato maggiore.

CORRECTION / Smoke rises above buildings in Khartoum on April 15, 2023, amid reported clashes in the city. - The Sudanese army said on April 15 that paramilitaries attacked its bases in Khartoum and elsewhere, shortly after the paramilitary said their camps were attacked by the regular army. (Photo by AFP) / “The erroneous mention[s] appearing in the metadata of this photo by - has been modified in AFP systems in the following manner: [stringer] instead of [Ashraf Shazly]. Please immediately remove the erroneous mention[s] from all your online services and delete it (them) from your servers. If you have been authorized by AFP to distribute it (them) to third parties, please ensure that the same actions are carried out by them. Failure to promptly comply with these instructions will entail liability on your part for any continued or post notification usage. Therefore we thank you very much for all your attention and prompt action. We are sorry for the inconvenience this notification may cause and remain at your disposal for any further information you may require.”

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L’importanza dell’accordo

A ciò si aggiunge che i Comitati di resistenza, esattamente come l'Associazione dei professionisti sudanesi, alla base della rivoluzione del 2019, ripetono di rifiutare qualsiasi accordo con i soldati golpisti. E hanno continuato, regolarmente, a manifestare contro l'attuale regime, guidato da Burhan. In questo modo i gruppi armati che si sono rifiutati di aderire al dialogo a dicembre stanno praticamente negando ai civili la possibilità di guidare la transizione. Un accordo tra le parti sarebbe essenziale, in quanto permetterebbe di sganciare le forze armate dalla politica e agevolerebbe un ritorno degli aiuti internazionali in Sudan, uno degli Stati più poveri al mondo.

Pope Francis (L) and the President of South Sudan Salva Kiir (R) attend meeting with authorities, leaders of civil society and the diplomatic corps, in the garden of the Presidential Palace in Juba, South Sudan, on February 3, 2023. - Pope Francis landed in Juba, in the first visit to South Sudan by a pope since the predominantly Christian nation gained independence from Muslim-majority Sudan in 2011 after decades of bloody struggle. (Photo by Tiziana FABI / AFP) (Photo by TIZIANA FABI/AFP via Getty Images)

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La preoccupazione del Papa e dell'Italia

"Seguo con preoccupazione gli avvenimenti che si stanno verificando in Sudan. Sono vicino al popolo sudanese, già tanto provato, e invito a pregare affinché si depongano le armi e prevalga il dialogo per riprendere insieme il cammino della pace e della concordia", ha detto Papa Francesco. “Vivissima preoccupazione” è stata espressa anche dal governo italiano. “Solo un cessate il fuoco immediato con la ripresa dei negoziati potrà consentire di giungere a un accordo politico inclusivo per la formazione di un governo civile di transizione che porti il Sudan a elezioni democratiche", ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani al vertice del G7 Esteri a Karuizawa, in Giappone.

L’esortazione Usa

Sul tema è intervenuto anche il segretario di Stato americano Anthony Blinken che, insieme ai ministri degli Esteri di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, Faisal bin Farhan e Abdullah bin Zeid Al Nahyan, ha chiesto alle parti in conflitto di porre subito fine agli scontri. “Abbiamo convenuto che le parti devono cessare immediatamente le ostilità senza precondizioni. Esorto il generale Abdel Fattah Burhan e il generale Mohammed Daglo ad adottare misure attive per ridurre le tensioni e garantire la sicurezza di tutti i civili”, ha dichiarato in una nota il Dipartimento di Stato Usa.

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La condanna delle Nazioni Unite

In merito agli scontri si è espresso anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha condannato fermamente questi combattimenti tra le forze di supporto rapido e le forze armate sudanesi e ha chiesto di "portare subito davanti alla giustizia" chi ha ucciso i tre operatori umanitari del Pam in Darfur. "Il segretario generale ha rivolto l'invito ai leader delle Forze di supporto rapido e delle Forze armate sudanesi a cessare immediatamente le ostilità, ripristinare la calma e avviare un dialogo per risolvere l'attuale crisi", ha dichiarato Stephane Dujarric, il portavoce di Guterres, in una dichiarazione. Guterres ha invitato gli Stati membri delle Nazioni Unite nella regione “a sostenere gli sforzi per ristabilire l'ordine e tornare sulla via della transizione in Sudan”, ha aggiunto il portavoce, che ha poi evidenziato come il segretario abbia già avuto i primi colloqui, sia con il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi che col presidente della Commissione dell'Unione africana Moussa Faki Mahamat. “Guterres ha già parlato con il comandante della Rsf Mohamed Hamdan Dagalo e presto lo farà anche con il comandante delle forze armate sudanesi Abdel Fattah al-Burhan", ha dichiarato Dujarric.

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