
Afghanistan, talebani al potere: le conseguenze e gli scenari futuri secondo gli esperti
Il ritorno dopo 20 anni del movimento - basato su un'interpretazione radicale della legge islamica - delinea nuovi scenari nella geopolitica mondiale, a partire dal tema dei profughi fino ad aspetti politici ed economici che coinvolgono Paesi come la Cina, la Russia, la Turchia e l’Iran. Al centro la figura del Mullah Abdul Ghani Baradar, ma anche le divisioni interne ai talebani e l’incognita della presenza di elementi qaedisti e di Isis al loro fianco

Con la ripresa del potere in Afghanistan da parte dei talebani dopo 20 anni, si aprono scenari umanitari, politici ed economici che coinvolgono tutto il mondo. "Relazioni amichevoli" con la Cina, la promessa di un Paese "civilizzato" alla Russia: mentre gli occidentali fuggono da Kabul, le altre potenze vicine e lontane iniziano a riposizionarsi per trattare interessi strategici e prospettive di rilancio economico con il rinato Emirato islamico
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Secondo Andrew Watkins, analista senior presso l'International Crisis Group, ciò che è cambiato tra il febbraio 2020 e l'annuncio del ritiro Usa è stata la fine degli attacchi aerei americani. "L'accordo di Doha ha concesso ai talebani una tregua di un anno - dice Watkins -. Le milizie sono così state in grado di riorganizzarsi, pianificare, rafforzare le loro linee di rifornimento, avere libertà di movimento, senza paura dei bombardamenti americani". (Nella foto l'ex Segretario di Stato Usa Mike Pompeo alla firma dell'accordo di Doha, il 29 febbraio 2020)
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E ora i Paesi iniziano a muoversi nei confronti dell'Afghanistan. Appena venti giorni fa, il probabile leader ad interim del nuovo Afghanistan, il Mullah Abdul Ghani Baradar (nella foto), era stato ricevuto a Tinajin dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi, guidando una delegazione talebana di alto livello
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Sul tavolo c'erano già allora i principali interessi in ballo: da un lato la grande sfida della ricostruzione e della stabilizzazione di un crocevia perno della Via della Seta, dall'altro il riconoscimento e l'appoggio internazionale. Del resto, ricorda Pechino, gli studenti coranici "hanno espresso in molte occasioni la speranza di sviluppare buone relazioni con la Cina", che "ha sempre rispettato la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Afghanistan"
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Sullo scacchiere non manca la Russia, nonostante le antiche diffidenze legate all'invasione sovietica. I talebani, ha detto l'ambasciatore di Mosca a Kabul Dmitry Zhirnov, si sono impegnati a creare un Paese "libero dal terrorismo e dal traffico di droga". Ovvero stop alle infiltrazioni di jihadisti ceceni e dell'Asia centrale e controllo del commercio dell'oppio
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La diplomazia di Mosca non abbandona comunque la prudenza, spiegando che prenderà "una decisione sul riconoscimento del regime del movimento talebano a seconda di quanto responsabilmente governerà il Paese"

L'altro fronte del dialogo con i nuovi padroni di Kabul riguarda le potenze islamiche della regione. A partire dall'Iran, che con l'Afghanistan condivide un confine lungo 936 km e da cui secondo l'Unhcr accoglie oltre 3 milioni di profughi, in buona parte non registrati. Per Teheran una nuova ondata migratoria è più di un timore: solo a giugno, secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, altri 40mila afghani a settimana sono fuggiti nella Repubblica islamica

La stabilizzazione interna è dunque una priorità per il nuovo governo ultraconservatore di Ebrahim Raisi B (nella foto), che però ha salutato come "un'opportunità per rilanciare la pace" il ritorno al potere dei talebani, spalancando le porte alla collaborazione

Un peso massimo regionale che attende tra preoccupazione e mire geopolitiche è anche la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan (nella foto). Tramontata nei fatti l'ipotesi di una permanenza all'aeroporto di Kabul come garante della sicurezza internazionale, Ankara guarda ora ai nuovi possibili scenari di cooperazione

Il presidente turco si è già mosso attraverso il Pakistan, promettendo impegno per la stabilità, ma la vera sfida riguarda il dialogo diretto con i talebani del secondo esercito per effettivi della Nato. Solo la scorsa settimana, Erdoğan si era detto pronto a incontrarne i leader, che però gli avevano rimproverato la cooperazione con gli americani

A Sky TG24 Giuliano Battiston (nella foto), contributor ISPI e giornalista freelance, spiega: “La figura più emblematica è quella di Mullah Baradar. La sua vicenda è davvero paradigmatica, incarna anche le vicende della guerra al terrore perché è stato incarcerato per otto anni dopo un'operazione congiunta dei Servizi Segreti pakistani e della CIA. Poi su pressione di Washington nel 2018 è stato liberato dalle carceri pakistane”

