La relazione speciale Bush - Blair, l'alleanza di ferro contro l'Asse del male

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Gianluca Ales

Il presidente Usa e il premier Britannico, due personalità opposte e con storie lontane, divennero la spina dorsale dela coalizione nella Guerra al Terrore. Anche se il successo dell'uno fu la rovina politica dell'altro 

A un primo sguardo, George W. Bush e Tony Blair sono stati davvero una strana coppia. E non solo, banalmente, perché il britannico era un premier Laburista mentre l’americano un presidente ultraconservatore, ma proprio perché nulla accomunava due personalità cosi distanti per formazione, cultura, estrazione sociale e visione del mondo. Eppure, la Storia ha voluto che, dopo molte circonvoluzioni i due diventassero il simbolo di un’unione indissolubile, che ha segnato il destino politico e il lascito storico di entrambi. 

Bush, da pecora nera a Commander in Chief

Quel che è sempre stato noto di George W. Bush è che detestava essere chiamato junior, quasi fosse una deminutio rispetto al padre, George H. W., leggendario vicepresidente e incarnazione del reaganismo anni ’80. Un presidente forse un po’ opaco rispetto al suo predecessore, tanto da non essere rieletto pur dopo una guerra vinta, nel ’91, contro Saddam Hussein. Comunque, un uomo ingombrante. Soprattutto perché affiancato da un fratello, Jeb, governatore della Florida, considerato l’astro nascente del Great Old Party.

È vero: anche W. Lo era stato, del Texas, ed era stato anche rieletto, ma di quei suoi due mandati si ricordava soprattutto il record di esecuzioni capitali, ben 157. Ma soprattutto era il passato tumultuoso a gravare come un macigno sulla sua immagine. Ex alcolista, un curriculum poco lusinghiero come manager di una società petrolifera e poi di una squadra di football, era un “cristiano rinato”, che aveva imboccato la via della redenzione dopo aver incontrato Billy Graham.

Gaffeur, noto per i suoi errori grammaticali e la scarsa conoscenza del mondo, su di lui circolava la feroce storiella secondo cui era depresso perché la sua biblioteca era andata in fiamme e si erano persi entrambi i libri, ed uno non aveva neanche finito di colorarlo. Insomma: il figlio debosciato di una stirpe di petrolieri, finito sulla poltrona di presidente più per il suicidio strategico di al Gore e del Partito democratico che per le sue capacità. Lo aveva incoronato un’elezione finita in una gazzarra giudiziaria e la sua scarsa empatia lo avevano fatto precipitare nei consensi.

FKM16 - 20010911 - NEW YORK, UNITED STATES : Balls of flames and smoke billow out of the top floors of the World Trade Center Towers 11 September 2001 in New York City.  Witnesses say two separate planes flew into the towers, in what is suspected to be a terrorist attack. 
EPA PHOTO DPA/HUBERT MICHAEL BOESL/tm-ms

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Blair, l’astro nascente e il New Labour

Ben diversa la parabola di Tony Blair, eletto trionfalmente come il premeir più giovane della Gran Bretagna, sembrava incarnare la spumeggiante “Swinging London” anni ’90. Di estrazione borghese, avvocato, militante del Labour fin dagli anni ’80, era passato dal proclamarsi socialista nel periodo thatcheriano fino a sposare un’ideologia più moderata e pragmatica. Una volta eletto aveva confermato il suo orientamento progressista riconoscendo i diritti LGBT, aveva alzato le tasse per sostenere la scuola pubblica e la sanità, aveva chiuso gli accordi di Stormont per la pace in Irlanda del Nord. Alla stessa Irlanda del Nord e alla Scozia aveva concesso maggiore autonomia. A livello internazionale aveva rafforzato i rapporti con gli Usa di Bill Clinton, e con lui aveva rinvigorito la “Relazione Speciale” transatlantica, teorizzando la “Terza Via”, la visione progressista del terzo millennio.

Aveva proposto una Costituzione europea scontrandosi con Francia e Olanda, aveva sostenuto senza indugi l’intervento in Kosovo in chiave “democratica”. L’opinione pubblica lo aveva incensato per la delicata gestione della morte di Diana Spencer, la sua determinazione e delicatezza nel proteggere la Casa Reale. Insomma, un leader brillante, equamente amato e odiato sia da destra che da sinistra, che aveva trasformato il suo partito nel “New Labour”, una formazione politica moderatamente progressista ben lontana dalle derive radicali del decennio precedente. Il suo secondo mandato aveva segnato sì un calo di consensi, di due punti percentuali, ma era fisiologico per un personaggio così carismatico e decisionista.

