11 settembre. Il ricordo di Ari Fleischer, portavoce di Bush nel 2001: L’INTERVISTA

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È il giorno che ha cambiato per sempre la storia: il più lungo per l’allora presidente George W. Bush. Ecco la cronologia di tutti i momenti che hanno sconvolto milioni di americani e non solo. Inoltre, proprio a 20 anni dall’attacco all’occidente da parte del fondamentalismo islamico, il portavoce dello stesso Bush dal 2001 al 2003, Ari Fleischer, ha raccontato quelle drammatiche ore ai microfoni di Sky TG24. Ma è stata anche l'occasione per parlare del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan

Il giorno più lungo per George W. Bush, era iniziato presto, come per ogni presidente americano. Dopo il consueto briefing sulla sicurezza, si era spostato in Florida, dove aveva in programma una serie di incontri, il primo dei quali era alla scuola elementare Emma E. Booker di Sarasota, dove lo attendeva la 301/ma classe, con bambini di circa 7 anni. Un po’ prima della sua sveglia, all’aeroporto di Portland, nel Maine, l’orologio dell’11 settembre aveva cominciato a scandire inesorabile il suo ticchettio. Alle 5:45, Mohammed Atta e Abdulaziz al-Omari avevano passato i controlli di sicurezza dell'aeroporto, diretti a Boston. Qui, insieme ad altri tre terroristi, si erano imbarcati sul volo American Airlines 11 diretto a Los Angeles, con a bordo 92 persone.

Lo schianto sulla prima torre

Alle 8:45 il jet si era schiantato contro la prima torre, quella Nord. Le immagini del fumo che si leva dal grattacielo cominciarono a invadere tutti i network americani e mondiali. La giornata era limpida, senza una nuvola, sembrava quasi un film catastrofico hollywoodiano. Bush venne raggiunto dalla notizia alla scuola, mentre leggeva una favola ai bambini. Il capo dello staff, Ari Fleischer, si era avvicinato al presidente e gli aveva sussurrato che un jet aveva colpito il World Trade Center. Lo United Airlines 175, partito sempre da Boston e dirottato da altri cinque attentatori, si era schiantato sulla Torre Sud, tra il 77esimo e l'85esimo piano, a 870 chilometri l'ora. Trascorsero 7 (?) minuti prima che il presidente degli Stati Uniti si alzasse e uscisse dalla classe. Erano le 9:03 ora di new York. Alle 9,30 in diretta dalla Florida lesse un primo messaggio alla Nazione. “È un apparente atto terroristico”, disse agli americani, anche se l’ipotesi era già rimbalzata su tutti i media mondiali. Subito dopo, il “Commander in Chief" venne fatto salire sull’Air Force One, con destinazione Washington. La situazione, però, peggiorava col passare dei minuti. Di qui la decisione – rivelata anni dopo - di tenere in volo l’aereo presidenziale e, in una tensione crescente, di restare in attesa delle indicazioni degli esperti di sicurezza.

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Alle 9 e 37, infatti, un altro aereo aveva colpito la capitale, schiantandosi contro il Pentagono. Si trattava del volo American Airlines 77, dirottato da cinque terroristi e partito dal Dulles International Airport di Washington D.C con destinazione Los Angeles. Pochi istanti dopo il decollo era stato dirottato dai terroristi e fatto precipitare contro l’edificio più grande – e sicuro – al mondo. Meno di mezz’ora dopo il quarto aereo, il volo UA93, aveva lasciato l’aeroporto di Newark, vicino a New York, per San Francisco: i terroristi avrebbero voluto dirottarlo su Washington, per colpire presumibilmente la sede del Congresso, ma, dopo una rivolta dei passeggeri, il Boeing 757 si era schiantato in aperta campagna. Questo secondo la versione ufficiale, su cui si appuntano i dubbi di un possibile abbattimento.

Le parole di George W. Bush

Fu in questi minuti che sugli schermi mondiali, mentre il caos regnava nelle redazioni, e si accavallavano notizie false di altre decine di aerei che si lanciavano contro le città americane, che giunsero forse le immagini più scioccanti della giornata. I sopravvissuti allo schianto degli aerei delle Torri Gemelle erano rimasti intrappolati ai piani superiori, e avevano trovato riparo sui tetti dei grattacieli. Il troppo fumo impediva però agli elicotteri di compiere le operazioni salvataggio. Così, per sfuggire a una morte atroce, le persone avevano iniziato a gettarsi nel vuoto. Dopo qualche ora di volo, l’Air Force One era atterrato nella base aerea di Barksdale, in Louisiana. Da qui il presidente, davanti alle telecamere, aveva letto il suo messaggio alla nazione. "Non ci faremo sconfiggere dai terroristi, hanno colpito la libertà ma noi siamo più forti di qualsiasi attacco". Subito dopo, era di nuovo a bordo dell'aereo presidenziale. Fino all'arrivo in Nebraska, nella sede dello "Strategic Air Command" dell'aviazione. Una sosta, ancora una volta, temporanea: prima di rientrare, finalmente, a Washington. Il giorno più lungo del presidente Bush, in carica da appena 9 mesi, e che aveva annunciato una politica più rivolta ai problemi domestici, si era concluso. Da quel giorno sarebbe iniziata una nuova presidenza, nel segno della “guerra al terrore”.

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