Baradar, dice Battiston, “all'inizio del 2019 è stato nominato dalla Leadership Suprema il Capo dell'Ufficio Politico dei talebani a Doha, l'ufficio di rappresentanza regionale diplomatica. È lui che ha condotto, in pratica, le trattative con l'inviato scelto da Donald Trump e poi confermato da Joe Biden, Zalmay Khalilzad, e che hanno condotto appunto alla firma del trattato di Doha del febbraio 2020 che prevedeva il ritiro delle truppe che si sta concludendo in questi giorni”

“I talebani sono al potere. Lo hanno conquistato con una rapida offensiva militare nonostante la comunità internazionale li avesse ammoniti che un governo preso con la forza non avrebbe avuto legittimità internazionale - dice ancora Battiston sul sito ISPI - Sanno di poter contare sui pragmatici attori regionali, Islamabad, Pechino, Mosca, Teheran. Nel caso formassero un governo di transizione, cercheranno di mostrarsi inclusivi e moderati. Ma da oggi detteranno le regole del gioco”

“La caduta di Kabul, ultimo tassello della presa talebana sull'intero Afghanistan, comprese le aree del Nord e dell'Est originariamente refrattarie ai jihadisti ma oggi prontamente consegnatesi ai vincitori, sta provocando alcuni smottamenti geopolitici nella regione”, spiega Lucio Caracciolo (nella foto), giornalista, politologo, accademico italiano e direttore della rivista di geopolitica Limes

“Di questi i più visibili paiono la sconfitta dell'India causa allargamento all'intero Afghanistan della sfera d'influenza del Pakistan (peraltro strutturalmente vacillante, con le sue circa 160 testate atomiche) - dice Caracciolo - e la facilitazione del corridoio cinese verso Oceano Indiano (porto di Gwadar) e Mediterraneo via Afghanistan-Pakistan"

"Sulla Russia - dice Caracciolo - gravano invece gravi incognite, tali da spingere Mosca a stringere patti informali di controassicurazione con Kabul rispetto a rischi di infiltrazione jihadista nel suo ‘estero vicino’, financo nelle sue regioni meridionali esposte all'islamismo militante”

Della compattezza del fronte dei talebani parla invece Ibraheem Bahiss, esperto di questioni afghane all’International Crisis Group, che intervistato da Avvenire dice: “Si è discusso della loro frammentazione per due decenni, ma io non credo che mancasse, né manchi, unità di intenti tra negoziatori taleban a Doha e miliziani sul terreno. Dentro il movimento esistono divisioni e interessi non coincidenti, ma i taleban hanno avuto sufficiente coesione per sedersi a trattare e, come si vede, sufficiente unità nella catena di comando per una campagna militare”

“La confusione rispetto alle reali posizioni e intenzioni dei taleban deriva dal fatto che i loro messaggi sono sempre stati ambigui su questioni come l’istruzione delle bambine o il lavoro per le donne - dice Bahiss - Durante i negoziati citavano in continuazione la ‘conformità alle norme islamiche e ai valori afghani’, lasciando deliberatamente nel vago il reale significato di queste parole”

Secondo Bahiss, “tra il 2020 e quest’anno i taleban si sono riposizionati volgendo lo sguardo verso Cina, Iran, Pakistan. Puntano a una legittimazione regionale, se quella internazionale non arriverà. Cercano un modello basato sugli affari e sugli investimenti da attirare nel Paese”

“Se però loro guardano a Est - continua Bahiss - la popolazione in fuga si dirigerà a Ovest, verso l’Europa, che si troverà ad affrontare un vero dilemma: attrezzarsi per l’arrivo di nuovi migranti ai propri confini o scendere a patti per prevenire l’ondata di rifugiati, correndo il rischio di legittimare un governo radicale come quello taleban?”

Un’altra questione che riguarda il futuro dell’Afghanistan, e non solo, è “l’incognita della presenza di elementi qaedisti e di Isis al loro fianco (dei talebani, ndr)”, spiega sul Corriere della Sera il giornalista e corrispondente esperto di Medio Oriente Lorenzo Cremonesi (nella foto)

I talebani, spiega Cremonesi, “nei negoziati con gli americani a Doha avevano promesso che non ci sarebbe stato spazio per organizzazioni terroristiche internazionali sul loro territorio. Ma la realtà sembra diversa. I talebani stessi potrebbero essere divisi al loro interno, come è sempre stato, tra nazionalisti afghani e correnti più legate al movimento pan-islamico internazionale”