Tecnici italiani rapiti in Libia, capo 007 Tripoli: nessun riscatto

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Due connazionali vennero uccisi dopo un raid americano mentre altri due riuscirono a liberarsi dopo otto mesi di prigionia

Le dichiarazioni di qualche giorno fa del capo dei servizi segreti libici al Corriere della Sera hanno riacceso le polemiche sull’ipotesi del pagamento di un riscatto per la liberazione dei tecnici italiani della Bonatti rapiti il 19 luglio 2015 a Mellitah, 60 km da Tripoli. Vicenda che si è poi conclusa con la liberazione di due degli ostaggi - Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, riusciti a scappare dopo otto mesi di prigionia -  e la morte dei colleghi Salvatore Failla e Fausto Piano, rimasti vittime di uno scontro a fuoco tra i carcerieri e le milizie fedeli a Tripoli.

 

Nouah: nessun riscatto - Parlando in prima persona, il capo dei servizi segreti libici Moustafa Nouah, smentisce di aver mai parlato di un riscatto di 13 milioni e di aver mai affermato che parte di quei soldi sono finiti in mano alle bande criminali legate agli scafisti locali e in mano agli jihadisti dell’Isis. “Non è stato pagato alcun riscatto” afferma. E precisa “La liberazione delle suddette persone è avvenuta nel quadro di un'operazione dei servizi segreti”.

L'intelligence smentisce così il coinvolgimento dell'isis nel caso e smentisce anche il ritrovamento nei covi abbandonati a Sirte dagli jihadisti di documenti riguardanti piani di attacco a Roma.

 

Pollicardo: nessuna liberazione, quindi nessun riscatto - E interviene anche Gino Pollicardo per ribadire che “non c’è stata nessuna operazione di liberazione, ci siamo liberati da soli e Salvo e Fausto sono morti perché i sequestratori hanno voluto cambiare rifugio dopo i bombardamenti americani". Quindi, aggiunge, "l'Italia non può avere pagato per una liberazione che non c'è stata". Se, però, aggiunge il tecnico di Monterosso, “siamo stati vittime di terrorismo, lo Stato deve dirlo e dare alle famiglie dei due colleghi uccisi il risarcimento dovuto". 

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