La maggior parte dei manifestanti provengono dalle regioni minerarie meridionali del paese e protestano per la disuguaglianza e l'aumento dei prezzi: chiedono le dimissioni della presidente peruviana Dina Boluarte
Si è conclusa con un saldo di un morto e 38 feriti la giornata di scioperi e proteste che si sono tenute giovedì in tutto il Perù contro il governo della presidente Dina Boluarte. Questo il bilancio stilato dal ministro dell'Interno, Vicente Romero, che ha rivolto un appello ai manifestanti ad "abbandonare la violenza". La persona deceduta, ha riferito Romero in una conferenza stampa tenuta al termine della giornata, è un manifestante che partecipava degli scontri con le forze dell'ordine avvenuti attorno all'aeroporto internazionale della città di Arequipa, nel sud del Paese. Sale così a 52 (51 manifestanti, un poliziotto) il numero delle persone che hanno perso la vita dall'inizio della crisi. I gruppi per i diritti umani hanno accusato la polizia e l'esercito di aver usato armi da fuoco letali durante le proteste. La polizia afferma che i manifestanti hanno usato armi ed esplosivi fatti in casa.
Scontri anche a Lima
Per la prima volta dall'inizio delle proteste dopo la destituzione dell'ex presidente Castillo, violenti scontri tra manifestanti e polizia si sono registrati ieri anche a Lima. La scintilla che ha scatenato la battaglia campale durata diverse ore nel centro della capitale, è scoppiata quando un corteo di un centinaio di persone ha cercato di forzare un cordone di polizia che impediva l'accesso alla piazza del Congresso. Mentre ancora infuriavano le proteste di piazza in tutto il Paese e le televisioni trasmettevano le immagini di un edificio in fiamme vicino al palazzo di Governo, la presidente Boluarte ha emesso un messaggio video dove ha avvertito che "gli atti di violenza non rimarranno impuni".
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I disordini sono scoppiati il 7 dicembre
Gli scontri segnano la peggiore violenza che il Perù abbia visto in oltre 20 anni, poiché molte persone nelle regioni rurali sfogano la rabbia contro l'élite politica di Lima. Una crisi che riflette l'enorme divario tra la capitale e le province povere che avevano visto nell'elezione del presidente Castillo, di origine amerindia, una rivalsa contro il disprezzo di Lima. I disordini in Perù sono scoppiati dopo la destituzione e l'arresto, il 7 dicembre, del presidente di sinistra Pedro Castillo, accusato di aver tentato un colpo di stato per sciogliere il Parlamento che si apprestava a estrometterlo dal potere.
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In piazza anche la comunità aymara
I manifestanti chiedono le dimissioni di Boluarte, nuove elezioni, e la liberazione di Castillo, destituito con un impeachment, e chiuso in carcere per ribellione, dopo aver tentato un golpe. La manifestazione, indetta dai sindacati in sciopero e dalle organizzazioni sociali, mira a far confluire la protesta, relegata inizialmente nelle province più povere e a maggioranza contadina e indigena, direttamente alle porte del palazzo di Governo. Nelle prime ore di giovedì erano già diversi i cortei che si stavano raggruppando in vari punti di accesso alla capitale. Tra questi quello composto da 11 mila rappresentanti della comunità aymara della regione andina di Puno, epicentro della protesta antigovernativa e dove, solo nelle ultime settimane, si sono registrati oltre venti morti.
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Massiccio schieramento della polizia
L’atteggiamento del governo di Boluarte, invece di contenere il malcontento e la rabbia popolare, nelle ultime settimane non ha fatto altro che infiammarli. E lo Stato di emergenza a Lima, col massiccio schieramento di polizia ordinato dalla presidente a difesa del centro della capitale - circa 12 mila agenti presidiano i principali accessi - ne sono una conferma.