Vaccini anti-Covid in Svizzera, tra scetticismo e aperture al turismo. Il reportage

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Chiara Piotto

Le terapie intensive non sono sotto stress, i casi aumentano ma lievemente, in molti anche nelle residenze per anziani scelgono di non vaccinarsi, mentre il Paese si apre al turismo interno per non rinunciare a una "libertà equilibrata". Ci siamo fatti spiegare come funziona il "modello svizzero" in questa terza fase dell'emergenza Coronavirus

Occhiali da sole, gelati, scorrere di trolley. A Lugano si respira aria di vacanze. Forse non è così per chi ci abita, ma a chi arriva 'da fuori' l'atmosfera appare subito più rilassata che in Italia. I negozi accolgono i clienti, le mascherine all'aperto sono obbligatorie solo nei weekend e nei giorni festivi, i ristoranti fanno solo delivery e take away, è vero, ma con il bel tempo pretzel e panini da passeggio sembrano la normalità. Non vogliamo semplificare: anche la Svizzera ha vissuto momenti difficili in questa emergenza Coronavirus, soprattutto nella prima ondata e soprattutto qui nel Canton Ticino che ogni giorno accoglie 70mila italiani transfrontalieri. Oggi però la situazione è tenuta sotto controllo, nonostante un lieve ma stabile aumento dei contagi dovuto al diffondersi della variante inglese del virus, ormai dominante.

Una libertà equilibrata tra riaperture e controllo dei casi

"Se facciamo un confronto con i Paesi vicini, quindi Italia, Francia, Spagna, Germania, Austria, la Svizzera è quella che ha l’indice di restrizioni più basso: siamo al 60%, l’Italia è all’85%", ci spiega Luca Merlini, Direttore dell'Ente Ospedaliero Cantonale di Locarno, primo Covid Center del Ticino. "Però piano piano sono state introdotte norme per consentire a comuni o cantoni di aggiungere misure più restrittive, come l'obbligo di mascherine all'aperto. A giustificarle, al di là dell’arrivo dei turisti, è il fatto che c'è un leggero ma continuo aumento delle ospedalizzazioni. La paura non è tanto che aumentino i casi, ma di perdere il controllo. Allora la Confederazione cerca di trovare un compromesso: tenere sotto controllo l'andamento dei casi, senza però chiudere tutta la società. Le scuole ad esempio sono sempre state aperte". Anche sul tema della riapertura degli impianti di sci, questo inverno, le polemiche degli Stati confinanti non erano bastate a fare cambiare opinione alla Svizzera.

Un ristorante chiuso nel centro di Lugano

Turismo interno consentito, hotel pieni

Anche sul turismo interno la strategia è opposta a quella italiana: già da inizio aprile il Ticino, tra le mete più amate, si è popolato di numerosi viaggiatori. Svizzeri, per lo più, ma anche provenienti da Paesi esteri non giudicati a rischio e quindi esenti dall'obbligo di quarantena. Carlo Fontana, albergatore del centralissimo hotel LuganoDante, ci parla di un atteso "tutto esaurito" anche in b&b e case in affitto del Cantone: "Posso capire l'apprensione da parte di chi già vive in Ticino per l'arrivo imminente di persone da fuori e quindi potenzialmente per l'aumento dei casi di positività, ma gli spostamenti tra Cantoni sono sempre stati liberi quindi, nel rispetto di tutte le norme, dovremmo essere tutti tranquilli", ci conferma. 

L'hotel LuganoDante; i ristoranti degli hotel sono aperti per i clienti

Sanitari non prioritari tra categorie vaccinazione

Le aperture avvengono comunque in un contesto non allarmante: basti dire che le terapie intensive sono occupate al 20-30% della loro capienza. La strategia vaccinale è comunque molto distante da quella italiana, per diversi aspetti tra cui le categorie prioritarie individuate: "La strategia vaccinale che tutti i cantoni seguono prevede alcune categorie di persone da vaccinare in priorità con criteri legati all’età e alla fragilità del paziente rispetto al tipo di lavoro", ci spiega Michael Llamas, Direttore sanitario dell'Ente Ospedaliero Cantonale. Gli operatori sanitari, per esempio, sono in sesta categoria quindi una delle ultime a essere vaccinate nella società: "Il fatto che non abbiamo mai avuto epidemie intraospedaliere tra il personale reparti Covid, per noi significa che il sanitario che sa proteggersi non è più a rischio rispetto ad altre persone", aggiunge Llamas. Visto che molti transfrontalieri italiani sono impiegati nel settore sanitario, dunque, si trovano spesso a essere gli unici vaccinati tra i loro colleghi nelle strutture sanitarie svizzere.

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AstraZeneca mai omologato

Le differenze con l'Italia sul fronte vaccini non finiscono qui: l'equivalente svizzero dell'Aifa, Swissmedic, non ha ancora omologato AstraZeneca per l'introduzione nel Paese, mentre ha rilasciato il disco verde per Pfizer-BioNTech, Moderna e J&J: "I dati completi necessari per l’autorizzazione sono stati forniti di recente e il processo è ora in corso", ci spiega Christian Camponovo, Direttore sanitario della Clinica Moncucco di Lugano, secondo Covid Center del Ticino. Però quelle stesse informazioni fornite, ad altri Paesi tra cui l'Italia erano state sufficienti per introdurre AstraZeneca: "Sembrerebbe che vengano chieste garanzie differenti", conferma Camponovo, che ci racconta di un generale atteggiamento prudente svizzero - a livello di autorità come di cittadini - nei confronti di tutti i vaccini.

Lo scetticismo nei confronti dei vaccini

"Guardando ai dati sui primi vaccinati, ovvero i più anziani, vediamo che il 10-15% degli ultra 80enni non ha voluto vaccinarsi. Sugli operatori sanitari che lavorano nelle Residenze per anziani (a cui è stato offerto il vaccino per questo) siamo arrivati a una copertura del 60-65%, quindi un tasso chiaramente basso" (QUI LA DASHBOARD CON DATI SU POSITIVI E VACCINATI IN SVIZZERA). La libertà è sacra, ci ripete. Una discussione sull'obbligo di vaccinazione per i sanitari, come introdotto in Italia dall'ultimo decreto Covid, non potrebbe mai esistere. Piuttosto, dice il Professore, a spostare l'ago della bilancia potrebbe essere l'introduzione del passaporto vaccinale. Quello che conta, come si dice, è il risultato.

Passanti a Lugano

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