Recovery Fund, è ancora stallo: nulla di fatto dopo il vertice dei leader

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Nessun passo indietro di Polonia e Ungheria, che mantengono il loro veto anche nella videoconferenza dei leader. L'Unione, con la regia della presidenza di turno tedesca, valuta il piano B per evitare uno scontro aperto con Varsavia e Budapest. Von der Leyen: "La soluzione va trovata al più presto possibile". La questione potrebbe slittare al Consiglio Ue del 10-11 dicembre

È ancora stallo nell'Unione Europea sul Recovery Fund. La videoconferenza dei leader sul pacchetto da 1.800 miliardi di euro per sostenere l'economia alla luce della pandemia non è servita a sbloccare il veto di Ungheria e Polonia, che fanno resistenza per la clausola che lega l'erogazione dei fondi al rispetto delle regole fondamentali della democrazia. Su questo punto l'Ue non arretra di un millimetro, e dunque lo stallo sul Recovery Fund resta. Il negoziato ripartirà già dal 20 novembre sotto la regia della presidenza di turno tedesca, alla ricerca di una via d'uscita per sbloccare l’empasse sul Bilancio 2021-2027 e sul Recovery Fund. La trattativa vedrà anche l'avvio dei lavori per mettere a punto un piano B per 'aggirare' o smontare l'ostacolo se non si dovesse trovare la quadra in tempi ragionevoli, trascinando l'Unione in un esercizio di bilancio provvisorio e accumulando ritardi sugli esborsi del Recovery.

Von der Leyen: "Soluzione il più presto possibile"

"La soluzione va trovata al più presto possibile", ha sottolineato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha annunciato che "le consultazioni proseguiranno attraverso diversi formati" con l'obiettivo di arrivare a una soluzione al più tardi per il vertice Ue fissato per il 10 e 11 dicembre.

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Ungheria e Polonia ribadiscono il veto

Alla riunione dei leader la discussione su bilancio, Recovery e stato di diritto è durata poco più di un quarto d'ora: il tempo sufficiente per un'introduzione di Michel e una scarna descrizione dello stato dell'arte, formulata dalla cancelliera Angela Merkel nella sua veste di presidente di turno. Poi i riflettori si sono accesi sul leader ungherese Viktor Orban e su quello polacco Mateusz Morawiecki, che hanno presentato le ragioni del loro veto. Poi nessun altro intervento, se non quello del premier sloveno Janez Jansa, supporter del leader ungherese, che ha preso la parola per perorare la causa di Budapest e Varsavia pur senza seguirle sulla strada del veto. "Non voglio fare speculazioni su come verrà risolta la questione con Ungheria e Polonia, dobbiamo continuare a lavorare e sondare tutte le opzioni possibili. Siamo ancora all'inizio della questione", ha detto Merkel.

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L'Ue valuta il piano B

La partita riprenderà subito con l'Ue, alla quale gli strumenti per superare il veto non mancano: l'obiettivo è farvi eventualmente ricorso con gradualità, evitando uno scontro aperto con Ungheria e Polonia. Per il momento la presidenza di turno tedesca ha deciso di rimandare gli ultimi passaggi formali affinché la condizionalità sullo stato di diritto diventi legge ed entri in vigore subito, con effetto immediato sull'erogazione di tutti i fondi europei, compresi quelli in corso. Prima Merkel vuole provare ad offrire rassicurazioni scritte per fugare le preoccupazioni di Budapest e Varsavia rispetto a un utilizzo arbitrario della clausola, che Orban e Morawiecki temono possa essere usata per colpirli, per esempio sulla questione migranti. Ma anche se non si riuscisse ad ammorbidire le posizioni dei due leader, la condizionalità sullo stato di diritto presto diventerà legge. A quel punto, se Varsavia e Budapest dovessero insistere, lo scenario ultimo prevederebbe l'attivazione delle "opzioni nucleari" - come sono state definite - dell'accordo intergovernativo o della cooperazione rafforzata, per realizzare il Recovery Fund 'tagliandoli' fuori.

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