Assalto Capitol Hill, “Trump ha provato a chiamare un testimone”

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Al termine della settima udienza della commissione d'indagine parlamentare, la vicepresidente Liz Cheney ha evocato una "tentata corruzione di testimoni". Il fatto è stato segnalato al dipartimento di Giustizia. Oggi focus sui rapporti tra l'entourage del tycoon e i gruppi di destra come Proud Boys e Oath Keepers che assaltarono il Congresso il 6 gennaio 2021. Da alcune testimonianze emerge che i comportamenti di Trump erano premeditati per mobilitare gli estremisti

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La commissione parlamentare d'inchiesta sull'assalto a Capitol Hill ha segnalato al dipartimento di giustizia il tentativo dell'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump di chiamare uno dei testimoni dell'indagine (il cui nome non è stato reso noto) per valutare eventuali profili penali. Lo ha riferito la vicepresidente Liz Cheney al termine dell'udienza di oggi, evocando una tentata corruzione di testimoni. 

Il focus sui gruppi di destra

Nella settima udienza pubblica della commissione d'indagine parlamentare, è stato dibattuto il rapporto diretto tra l'entourage di Donald Trump e i gruppi di destra come Proud Boys e Oath Keepers che assaltarono il Congresso il 6 gennaio 2021 per ribaltare l'esito del voto. I legami con i gruppi estremisti, documentati anche da messaggi criptati, passarono attraverso figure come quelle dell'ex consulente Roger Stone e dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, nonché dell'ex stratega Steve Bannon, in attesa di processo per oltraggio alla Camera per il suo rifiuto di testimoniare in aula. La commissione '6 gennaio' ha raccolto prove che i gruppi di destra volevano inizialmente scendere nella capitale nei giorni successivi all'insediamento di Joe Biden. Ma a cambiare i loro piani fu un incendiario tweet di Trump del 18 dicembre 2020, in cui dichiarando "statisticamente impossibile" la sua sconfitta alle elezioni di novembre invitava i sostenitori a partecipare al comizio che sarebbe poi sfociato in rivolta. Quel cinguettio, secondo la commissione, "servì come chiamata all'azione, e in alcuni casi come chiamata alla armi, per molti dei supporter più leali di Trump". 

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In aula anche estremisti pentiti

Presenti in aula come testimoni anche due ex militanti di estrema destra: Stephen Ayres, già incriminato per l'attacco al Congresso, ha riferito che fu influenzato direttamente dalla retorica di Donald Trump sui brogli elettorali e che gli credeva ciecamente. Il secondo, Jason Van Tatenhove, ha testimoniato sulla progressiva radicalizzazione degli Oath Keepers, uno dei gruppi di estremisti che ha assalito il Campidoglio e di cui in passato è stato portavoce. "Posso dirvi che a loro non piace essere chiamati milizia, ma lo sono. Sono una milizia violenta", ha dichiarato, riferendo di essersene allontanato dopo aver sentito alcuni membri negare l'Olocausto. Tatenhove ha definito l'assalto al Capitol "una rivoluzione armata" e ha riferito che il fondatore del gruppo, l'ex paracadutista Stewart Rhodes, "cercava sempre dei modi per legittimare quello che stava facendo". 

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Le deposizioni di oggi

Tra le deposizioni registrate quella dell'ex avvocato della Casa Bianca Pat Cipollone, che ha corroborato le accuse di Cassidy Hutchinson, l'ex braccio destro dell'allora chief of staff Mark Meadows, e ha messo in fuorigioco il suo ex boss sulle accuse di brogli: "Non c'erano evidenze sufficienti per ribaltare l'esito del voto, avrebbe dovuto riconoscere la sconfitta". Il legale ha inoltre definito una "terribile idea" per il Paese la proposta di alcuni consiglieri dell'allora presidente di sequestrare le macchine che processavano le schede elettorali. Secondo Cipollone, l’allora vice presidente Mike Pence "non aveva l'autorità legale per ribaltare il voto", contraddicendo così apertamente la tesi di Donald Trump. Rifiutandosi di assecondare la richiesta del presidente, Pence "fece la cosa giusta", "la cosa coraggiosa”. Un altro colpo devastante contro l'ex presidente, sempre più tentato di annunciare la sua (terza) candidatura alla Casa Bianca già in luglio, con un anticipo senza precedenti per un candidato presidenziale. 

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La riunione del 18 dicembre

Insulti, urla, caos: vari testimoni hanno descritto così la riunione del 18 dicembre alla Casa Bianca fra Trump e alcuni suoi alleati, tra cui l'avvocata Sidney Powell e l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. "Chi sono?", chiese sdegnato l'allora avvocato della Casa Bianca, Pat Cipollone, temendo che non potessero dare buoni consigli al presidente. Cipollone ha raccontato di essere stato verbalmente attaccato e che gli alleati del tycoon, tra cui il suo avvocato personale, Rudy Giuliani, mostravano "un generale disprezzo per le prove a supporto di ciò che dicevano a proposito dei brogli. Derek Lyons, un ex dello staff della Casa Bianca, ha detto che volavano insulti e urla. E che Sidney Powell voleva che i legali della Casa Bianca fossero licenziati e scortati fuori. Nella riunione Powell, Flynn e Giuliani sollecitarono Trump a sequestrare le macchine elettorali negli Stati battleground, incontrando la netta opposizione di Cipollone e Herschmann. Il gruppo della Powell accusò i legali della Casa Bianca di non avere il coraggio di ribaltare il voto. Un incontro "pazzo", l'ha definito Cassidy Hutchinson, l'ex braccio destro dell'allora chief of staff Mark Meadows, raccontando che lo stesso Meadows accompagnò Giuliani fuori della Casa Bianca per essere sicuro che non vagasse per la residenza. Il giorno dopo quell'incontro esplosivo Trump scrisse il tweet che incoraggiò i suoi fan ad andare a Washington il 6 gennaio.

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