Interrogato oggi per oltre 4 ore in Procura a Milano, l'uomo avrebbe di nuovo parlato dei suoi problemi dovuti alla dipendenza dalla droga e degli effetti che ha su di lui
Si è svolto oggi in Procura a Milano l'interrogatorio di Alberto Genovese, l'imprenditore delle start up arrestato lo scorso 6 novembre con l'accusa di avere sequestrato e stuprato, dopo averla drogata, una 18enne nel proprio appartamento vicino al Duomo. Il faccia a faccia tra Genovese, accusato di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona e lesioni, e il procuratore aggiunto Letizia Mannella, il pm Rosaria Stagnaro e il capo della Squadra Mobile Marco Calì è durato oltre 4 ore. (LA CONVALIDA DELL'ARRESTO - L'INCHIESTA A BOLOGNA)
Le dichiarazioni
Assistito dall'avvocato Davide Ferrari, il 43enne avrebbe di nuovo parlato dei suoi problemi dovuti alla dipendenza dalla droga e degli effetti che ha su di lui, come perdita di "controllo" e incapacità di distinguere il confine tra "legalità e illegalità", spiegando che quando assume droga non è "consapevole" e non riconosce "il disvalore" delle proprie azioni. Sulla vicenda al centro delle indagini avrebbe aggiunto: "Se l'ho fatto, non ho fatto una bella cosa". Nelle oltre 4 ore di interrogatorio, il tema della droga è stato affrontato lungamente e il consumo di grandi quantità di stupefacente è alla base della difesa dell'imprenditore. Secondo quanto appreso, Genovese avrebbe ripetuto che non aveva intenzione di fare del male alla ragazza e che "se ciò è avvenuto" è stato per colpa della droga.
"Alberto Genovese di oggi non è quello di 5 anni fa. Un gran lavoratore che ha costruito un impero dal niente. Non sono nulla di tutto questo", ha aggiunto il 43enne. Agli inquirenti, l'uomo è apparso provato fisicamente, ma la sensazione è che si tratti di una conseguenza dell'astinenza da sostanze stupefacenti.
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L'interrogatorio
L'interrogatorio si è tenuto in una sala adiacente all'anticamera del procuratore di Milano, Francesco Greco. Il corridoio è stato presidiato per tutto il tempo dagli agenti di polizia penitenziaria che hanno vietato l'accesso ai giornalisti su disposizione dello stesso Greco.