Le manifestazioni violente sono iniziate dopo l'aumento del costo del biglietto della metropolitana di Santiago, ma dietro ci sono altri motivi
Continuano le manifestazioni anti-governative a Santiago, capitale del Cile, nonostante i rimpasti di governo e la promessa di cambiare la Costituzione fatta dal presidente Sebastián Piñera. Il Paese è nel caos da ormai quattro settimane, quando il governo aveva annunciato l’intenzione di alzare i prezzi dei biglietti per la metropolitana. Le manifestazioni violente sono iniziate dopo l'aumento del costo del biglietto della metropolitana di Santiago (VEDI LE FOTO) nell'ora di punta: da 800 a 830 pesos cileni (cioè da 0,98 a 1,02 euro circa). Il 7 ottobre ci sono stati i primi ingressi di massa senza pagare il biglietto nelle stazioni della metropolitana di Santiago, guidati per lo più da studenti di licei della città. Per gli studenti è stata l'occasione per denunciare la “mancanza di risorse” nell’istruzione cilena e i numerosi problemi delle strutture e aule scolastiche. Nei giorni successivi le manifestazioni hanno cominciato a coinvolgere anche altri settori della società, ma i protagonisti sono rimasti i giovani più istruiti e politicizzati, come era già successo durante le proteste studentesche del 2006 e del 2011.
Gli altri motivi della protesta
Dal marzo 2018 il Cile è governato dal conservatore Sebastián Piñera, che era stato presidente anche tra il 2010 e il 2014. Secondo diversi analisti le proteste degli ultimi giorni hanno molto a che vedere con le aspettative prima alimentate e poi deluse dal governo Piñera, oltre che dai governi di sinistra degli anni precedenti guidati dalla presidente Michelle Bachelet: erano state promesse riforme del sistema didattico, fiscale e sanitario, che però o non si sono fatte o sono state considerate insufficienti. Uno dei problemi principali è stata la mancata redistribuzione della ricchezza, ma anche una sorta di impunità che la classe politica cilena si è assicurata per sé nel corso degli anni. ll presidente è stato molto criticato per mancanza di empatia, a causa di alcune frasi pronunciate nelle ultime settimane: ha definito i manifestanti "delinquenti" e ha detto: "Siamo in guerra contro un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun limite". Per il riferimento alla guerra, e per avere alzato così tanto i toni dello scontro, Piñera è stato criticato anche all’interno del suo governo: lunedì il generale Javier Iturriaga, responsabile delle operazioni militari degli ultimi giorni, ha preso le distanze dal presidente, sottolinenando che "il Cile non è in guerra con nessuno".
Referendum ad aprile
I cileni definiranno in un plebiscito che si svolgerà ad aprile 2020 il meccanismo con cui si redigerà una nuova Costituzione in sostituzione di quella del 1980 ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet. La decisione è stata presa da governo e opposizione dopo due giorni di discussioni in Parlamento, e ad un mese da quando, il 15 ottobre, sono cominciate le proteste di piazza in Cile. "E' una notte storica per il Cile e la democrazia. E' una risposta della buona politica, della politica in lettere maiuscole, che ha coinvolto trasversalmente tutti i partiti", ha dichiarato il presidente del Senato Jaime Quintana, che ha anche voluto ricordare "le vittime di entrambe le parti" e "le persone morte e colpite nei loro diritti essenziali".
Nel referendum i cileni diranno se vogliono o no una nuova Costituzione e se essa sarà scritta da una Assemblea costituente o da una Commissione mista costituzionale.