Caso camici, indagini: nessun ruolo attivo per la moglie di Fontana

Lombardia
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Dai primi atti dell’inchiesta dei Pm di Milano, la donna non avrebbe partecipato in alcun mondo alla vicenda. Continuano invece le verifiche sul ruolo del governatore lombardo. L'assessore regionale Cattaneo, durante il consiglio regionale: "Niente da nascondere"

Dai primi atti dell'indagine dei pm di Milano sul caso della fornitura da mezzo milione di euro di camici, e altro materiale, è emerso che la moglie di Attilio Fontana, titolare di una quota del 10 per cento della società Dama gestita dal cognato del governatore, Andrea Dini, non avrebbe avuto un ruolo attivo nella vicenda. Verifiche, invece, come già emerso, sono in corso sul ruolo del governatore lombardo.

Le indagini sulla moglie di Fontana

Dai primi atti delle indagini, tra testimonianze e documentazione raccolta dalla finanza negli uffici della Regione Lombardia e della centrale acquisti Aria spa, sarebbe emerso che Roberta Dini non ha cariche amministrative o formali nella società del fratello di lei, Andrea Dini, indagato per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente assieme al dimissionario dg di Aria, Filippo Bongiovanni.

L'inchiesta

Gli inquirenti e gli investigatori del Nucleo speciale di polizia valutaria stanno facendo verifiche su un presunto ruolo attivo di Fontana (non è indagato allo stato), il quale ha sempre ribadito di non aver saputo alcunché della fornitura e di non essere intervenuto in alcun modo. Intanto, tra le carte raccolte nell'inchiesta c'è una email del 22 aprile (6 giorni dopo l'ordine diretto di acquisto) in cui Dama proponeva un'integrazione della prima fornitura di 75mila camici con altri 200.000 pezzi, su "indicazione" dell'assessore lombardo Raffaele Cattaneo, già sentito come teste nell'inchiesta e che avrebbe consigliato ad Aria la società Dama. Elementi che rafforzano l'ipotesi della procura, la quale ritiene, sulla base dei primi atti, che si trattò di un'operazione commerciale svolta in conflitto di interessi e poi trasformata in donazione il 20 maggio, dopo che 'Report' iniziò ad interessarsi del caso. Ieri gli inquirenti hanno ascoltato altri testimoni, tra cui 'tecnici esterni' non della Regione né di Aria, e nei prossimi giorni sarà sentito Bongiovanni, che ha chiesto di essere interrogato

Cattaneo in consiglio regionale: "Niente da nascondere"

L'assessore lombardo all'Ambiente, Raffaele Cattaneo, a capo della task force per la produzione di mascherine e Dpi durante l'emergenza Covid, ha intanto risposto per conto di Fontana alla richiesta di informativa sul "caso camici" presentata dal Movimento 5 Stelle durante il consiglio regionale: "Non vorrei che qualcuno pensasse che la Giunta regionale in qualche misura voglia scappare dalle sue responsabilità. Non abbiamo niente da nascondere. Ben volentieri racconterei a quest'Aula tutto quello che abbiamo fatto, ritengo che sia stato lavoro prezioso e dedizione, purtroppo non posso farlo con dovizia di particolari, c'è un'indagine in corso, sono stato sentito almeno al momento come testimone mi è stato richiesto esplicitamente di rispettare il segreto investigativo. Mi riservo di riferire i dettagli a quest'aula non appena ne sarò sgravato", ha aggiunto l'assessore, ricordando che la task force "si è occupata di imprese che si volevano riconvertire" con "caratteristiche produttive di qualità e di certificazioni idonee" ma "non si è occupata né di contratti nel della distribuzione". 

"Rifarei tutto"

Cattaneo ha proseguito: "Ho sentito decine di imprese e abbiamo portato a certificarsi con marchio CE 61 imprese che hanno prodotto camici. Qual era l'alternativa in quei giorni? Lasciare i nostri medici senza protezione, rimanere sul divano e scegliere la strada dell'irresponsabilità. Sapevo avremmo corso dei rischi ma rifarei tutto, in coscienza ritengo sia stata la cosa giusta".

"Agito in supplenza alle mancanze del Governo"

La risposta politica dell'assessore regionale prosegue: "Perché la Regione Lombardia a metà marzo ha dovuto prima lanciare un appello pubblico e poi istituire una task force per occuparsi del reperimento dei dispositivi di protezione individuale? Lo abbiamo dovuto fare in supplenza alle mancanze di un Governo che prima, il 31 gennaio, ha dichiarato lo stato di emergenza" ma "dov'è stata questa immediatezza di intervento, cosa abbiamo visto in Lombardia? Il primo atto è la nomina del commissario Arcuri il 17 marzo. Dunque il Governo agisce un mese e mezzo dopo aver dichiarato lo stato di emergenza. Avremmo potuto rimanere sul divano di fronte a questa inadempienza, e non l'abbiamo voluto fare".
Nel suo intervento in Aula, Cattaneo ha inoltre ricordato "lo straordinario clima di emergenza" vissuto nel pieno della pandemia, spiegando che "se c'era uno stato di emergenza a livello nazionale quanto più era giustificato nella nostra Regione. Essere stati colpiti in maniera così virulenta dalla pandemia non può essere una colpa. Abbiamo dovuto operare in condizioni di emergenza in scenario che richiedeva interventi straordinari". E ha aggiunto: "Io in quei giorni sono stato destinatario di telefonate e richieste di moltissimi, dai banchi della maggioranza e dell'opposizione, anche del gruppo del Movimento 5 Stelle, di colleghi che mi hanno telefonato segnalandomi imprese, giustamente. Compito della politica è tutelare l'interesse pubblico, in quel momento il più importante dovere era assicurare ai medici e al personale sanitario gli strumenti di protezione che purtroppo da altre parti non arrivavano. Se questo era l'interesse pubblico quanti di voi in quei giorni avrebbero subordino interesse ad altre questioni? Nessuno".

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