I discorsi tenuti da Vladimir Putin e dal presidente americano Joe Biden a pochi giorni dall'anniversario dell'inizio del conflitto ricordano come quest'ultimo abbia delle ragioni alla base che ne rendono impossibile la fine in tempi brevi. Ecco tutte le cause che hanno portato a una contrapposizione lunga ormai dodici mesi tra Mosca e Kiev, in cui anche l'Alleanza atlantica è coinvolta
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“Abbiamo fatto il possibile per risolvere la questione del Donbass in modo pacifico”. L’incipit del discorso di Vladimir Putin a un anno dall’inizio del conflitto dell’Ucraina riporta alla luce le ragioni che hanno portato il presidente russo ad avviare quella che lui ha per lungo tempo definito “un’operazione speciale”. “Sono stati loro a iniziare la guerra, noi usiamo la forza per fermarla. Non avevamo dubbi che a febbraio l’Occidente aveva già preparato delle operazioni punitive nel Donbass, dove già avevano bombardato e questo era in contraddizione con la risoluzione dell’Onu”, ha dichiarato il presidente russo. Ma come è iniziato tutto?
Le ragioni storiche
Per capire bisogna tornare al febbraio 2014 quando, dopo mesi di proteste, il popolo ucraino spodestò il presidente filorusso Viktor Yanukovich, che si era ritirato all’ultimo dalla firma del Trattato di associazione fra l’Ucraina e l’Unione europea, malvisto da Mosca. Questo è l'Euromaidan, una serie di manifestazioni nelle quali morirono 130 persone tra manifestanti e agenti di polizia: il risultato fu l’instaurazione di un governo ad interim filoeuropeo. La reazione della Russia non si fece attendere: la Crimea venne invasa e Putin incoraggiò la rivolta anche nel Donbass, regione russofona presente nell’est del Paese. Da allora il conflitto, incoraggiato da uomini senza distintivi mandati da Mosca, ha lasciato la regione in uno stato di conflitto rimasto per molto tempo latente. Eppure, le ragioni provengono da ancora più lontano: Putin, infatti, rivendica l’Ucraina come “territorio della Russia, che ha un diritto storico sulla regione”. Per questa ragione ha spesso accusato i leader bolscevichi del passato di aver strappato dei pezzi di territorio dall’ex Urss per formare quella che oggi è l’Ucraina. Come ha scritto nel febbraio 2022 David Sanger sulle pagine del New York Times, “l’impressione è che Putin sia in missione per correggere questo errore”.
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Russi, ucraini, bielorussi: tutti un unico popolo
Nel luglio 2021 uscì infatti un saggio firmato da Putin dal titolo Sull’unità storica dei russi e degli ucraini: all’interno il presidente russo scriveva che la ragione principale per cui Russia, Ucraina e Bielorussia sarebbero un unico territorio è che tutti quanti discendono dalla cosiddetta “Rus di Kiev”, un insieme di tribù slave, baltiche e finniche che nel nono secolo creò un’entità monarchica che comprendeva parte degli attuali territori dei tre Stati. Secondo Putin l’identità russa odierna nacque proprio lì, in territorio ucraino, e solo in seguito si estese al resto dei territori. A ciò va aggiunto che fu il principe di Kiev, Vladimiro, a convertirsi al cristianesimo, dando così inizio alla lunga storia della Chiesa ortodossa russa. In seguito, l’Ucraina divenne sempre più marginale e venne addirittura sottomessa dalla Polonia, che la spartì insieme alla Russia di Ivan il Terribile, zar che unificò il territorio a partire dal ‘500.
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Cosa c’entra la Nato?
In tutto questo ha ovviamente un ruolo decisivo la contrapposizione con la Nato: la Russia ha infatti rimarcato la sua ferma volontà di non volere le truppe dell’Alleanza del Nord Atlantico lungo gli oltre 2.000 chilometri di confine che condivide con l’Ucraina. Tuttavia, va ricordato come la Nato, anche se lo volesse, non potrebbe accordarsi con Putin su questo punto, in quanto violerebbe l’articolo 10 del suo Trattato, che sostiene che “i membri possono invitare previo consenso unanime qualsiasi altro Stato europeo in condizione di soddisfare i principi di questo trattato e di contribuire alla sicurezza dell’area nord-atlantica ad aderire a questo trattato. Qualsiasi Stato così invitato può diventare un membro dell’organizzazione”. Ad un anno dai fatti del 24 febbraio non sappiamo se Kiev entrerà mai davvero, visto che per accedere il presidente Zelensky dovrebbe avviare diverse riforme politiche e militari, oltre che una lotta senza quartiere alla corruzione. In ogni caso il suo eventuale ingresso, unito a quello della Finlandia, che ha allo stato attuale più speranze di entrare, tramuterebbe in realtà quel senso di accerchiamento di Mosca, che dalla fine della Guerra Fredda ha visto pian piano avanzare le truppe Nato sempre più a est. Un incubo che inevitabilmente si scontra con quello che è il sogno del Cremlino: mantenere la sua sfera d’influenza nell’Europa orientale. Pensare però che la Nato possa rinunciare alle sue attività nella regione, tornando alla situazione del 1997, pare utopistico: da allora, infatti, l’Alleanza atlantica ha incluso Paesi come Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia, Albania, Croazia, Montenegro e Macedonia del Nord. Tutti Paesi un tempo sotto l’influenza sovietica e oggi stabilmente con l’Occidente.
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Il ruolo degli Stati Uniti
Infine, va ricordato il ruolo degli Stati Uniti nella vicenda: l’amministrazione Biden, insediatasi nel 2021, non aveva tra i suoi obiettivi un simile raffreddamento dei rapporti con il Cremlino, con cui anzi sperava di poter trovare una significativa distensione su temi come il terrorismo e il disarmo. Piani che sono falliti già da dodici mesi e che, come dimostrano anche le parole del presidente americano a Varsavia, aprono una fase diversa dei rapporti tra Washington e Mosca: la Casa Bianca non può concedere la vittoria a Putin, in primis perché significherebbe mettere in pericolo i Paesi della Nato più esposti alle minacce del Cremlino, come i Paesi baltici, e poi perché questo avrebbe conseguenze anche in Estremo Oriente, dove la Cina di Xi Jinping potrebbe legittimamente pensare di poter invadere Taiwan. “C’è una ragione fondamentale per cui gli Stati Uniti e il resto del mondo democratico dovrebbero sostenere l’Ucraina nella sua battaglia contro la Russia di Putin. L’Ucraina è una vera democrazia liberale, anche se in difficoltà. La popolazione è libera, in un modo in cui i russi non lo sono. Possono protestare, criticare, mobilizzarsi e votare. Per questo Putin vuole invadere l’Ucraina: la vede come una parte integrante della Russia, ma soprattutto ne teme la democrazia che può proporre un modello ideologico alternativo per il popolo russo”, scriveva Francis Fukuyama nel febbraio 2022 sul sito American Purpose. La storia, di cui Fukuyama aveva preconizzato il termine con la fine del XX secolo, oggi sembra essere tornata a scandire i suoi battiti.