E' quanto si legge nella motivazione della sentenza con cui lo scorso 27 gennaio la Corte ha confermato l'assoluzione in via definitiva di Stefano Binda, accusato dell'omicidio di Lidia Macchi, 21enne uccisa nel gennaio 1987
I giudici d'appello hanno verificato la "certezza fattuale di ogni singolo elemento addotto dall'accusa", per arrivare "con logicità e congruenza di argomenti alla conclusione che i dati indiziari non hanno alcun grado di certezza in fatto e nessuna valenza intrinseca, perché frutto di presunzioni e congetture". Lo scrive la Cassazione nella motivazione della sentenza con cui lo scorso 27 gennaio ha confermato l'assoluzione in via definitiva di Stefano Binda, accusato dell'omicidio di Lidia Macchi, ragazza di 21 anni uccisa con 29 coltellate nel gennaio 1987 e il cui corpo è stato ritrovato in un bosco a Cittiglio del Varesotto. Omicidio rimasto irrisolto.
La vicenda
Binda era stato arrestato nel gennaio 2016 e nel 2018, in primo grado, condannato all'ergastolo dalla Corte di assise di Varese. Era stato poi prosciolto in appello dalla Corte di Assise di appello di Milano il 24 luglio 2019 (LE MOTIVAZIONI). Contro il proscioglimento avevano presentato ricorso il Pg di Milano e le parti civili, ricorso dichiarato oggi inammissibile dagli ermellini.
La sentenza
La sentenza d'appello prese atto di un alibi di Binda per la sera dell'omicidio, e ha ritenuto non dimostrato l'assioma per il quale la poesia 'in morte di un'amica', spedita il giorno del funerale e considerata dall'accusa la prova regina, fosse stata scritta dall'assassino, tantomeno che l'avesse scritta Binda. Nella sentenza con cui ha confermato quella decisione, la prima sezione penale della Cassazione, replicando ai motivi di ricorso della procura generale, ricorda che "le tracce biologiche sulla busta con cui fu spedita ai familiari di Lidia Macchi la poesia 'in morte di un'amica' non appartengano all'imputato, il che non è per nulla marginale". Così come non sono sue nemmeno le tracce rinvenute sulla salma dopo la riesumazione: e questo, sottolinea il collegio, "è un risultato di prove a favore" di Binda. Per la Corte gli elementi indiziari sono stati "valutati con rigore logico e correttezza di metodo" e le conclusioni sono motivate con "adeguatezza e completezza".