Delitto Lidia Macchi, la procura ricorre contro il risarcimento a Stefano Binda

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I magistrati si sono opposti al risarcimento di 300mila euro per ingiusta detenzione all'uomo, assolto dall'accusa di essere l'assassino della 21enne trovata morta nel gennaio 1987, violentata e accoltellata, a Cittiglio (Varese), perché "con i suoi silenzi" avrebbe "contribuito all'errore sulla sua carcerazione"

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Per Stefano Binda, 54 anni, assolto dall'accusa di essere l'omicida di Lidia Macchi, la 21enne trovata morta nel gennaio 1987, violentata e accoltellata, a Cittiglio (Varese) le questioni giudiziarie non sono ancora finite. La Procura generale, infatti, ha fatto ricorso contro il risarcimento di 300mila euro per ingiusta detenzione affermando che "con i suoi silenzi" Binda avrebbe "contribuito all'errore sulla sua carcerazione". Lo riporta oggi il Corriere della Sera.

Il ricorso contro la richiesta di risarcimento

Una questione giurisprudenziale di rilievo, dato che "il fatto che Binda si fosse avvalso più volte della facoltà di non rispondere è un diritto dell'indagato" e perché la "recente normativa sulla presunzione d'innocenza ha ribadito che tale condotta non incide sulla riparazione per ingiusta detenzione". Ma la Procura generale, sulla base di un verdetto di quest'anno della IV Sezione della Cassazione, ritiene che "la condotta mendace" negli interrogatori costituisca "condotta fortemente equivoca" tale, evidentemente, da creare concorso nell'errore. Binda è stato condannato all'ergastolo in primo grado nel 2018 a Varese, poi sia in Appello sa in Cassazione è stato assolto nel merito. In carcere ha trascorso circa tre anni e mezzo.

Il controesame dell' imputato Stefano Binda durante l'udienza per l'omicidio della studentessa Lidia Macchi al tribunale di Varese, 2 febbraio 2018.
ANSA/LAIACONA ENZO

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