L’11 settembre e il cambio di rotta

L’attacco alle Torri Gemelle segnò un repentino cambio di rotta per entrambi. Bush fino a quel momento era pressoché scomparso dai radar. Nove mesi in cui era stato bersaglio della satira più feroce per le sue continue fughe nel suo ranch in Texas, per la sua scarsa conoscenza del mondo che lo portava a pronunciare male perfino i nomi dei Paesi. Aveva rifiutato di ratificare il Protocollo di Kyoto e la Corte Penale Internazionale dell’Onu.

Blair invece aveva esposto la sua idea di politica estera con un discorso in cui delineava la “Dottrina della Comunità Internazionale”, detta anche solo “Dottrina Blair”. 

Quando i jet si infransero contro i grattacieli del World Trade Center, però, la ruota della Storia cambiò in modo irreversibile per entrambi. L’immagine di Bush sulle rovine fumanti, con a fianco il capo dei pompieri, il suo discorso in cui minacciava una risposta immediata al terrore, la sua determinazione nel colpire l’Afganistan lo trasformarono nel “Comandante in Capo” che l’America chiedeva. Risoluto, determinato, duro.

Per il premier britannico fu il momento del “game changing”, un brusco cambio di scenario che lo spinse a sposare senza incertezze la politica di Bush. Lo sostenne nell’intervento in Afghanistan con il secondo contingente militare ma, soprattutto, ritenne credibili le prove sulle armi di distruzione di massa e la necessità di un secondo intervento in Iraq.

CAT - BIN LADEN ALL JAZEERA OSAMA BIN LADEN ( - 2001-10-10, Alberto Cattaneo) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

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Il “barboncino di Bush”

È straordinario come l’immagine dei due sembri essere collegata inversamente. Tanto cresceva quella del presidente americano, tanto cadeva a picco quella dell’ex enfant prodige della politica britannica. Bush il condottiero contro il terrore, fautore del capitalismo caritatevole, Blair il “barboncino” incrollabilmente fedele a Bush, progressista rinnegato che appoggiava il neocolonialismo americano e l’idea della possibile esportazione della democrazia. Non ci sono risposte univoche sul perché abbia deciso di allinearsi, anzi appiattirsi quasi acriticamente, all’alleato statunitense. Impressiona però che anche le pubblicazioni più moderate lo definiscano colui che, nella sostanza, svolse il ruolo di rappresentante di Bush in Europa. Un’Europa sempre più scettica che gli volse le spalle, e provocò una frattura che – come avrebbe dimostrato la cronaca recente – sarebbe stata insanabile.

L’Asse del Male e la “pistola fumante”

Quel che sarebbe stato, a posteriori, un suicidio per l’immagine di Blair fu l’accettazione senza riserve della teoria del cosiddetto Asse del Male, ideata dall’amministrazione americana, che avrebbe portato all’intervento in Iraq. Anche perché, inspiegabilmente, il premier britannico non solo sposò il controverso dossier sulla presenza delle armi di distruzione di massa in Iraq, poi rivelatasi una colossale menzogna, ma ebbe un ruolo attivo: secondo quanto successivamente pubblicato dai media, furono proprio i servizi britannici a confezionare e fornire gran parte del materiale che Colin Powell avrebbe portato come prova al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la cosiddetta “Pistola fumante”.

Perché?

Certo è che a livello politico e di immagine fu un colpo mortale, da cui non si sarebbe più ripreso.

La fine delle carriere

Blair vinse anche le terze elezioni, ma concordando un turn-over con il suo rivale storico nel labour, Gordon Brown. Svolse il ruolo di mediatore del Quartetto per il Medio Oriente nel 2007, ma fu aspramente criticato sia per la scarsità dei risultati raggiunti che per la sua presunta ostilità nei confronti dei palestinesi. Lavora per JP Morgan e Zurich Financial, oltre ad essere professore a Yale.

Quanto a Bush, come tutti i presidenti Usa, ha terminato il suo mandato nel 2008. È stato lodato da Barack Obama per la correttezza con cui ha guidato la transizione e ora conduce una vita molto ritirata. Le sue apparizioni sono rare e calibrate, sempre per attività benefiche. Ha criticato aspramente Donald Trump per la sua politica divisiva e nelle ultime elezioni, prima volta per un ex presidente, non ha dato il suo endorsement al candidato repubblicano.  

John Lewis

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