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Bielorussia, grande marcia per la libertà a Minsk. Putin: pronti a dare supporto militare

Mondo
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Dopo la rielezione del presidente Lukashenko, in carica dal 1994, nel Paese sono iniziate le tensioni con parte della popolazione che sospetta brogli elettorali. I media descrivono la manifestazione come la più grande nella storia del Paese. 100mila la presenze secondo l’Afp. Dopo il colloquio telefonico del 15 agosto, il presidente russo ha ribadito il suo appoggio al governo per mantenere la sicurezza nazionale. Il leader bielorusso: "Il voto non sarà ripetuto"

In Bielorussia è stato il giorno del grande confronto. L'annunciata e attesa grande 'Marcia per la libertà', che i media descrivono come la più grande manifestazione nella storia bielorussa, ha invaso pacificamente le strade di Minsk con decine di migliaia di persone - 100mila secondo l'Afp - mentre in un vicino quartiere il contestato presidente Alexander Lukashenko -  appena rieletto - arringava dal palco una decina di migliaia di suoi sostenitori, convocati per una contromanifestazione, chiamandoli a difendere l'indipendenza nazionale. Un braccio di ferro che si è consumato sotto l'ombra di un possibile intervento russo di 'assistenza militare', evocato non troppo velatamente da Vladimir Putin, dopo l'appoggio già annunciato il 15 agosto

La Marcia nella Capitale

La grande marcia, preceduta sabato dal mesto funerale del manifestante ucciso lunedì scorso negli scontri con la polizia, arriva simbolicamente a una settimana esatta dalle contestatissime elezioni presidenziali, che hanno consegnato, con un 80% di suffragi, il sesto mandato consecutivo a Lukashenko, ormai al potere da 26 anni. Nel giorno in cui Papa Francesco all'Angelus ha rivolto un pensiero alla Bielorussia con un "appello al dialogo, al rifiuto della violenza e al rispetto della giustizia e del diritto", la grande folla lungo il grande Viale dell'Indipendenza, sotto un cielo azzurro, ha srotolato un lungo nastro coi vecchi colori nazionali - bianco, rosso e l'emblema di San Giorgio -, ha innalzato migliaia di bandiere, palloncini, striscioni; ha cantato e scandito il mantra "Vattene!". La Marcia per la libertà è il punto culminante di una settimana di proteste, scontri e tensioni iniziata con la violenta repressione - almeno due manifestanti morti, oltre 6.700 arresti, feriti e notizie di pestaggi e torture da parte delle forze di sicurezza e l'autoesilio nella vicina Lituania della candidata anti-Lukashenko, Svetlana Tikhanovskaya. Poi la violenza è diminuita, ma non la voce dell'opposizione, che venerdì ha proclamato alcuni scioperi.

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L’appoggio di Putin a Lukashenko

"L'ultimo dittatore d'Europa", messo in un angolo da cui non riesce ad avere ragione della piazza, né con la forza né con atteggiamenti più concilianti, sabato ha chiesto aiuto a Mosca. Dopo una conversazione telefonica sabato stesso, Lukashenko ha detto di aver ricevuto rassicurazioni da Putin, che avrebbe garantito il suo "aiuto" per "mantenere la sicurezza", minacciata da forze "esterne". Oggi lo stesso Cremlino, a seguito di una seconda telefonata, ha promesso di "assistere" se necessario la Bielorussia "sulla base del comune patto militare" che lega Mosca a sei repubbliche ex sovietiche. Un fantasma, quello dell'intervento russo, reso vivido dei recenti esempi di Ucraina e Crimea e si alimenta del presupposto che le varie rivoluzioni 'colorate' nell'Est europeo siano state guidate da forze oscure pilotate dall'estero.

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La Marcia per la libertà a Minsk
La Marcia per la libertà a Minsk - ©Getty

La contro-manifestazione di Lukashenko

"Cari amici, faccio appello a voi non perché difendiate me, ma perché, per la prima volta in un quarto di secolo, difendiate l'indipendenza del vostro Paese", ha esclamato Lukashenko, apparso a sorpresa sul palco davanti ai suoi sostenitori - 50.000 secondo la presidenza, 10.000 al massimo secondo un cronista dell'Afp, arrivati per lo più in pullman a Minsk. Il presidente bielorusso ha ribadito nel suo discorso che il voto contestato "non sarà ripetuto" e ha denunciato che la Nato starebbe "ammassando forze al suo confine occidentale": un'affermazione, questa, ufficialmente smentita poco dopo da un portavoce dell'Alleanza. Intanto continuano le defezioni fra gli stessi funzionari dello stato, con l'ambasciatore bielorusso a Brastislava che oggi ha detto di solidarizzare con "coloro che sono usciti nelle strade delle città bielorusse con marce pacifiche per far sentire la loro voce".

Gli Usa: non li lasceremo soli

Da Varsavia il segretario di Stato americano Mike Pompeo, sempre il 15 agosto, ha affermato invece che gli Stati Uniti faranno il possibile affinchè i bielorussi costruiscano la democrazia nel proprio Paese dopo le elezioni presidenziali che non sono state "nè libere nè oneste". Gli Usa si sono quindi schierati contro l’attuale presidente bielorusso. Il segretario americano ha sottolineato anche che l’America del Nord, con i partner europei, sta seguendo lo sviluppo della situazione in Bielorussia e vorrebbe in primo luogo sostenere il popolo bielorusso costringendo le autorità di questo Paese ad aprire un dialogo con la società civile. Ma Lukashenko ha respinto le offerte di mediazione arrivate negli ultimi giorni da alcuni Stati esteri: “Non cederemo il Paese a nessuno”.

La smentita da Belgrado

Da Belgrado è invece arrivata la smentita del ministro della Difesa serbo, Aleksandar Vulin, sulla notizia che militari serbi abbiano affiancato le forze di sicurezza bielorusse nel reprimere le proteste popolari degli ultimi giorni a Minsk e Brest. Alcuni portali avevano pubblicato foto di militari serbi in Bielorussia, ma per il ministro si è trattato di un evidente fotomontaggio. "È una guerra condotta contro l'Esercito serbo e contro il presidente Aleksandar Vucic", ha detto Vulin citato dai media. La Serbia, ha aggiunto, non si intromette in alcun modo negli affari interni di nessun Paese, compresa la Bielorussia.

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