Caso Eni-Nigeria, assolti in appello i due presunti mediatori accusati di corruzione

Lombardia

Per Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, condannati a 4 anni in primo grado, i giudici hanno anche revocato la confisca di 112 milioni di euro totali

La Corte d'Appello di Milano ha assolto Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, i due presunti mediatori accusati di corruzione internazionale nel caso Eni/Shell-Nigeria e condannati in primo grado in abbreviato a 4 anni. I giudici hanno anche revocato le confische, decise sempre in primo grado, nei confronti dei due imputati per un totale di 112 milioni di euro.

Giungono dunque altre assoluzioni dopo quelle di tutti e 15 gli imputati, tra cui i due gruppi petroliferi e l'ad di Eni Claudio Descalzi, nel processo ordinario che si è chiuso a marzo. Sulla gestione dell'inchiesta sul caso Nigeria, che si intreccia col fascicolo sul 'falso complotto' e col caso dei verbali di Piero Amara, indaga la Procura di Brescia e anche il Csm sta facendo accertamenti.

Atti non verranno trasmessi in Procura

La Corte d'Appello di Milano ha inoltre deciso di non trasmettere gli atti in Procura per valutare le dichiarazioni dell'ex manager Eni Vincenzo Armanna, tra gli imputati assolti a marzo e 'grande accusatore' valorizzato dai pm. Era stato il pg Gravina a chiedere la trasmissione ipotizzando il reato di calunnia per Armanna ai danni dei dipendenti di Eni finiti a processo, di Obi Emeka e di riflesso di Gianluca Di Nardo. Lo aveva definito "avvelenatore di pozzi". La 'gestione' di Armanna è al centro dello scontro in Procura a Milano su cui indagano i pm bresciani.

La sentenza di oggi

La sentenza odierna è stata emessa dalla seconda sezione d'Appello (presidente Rosa Luisa Polizzi coi giudici Scalise e Nunnari) con la formula "perché il fatto non sussiste”, accogliendo la richiesta dello stesso sostituto pg Celestina Gravina e dei difensori. I due imputati erano stati condannati nel settembre 2018 dal gup che aveva anche disposto la confisca revocata oggi. Il pg, nella requisitoria del 13 aprile dopo la sentenza del 17 marzo con le 15 assoluzioni, non aveva risparmiato toni duri nei confronti della Procura sottolineando pure l'eccessivo costo delle indagini, oltre alla "mancanza di prove". 

"Dopo 7 anni si respira aria di verità", commenta l'avvocato di Obi Emeka, Roberto Pisano, secondo il quale la condanna di primo grado era stata "ingiusta" e dovuta ad un "macroscopico travisamento della prova e a violazioni di legge". Per Giuseppe Iannaccone, difensore di Di Nardo, oggi è stato assolto giustamente "un innocente". La Corte, ha chiarito, "lo ha acclarato, ho sempre avuto fiducia nella giustizia e oggi l'appello lo ha dimostrato".

Le indagini

Il pm Paolo Storari, indagato a Brescia per rivelazione di segreto d'ufficio per la consegna dei verbali sulla loggia Ungheria a Davigo, ha riferito ai pm bresciani di una precisa linea da parte dei vertici della Procura che prevedeva di 'salvaguardare' Amara da possibili indagini per calunnia, perché sarebbe tornato utile come teste nel dibattimento sul caso Nigeria. Sempre secondo Storari, le prove da lui raccolte sull'ex manager Eni Vincenzo Armanna, tra cui chat 'manipolate', non vennero prese in considerazione dal procuratore Francesco Greco, dagli aggiunti Laura Pedio (con Storari si occupava dei presunti 'depistaggi') e Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro, né vennero depositate nel processo. Anche Armanna, ha denunciato Storari, non poteva essere 'screditato'. De Pasquale e Spadaro, titolari dell'inchiesta Eni-Nigeria, sono indagati a Brescia per rifiuto di atti d'ufficio. Su questo caso si è aperto pure uno scontro tra pm e giudici che ha assunto contorni netti con il deposito delle motivazioni della sentenza di marzo.

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