“11/9 Stories”, undici protagonisti raccontano l’America che riparte dopo l’11 settembre

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Progetto di Valentina Clemente

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Una serie di testimonianze narrano come l’America ha provato a tornare quella di sempre dopo l'attacco alle Torri gemelle di New York. Dopo vent’anni, però, c’è chi chiede: abbiamo imparato qualcosa o abbiamo dimenticato quegli insegnamenti? Ogni giorno alle 9.00, a partire da mercoledì 1 settembre fino a sabato 11 settembre, 11 storie ci accompagneranno verso il 20esimo anniversario dell’evento che ha cambiato il mondo

L’America, così lontana e sconosciuta, è sempre stata uno dei miei sogni. Ma non mi ha fatto mai paura, nonostante le sue contraddizioni, la sua velocità e competizione, il suo (apparente) cinismo e, talvolta, anche la sua solitudine. L’ho sognata e desiderata tanto e alla fine, nell’estate del 2001, l’ho visitata insieme ad Amy, sorella americana acquisita, e la sua famiglia, che ora è un po’ anche mia. Io, Amy e il suo beetle rosso abbiamo iniziato il nostro viaggio a Grosse Pointe, in Michigan, nel profondo Midwest statunitense. Quello delle case sul lago, dei prati tagliati alla perfezione, delle bandiere americane sempre in alto e dei porticati in ordine. Quell’estate i Train suonavano “Drops of Jupiter” e le note della band di San Francisco hanno scandito ogni miglio guidato sulle highway statunitensi. Dal Michigan a Chicago, passando per l’Ohio e le imperdibili roller coaster di Cedar Point, per poi andare in Canada, a vedere da vicino le Cascate del Niagara. Il giorno emotivamente più forte, però, è stato quello che mi ha vista arrivare a New York per la prima volta. L’avevo immaginata e a lungo sognata. Ma soprattutto volevo vedere perché Broadway e i suoi intramontabili musical fossero, ai miei occhi, così speciali. Anzi, quell’estate imparai un nuovo aggettivo che al meglio descrive il mio atteggiamento arrivata a Manhattan: mesmerizing

Magnetica, immensa, un po' scontrosa, ma sempre "The Big Apple"

Magnetica, affascinante. Ma anche un po’ scontrosa. Sì, perché non ricordo nemmeno quante volte mi son sentita dire “watch your step”, guarda dove metti i piedi, proprio da quei newyorkesi abituati a correre non proprio sempre gentili nei confronti dei nuovi arrivati in città. Una scontrosità apparente, in superficie. O forse una corazza che serve a nascondere qualcosa di grande, da usare solo quando serve, senza esagerare. Tutto mi sembrava enorme e altissimo. Come le Twin Towers, che ai miei occhi sembravano regali e dure, ma allo stesso tempo ti facevano sentire al sicuro, quasi a dire “proteggiamo noi la Big Apple”. Guardandole, dal basso verso l'alto, sembravano irraggiungibili. Da lontano, lo skyline che creavano, appariva invece come un cordone di sicurezza – e di rispetto – nei confronti di chi si trovava in città. A New York, nell’agosto del 2001, ti sentivi al sicuro e sapevi che nessuno avrebbe potuto farti del male. L’11 settembre ha indebolito questa percezione, ma non ha impedito alla città di ripartire, subito.

The show must go on, in tutti i sensi, ma soprattutto quelli di Broadway, segno distintivo della Big Apple.

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E anche da qui parte questo mio racconto, attraverso le voci, i ricordi, le sensazioni ancora vive di 11 americani. Di chi ha fatto riaprire quei teatri, ha raccontato la ripartenza e chi, invece, ha messo da parte tutte le sensazioni tristi ed è salito sul palco. Di chi è tornato in campo a giocare una partita storica, ma anche chi stava iniziando l’università quando, all’improvviso, tutto è cambiato. C’è chi ha deciso di aiutare i giornalisti che erano lì a raccontare quanto stava succedendo e, a distanza di anni, ha sviluppato delle malattie causate dalle polveri respirate. Ma c'è anche chi si chiede: ricordiamo gli insegnamenti dell’11 settembre o abbiamo dimenticato tutto?

Dal primo settembre fino all'11, ogni giorno alle 9.00 sul sito di Sky TG24 troverete una storia, con l’intervista integrale in inglese e la trascrizione in italiano.

Il primo protagonista è Andrew Bernstein, uno dei più importanti fotografi NBA.

 

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