Osama bin Laden, il mistero della vita e della morte dello sceicco del terrore

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Gianluca Ales

Da rampollo di una delle famiglie più ricche dell'Arabia Saudita al Terrorista più ricercato al mondo, da combattente a fantasma. Il grande enigna del fondatore di al Qaeda

C’è un’ombra che grava su tutto l’11 settembre.

È un’ombra lunga, quella di un uomo magro, alto quasi due metri - 1,97 cm, secondo i rapporti della CIA – dagli occhi grandi e il sorriso mite, dall’aspetto elegante, quasi sempre vestito di bianco, con la jellabah tradizionale araba che slancia ancora di più la figura.

Ma quello che interessa, di Osama bin Laden, non è tanto quel che si vede alla luce del sole, bensì quel lato oscuro che ha trasformato il rampollo di una delle più ricche famiglie saudite nell’uomo più ricercato al mondo. La sua ombra, appunto.

Perché da un lato di lui, il fondatore di al Qaeda e il probabile ideatore dell’attacco agli Stati Uniti, si sa quasi tutto, ma dall’altro è uno dei personaggi più misteriosi della Storia. La sua biografia è facilmente reperibile in rete, su di lui sono stati scritti un’infinità di libri, Robert Fisk, leggendario corrispondente di guerra, lo ha intervistato diverse volte.

Eppure, resta un enigma.

Il controverso rapporto con gli Usa

Nulla spiega il suo percorso da miliardario a combattente in Afganistan durante l’occupazione sovietica, a fianco degli Stati Uniti, a nemico acerrimo degli Usa, tanto da diventare il most wanted man dell’FBI.

La sua vita segue un percorso chiaro fino ai 17 anni. Studi a Londra, dove fa la vita da scavezzacollo – almeno secondo i rigidi standard dell’educazione ortodossa del wahabismo - un matrimonio precoce.

Poi, a 24 anni, nel 1979, va in Pakistan a sostenere la resistenza dei mujaheddin in Afghanistan. E qui la storia si complica. Osama ha sempre negato di aver lavorato con gli Stati Uniti. Nonostante anche loro fossero impegnati nella stessa attività, di sostegno logistico e fornitura di armi attraverso l’IS, il servizio segreto di Islamabad. Un apparato storicamente sostenuto dalla CIA.

Eppure, lo “Sceicco del terrore” ha definito le allusioni a un suo rapporto con Washington una “falsificazione degli Stati Uniti”.

Il filo della storia si ingarbuglia fino a quando, nel 1988, bin Laden abbandona il Pakistan e la lotta ai sovietici, e fonda al Qaeda, incontrando i vertici della Jihad Islamica in Egitto. La formazione esisteva già ai tempi della guerra ai sovietici, come “colonna araba” dei mujaheddin, ma prende forma solo in seguito. Intanto la guerra in Afghanistan è agli sgoccioli, torna in Arabia Saudita accolto come un eroe.

La nascita di al Qaeda e l'11 settembre

È durante l’invasione del Kuwait che si consuma la frattura con Riyad e la casa dei Saud, che accettano la collaborazione degli Stati Uniti per contrastare Saddam Hussein, un tempo fedele alleato degli Usa nella lotta all’Iran, ma divenuto ormai incontrollabile.

Osama contesta radicalmente la scelta della casa reale: le terre sacre dell’islam, la Medina e la Mecca, da cui è stato divulgato al mondo il messaggio del Profeta, non possono essere profanate dalla presenza di infedeli,

Scappa in Sudan, poi ricompare in Afghanistan dove, al termine di una violenta guerra fratricida si è imposta la fazione guidata dal Mullah Omar, un seguace dell’islam radicale. Tanto che i suoi adepti si fanno chiamare “Studenti del Corano”, Taliban. Qui bin Laden trova finalmente la realizzazione del suo progetto: la rigida applicazione del Corano, nella sua interpretazione più restrittiva.  

Al Qaeda nel frattempo comincia a colpire gli interessi americani. Gli attacchi più clamorosi alle ambasciate Usa a Dar es Salaam in Tanzania e a Nairobi, In Kenya, nel 1998. Poi, nel 2000, al cacciatorpediniere USS Cole nel Golfo di Aden.

Diversi rapporti indicano come l’intelligence statunitense avesse segnalato a più riprese l’intenzione di al Qaeda di colpire direttamente gli Usa, che ne fosse stato informato anche Bill Clinton.

Sempre secondo i servizi americani, il coinvolgimento di bin Laden negli attacchi dell’11 settembre è inconfutabile.

Però la condotta dello Sceicco del Terrore non è proprio lineare in proposito. Logisticamente, gli attentati furono organizzati da Mohamed Sheik Massud, e dapprincipio lo stesso capo di al Qaeda negò la sua partecipazione in un comunicato letto ad al Jazeera.  

Poi cambiò. 

I dubbi sulla rivendicazione e la morte

Prima vennero rinvenuti dei nastri dalle forze speciali americane a Jalalabad, in cui si allude alla soddisfazione per “il traguardo prefisso”, poi, nel 2004 bin Laden – a quattro giorni dalle elezioni che avrebbero confermato George W. Bush alla Casa Bianca – si rivolge al presidente accusandolo delle conseguenze della guerra in Afghanistan.

Da questo momento in poi il profeta del Jihad globale, che pure odiava le tecnologie, diventa virtuale. Prima invia videomessaggi alle reti tv, poi solo incisioni vocali. Si accavallano voci sulla sua morte, delle sue condizioni di salute sempre più precarie, la notizia che è dializzato in qualche ospedale. Poi le sue tracce si perdono nelle zone tribali al confine tra Pakistan e Afghanistan.

La sua morte non poteva essere meno misteriosa della vita. Non a caso ha dato il via a diverse pellicole hollywoodiane, che sposano la versione ufficiale: e cioè che la notte del primo maggio del 2010 un commando di forze speciali statunitensi fa irruzione nel suo compound ad Abbotabad, in Pakistan, lo uccide, e poi si libera del corpo in un punto imprecisato dell’oceano Indiano.

Molte le perplessità, anche giuridiche, che circondano la vicenda, ma non è questo il punto. Quel che resta da capire è il lascito dello Sceicco del Terrore.

E, guardando il mondo oggi, dopo le due guerre, si può dire che la sua eredità si è in parte persa. Certo, il terrorismo islamista resta un pericolo. Ma al Qaeda, nelle mani dell’opaco Ayman al Zawahiri, non ha più l’influenza di un tempo ed è stata soppiantata dall’Isis, nata come una sua costola che pure è in difficoltà. Quel che ha perso, indubbiamente è l’idea del Jihad Globale, la Guerra Santa affinché l’intero mondo si piegasse ai dettami della sua visione restrittiva dell’islam. L’Isis si contenta di governare porzioni territori, ha abbandonato l’idea di conquistare tutti i popoli e affida i suoi attacchi all’Occidente a lupi solitari che poco o nulla hanno a che fare con i disciplinati shahid – martiri - che si immolarono per la causa. E certo vedere i talebani che accettano di collaborare con gli usa nel contrasto ai nemici dell’Isis lo farebbe rivoltare nella tomba. Sempre che ci sia, ovunque sia.

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