Coronavirus, a Lesbo rifugiate producono le mascherine per i migranti del campo di Moria

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Quattro donne di origine afghana si sono offerte volontarie per la cucitura delle protezioni per il viso destinate alla popolazione che vive nel campo di Moria. Sono coordinate da una Ong che ha recuperato le macchine da cucire di un vecchio progetto

Le condizioni igieniche sono al minimo e le 20mila persone che vivono in uno spazio progettato per poco meno di 3.000 fanno temere per una possibile diffusione del Coronavirus (AGGIORNAMENTI) tra i rifugiati deel campo di Moria, sull'isola di Lesbo, in Grecia. Così quattro donne afghane si sono offerte volontarie per la produzione di mascherine. A coordinarle è l'Ong greca Stand By Me Lesbo che ha messo a loro disposozione alcune macchine da cucire recuperate da un vecchio progetto. La notizia è riportata dal Guardian. (SPECIALE CORONAVIRUS - LA DIFFUSIONE GLOBALEIL CONTAGIO IN ITALIA: MAPPE E GRAFICI)

Prodotte 500 mascherine in un giorno

La fabbica artigianale di mascherine di Lesbo si trova in un piccolo edificio a circa un chilometro da Moria. "È stata allestita in sei ore. Una delle donne afghane era una sarta a Kabul e ha detto che non avrebbe avuto problemi a gestire il lavoro", ha raccontato al Guardian Mixalis Avialotis di Stand By Me Lesbo. Le donne stanno lavorando a un ritmo abbastanza celere rapido e nel loro primo giorno hanno realizzato circa 500 maschere.

La distribuzione delle mascherine

Le mascherine sono realizzate in tessuto di cotone acquistato nei negozi locali. Le maschere vengono quindi confezionate in involucri di plastica e inscatolate per essere portate al campo. Le maschere, che saranno distribuite gratuitamente, inizialmente saranno date solo ai residenti del campo che iniziano a sentirsi male o mostrano sintomi del virus, come tosse. Una volta indossate, le maschere verranno quindi bollite e sterilizzate in modo che, se necessario, possano essere riutilizzate.

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