I quattro Paesi chiedono che venga rispettato l'accordo sul cessate il fuoco raggiunto il 4 settembre dalla missione di supporto dell'Onu. Dopo giorni di combattimento, il bilancio è di 61 vittime e 159 feriti. Centinaia di migranti in fuga
Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti lanciano un appello perché venga rispettato il cessate il fuoco raggiunto in Libia, dopo una settimana di combattimenti e almeno 61 morti e 159 feriti. In una nota congiunta, i quattro Paesi si rivolgono a "tutte le parti in causa" e auspicano nella riconciliazione e nella ripresa di un processo politico di pace a guida libica. I governi "salutano il risultato della mediazione raggiunto" il 4 settembre dalla missione di supporto dell'Onu, "mirata a una de-escalation delle violenze a Tripoli e nei dintorni, e ad assicurare la protezione dei civili". E ribadiscono il loro sostegno al rappresentante speciale del Segretario generale in Libia, Ghassan Salamè (UN PAESE NEL CASO: SCHEDA).
L'accordo per il cessate il fuoco dopo una giornata di scontri
"Come ha sottolineato il Segretario generale il 2 settembre scorso - prosegue la nota - tutte le parti devono immediatamente cessare le ostilità e rispettare l'accordo di cessate il fuoco promosso dalle Nazioni Unite”. Ribadito anche il supporto al presidente del Consiglio di presidenza, Fayez al-Sarraj, e al governo libico di accordo nazionale. L’annuncio dell’accordo per il cessate il fuoco è arrivato ieri, con un tweet dell'Unsmil, la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, dopo circa due ore dall'inizio della riunione convocata dalle stesse Nazioni Unite con tutti i soggetti protagonisti dei recenti scontri a Tripoli. All’intesa si è arrivati alla fine di un’altra giornata di scontri fra milizie, durante la quale è stata anche incendiata l’ambasciata Usa a Tripoli.
Italia prepara Conferenza sulla Libia
La situazione nel Paese è stata anche al centro di un incontro convocato dal premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi con alcuni ministri. Il governo italiano, intanto, continua a mettere a punto la Conferenza sulla Libia che si terrà in Italia a novembre. E mentre Salvini si è dichiarato “disponibile a correre qualche rischio e a tornare presto in Libia”, Di Maio ha ribadito: “Non vogliamo esportare democrazia con bombe e giustificare interventi militari”. Ma cresce anche il timore di un possibile incremento delle partenze dei barconi dei trafficanti, favoriti dall'instabilità sull'altra sponda del Mediterraneo: approfittando del caos, quasi 2.000 migranti africani sarebbero fuggiti da un centro di detenzione vicino all'aeroporto di Tripoli.
I combattimenti a Tripoli
I combattimenti a Tripoli proseguono da giorni e il 2 settembre in città era stato proclamato lo stato d’emergenza. “Protagonista” dei nuovi scontri è stata la Settima Brigata di Tarhuna, la milizia legata al signore della guerra Salah Badi che si è resa autonoma dal Governo di Accordo Nazionale. La Brigata ha combattuto insieme alla milizia Al Kani contro quelle che, formalmente, sono unità dei ministeri dell'Interno e della Difesa del governo di Al-Serraj: le Brigate Rivoluzionarie di Tripoli, la Forza speciale di Dissuasione (Rada), la Brigata Abu Selim e la Brigada Nawassi, che ricevono finanziamenti dall'Ue.