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11/9 Stories, Barasch (Lawyers for 9/11 Community): educare la comunità dell'11 settembre

Mondo

Valentina Clemente

"Il mio obiettivo con l’associazione “Lawyers for the 9/11 community” è educare la Comunità dell’11 settembre, e ricordare a tutti i giornalisti (e non solo) che si trovavano a Ground Zero (e che a seguito dell'esposizione alle polveri hanno sviluppato delle malattie) che hanno dei diritti" - L'obiettivo di Michael Barasch,  Managing Partner of Barasch & McGarry è molto chiaro: aiutare chi è stato colpito dagli attacchi delle Torri Gemelle perché "l'11 settembre non è finito l'11 settembre"

"Sto seguendo circa 70 giornalisti. Ironia della sorte, non meno di due ore fa una giornalista francese è venuto a intervistarmi e abbiamo parlato del fatto che lei era proprio a New York, per lavoro, dopo l'11 settembre..." Inizia così, con queste parole dell'avvocato Michael Barasch, la nostra intervista su Attorneys for the 9/11 Community, iniziativa dello studio legale newyorkese Barasch & McGarry con lo scopo di aiutare legamente ed economicamente le persone (soprattutto giornalisti) che, a seguito dell'11 settembre, hanno sviluppato serie patologie. Un impegno molto importante che non coinvolge solo cittadini americani, ma anche molti stranieri. Ecco perché è necessario diffondere, il più possibile, questo progetto.

Potete trovare tutti i dettagli su: https://www.post911attorneys.com/

Fondamentale educare la Comunità dell'11 settembre

Ha detto che l'11 settembre non è finito l'11 settembre. Con la sua attività vuole aiutare chi soffre di mali causati dagli attacchi?

 

Il mio obiettivo con “Lawyers for the 9/11 community” è educare la comunità dell’11 settembre, e ricordare a ciascuno di loro che hanno dei diritti. Che si tratti di un programma sanitario per le persone che vivevano qui negli Stati Uniti e del fondo di risarcimento delle vittime per le persone negli Stati Uniti e per gli stranieri che sono tornati nel paese di origine. Pensi, sono stato intervistato da una giornalista di una rivista francese: bene, questa collega mi ha detto che, per Elle, è venuta qui a New York per raccontare la città dopo l’11 settembre, intervistando vigili del fuoco, poliziotti e raccontando ai francesi ciò che stava osservando lei stessa. Ha sviluppato un cancro al seno nel 2016. Prima di incontrarmi, non aveva idea che, come giornalista, avesse diritto a un risarcimento significativo. I giornalisti erano considerati soccorritori perché, in quei giorni, informavano il resto del paese. E hanno continuato a farlo per giorni, settimane, mesi. La gente era preoccupata che i ponti di Manhattan, la stazione ferroviaria, gli altri aeroporti venissero bombardati. Non ci sono stati voli per cinque giorni. I giornalisti hanno parlato al paese, dicendo che gli attacchi erano finiti e che eravamo al sicuro. Ecco perché sono considerati primi soccorritori. 

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Può essere più specifico: questi giornalisti devono portare della documentazione?

 

Ogni anno che passa, però, diventa sempre più difficile dimostrare che si era sul posto. La giornalista francese che ho incontrato è “fortunata” (se così si può dire) che la sua rivista viene ancora pubblicata. È stata in grado di darmi un documento firmato dall’editore che le aveva chiesto di venire a New York proprio per raccontare Ground Zero. Poi si è ricordata anche di un collega con cui ha lavorato in quel periodo. E quel collega è ancora vivo. Ed è stata anche in grado di fargli scrivere una documentazione simile. Anche questo è fondamentale. Il governo americano non sta dando alcun compenso alle persone a meno che non possano dimostrare che erano realmente nella zona di esposizione l'11 settembre o per un certo numero di ore dopo l'11 settembre. Questo è essenziale. E poi si deve dimostrare che la malattia che si ha è riconosciuta dal World Trade Center Health Program, come correlata all'esposizione a quegli attacchi. 

 

 

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Alcuni dei miei nuovi collaboratori hanno perso delle persone care negli attacchi dell'11 settembre. E lavorare qui, per loro, significa ricordare chi è scomparso

Tutti sono stati colpiti dall'11 settembre e scommetto che anche lei, ascoltando le storie delle persone che vengono a chiederle consulenza e aiuto, ne resta toccato...

 

Ho una regola quando assumo dei nuovi collaboratori: essere empatico. Questa non è una class action, ogni persona ha la sua storia. C'è chi, a seguito dell'11 settembre, viene qui dopo aver sviluppato un cancro alla prostata, al seno,  al cervello o ha malattie respiratorie: ognuno è diverso. E molte delle persone che ho assunto nel corso degli anni sono figli di vigili del fuoco e poliziotti deceduti. Sembrano gravitare intorno alla mia azienda, perché sentono che stanno ricambiando, sentono che stanno facendo qualcosa in memoria del padre o della madre che sono morti. Un altro motivo per cui prendo così sul personale questo progetto? L'11 settembre 2001 avevo solo quindici dipendenti. Di quelle 15 persone, Leanna aveva 47 anni quando morì di cancro al seno, Dennis aveva  47 anni quando morì di cancro ai reni. Io sono sopravvissuto al cancro alla prostata, la mia segretaria Barbara ha avuto un linfoma, il mio socio un melanoma e molti altri hanno avuto altri tipi di cancro e problemi respiratori, tutti collegati agli attacchi del World Trace Center.

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Ci era stato detto che potevamo tornare perché l'aria era pulita, ma non lo era

Siamo tornati qui perché ci è stato detto che l'aria era pulita e si poteva respirare. Non lo era. Ma poi il governo americano ha fatto una cosa meravigliosa: ha approvato la legge che ha creato il programma World Trade Center e il fondo di risarcimento delle vittime sia per i soccorritori che per i civili. Il mio compito è assicurarmi che le persone abbiano accesso a questi benefici.

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È essenziale che così tante persone sappiano che lei le può aiutare...

 

Ecco perché accetto di rilasciare interviste a giornalisti che vivono oltreoceano. Perché so che c'erano molte persone dall'Italia, dalla Germania, dal Giappone, dalla Cina che lavoravano a Wall Street, che frequentavano uno dei tanti college e università a Lower Manhattan, che vivevano a Manhattan. Spero che alcuni dei suoi spettatori vedranno questa intervista e diranno: “Conosco qualcuno che lavorava a New York, forse dovrei chiamare la famiglia. Fargli sapere che non è troppo tardi. Oppure sono ancora vivi e hanno il cancro. E dovrebbero avere accesso a questi vantaggi.

"9/11 didn't end on 9/11"

Ricordiamo sempre: i giornalisti non sono considerati primi soccorritori ma sono comunque ritenuti soccorritori. E l’11 settembre non è terminato l’11 settembre. Non bisogna dimenticarlo.

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