Birmania, da febbraio oltre 500 i morti durante la repressione delle proteste anti-golpe

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Dal colpo di Stato militare del primo febbraio, sostiene l'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici, “abbiamo la conferma di 510 morti” in Myanmar. Tra loro molti studenti e adolescenti scesi in piazza contro le forze di sicurezza. Centinaia di persone, poi, sono state arrestate negli ultimi due mesi e di loro si sono perse le tracce. E le proteste continuano. Guterres ha esortato la comunità internazionale a "più unità" e "più impegno" per fare pressione sulla giunta militare

Sono oltre 500 i civili uccisi dalle forze di sicurezza dal colpo di Stato militare dell’1 febbraio in Myanmar (ex Birmania). A dirlo è l'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici, secondo cui tra le vittime ci sono molti studenti e adolescenti. “Abbiamo la conferma di 510 morti”, sostiene l'Ong, ma specifica che il bilancio “è probabilmente molto più alto”, con centinaia di persone arrestate negli ultimi due mesi di cui non si sa più nulla.

Le proteste e la repressione

Uno dei bilanci più pesanti si è registrato sabato: durante la Giornata delle forze armate birmane, ci sono state oltre 110 vittime, tra cui sette minori. Nonostante la sanguinosa repressione, i manifestanti continuano a scendere in piazza. Nelle proteste di ieri, almeno 14 civili sono morti: la maggior parte nell'est di Yangon (ex Rangoon), la capitale economica del Paese.

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Le proteste di sabato

Le reazioni internazionali

Di fronte a questo bagno di sangue, Washington ha annunciato - fino al ristabilimento di un governo "democraticamente eletto" - l'immediata sospensione dell'accordo quadro su commercio e investimenti concluso nel 2013 con la Birmania. La Francia ha denunciato "la violenza indiscriminata e omicida" del regime e ha chiesto il rilascio di "tutti i prigionieri politici", compresa Aung San Suu Kyi, ancora in isolamento. Il Regno Unito ha chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che si svolgerà oggi a porte chiuse. L’Italia, attraverso il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha condannato “fermamente le inaccettabili violenze” e chiesto “il ritorno alla democrazia e la liberazione di tutti coloro ingiustamente arrestati”. Ma i generali birmani finora non hanno ascoltato le proteste e le sanzioni occidentali. Hanno anche potuto contare sulle divisioni della comunità internazionale. La Cina e l'India si sono rifiutate di condannare formalmente il colpo di Stato. La Russia mantiene stretti legami con la giunta militare: sabato il vice ministro della Difesa russo Alexander Fomin ha partecipato alla parata annuale delle forze armate birmane. Il Cremlino si dice certamente preoccupato per il numero "crescente" dei morti, ma ha dichiarato che la Birmania resta un "alleato affidabile e un partner strategico" con cui vuole rafforzare le sue relazioni militari. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esortato la comunità internazionale a "più unità" e "più impegno" per fare pressione sulla giunta militare birmana.

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