Milano, commissari ex Ilva: “Dal fallimento del progetto di rilancio danni incalcolabili”

Lombardia
Foto di archivio (ANSA)

I commissari dell'ex Ilva hanno depositato le repliche alla memoria presentata da ArleorMittal lo scorso 16 dicembre nell'ambito del procedimento cautelare e d'urgenza contro l'addio del gruppo franco-indiano al polo siderurgico

I commissari dell'ex Ilva, tramite i loro legali, hanno depositato la loro memoria di replica a quella presentata da ArleorMittal lo scorso 16 dicembre nell'ambito del procedimento cautelare e d'urgenza contro l'addio del gruppo al polo siderurgico italiano. Il deposito della memoria è avvenuto entro i termini stabiliti dal giudice Claudio Marangoni, titolare del procedimento. Secondo quanto scritto nel documento "il fallimento del progetto di preservazione e rilancio dei Rami d'azienda", porterebbe "ad un impatto economico pari ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro”.

Il documento depositato dai commissari dell'ex Ilva

L'atto risponde punto per punto a quanto aveva sostenuto la multinazionale nella sua memoria circa un mese fa e ritiene superata la questione dell'Altoforno 2, uno dei punti evidenziati dagli avvocati di ArcelorMittal che per le controrepliche ha tempo fino al 31 gennaio giorno entro il quale si dovrebbe raggiungere un accordo per garantire la continuità produttiva degli stabilimenti.

“Conseguenze economiche pari a 3,5 miliardi di euro”

"Le conseguenze economiche attivate dall'inadempimento di ArcelorMittal", ossia "il fallimento del progetto di preservazione e rilancio dei rami d'azienda", porterebbero "ad un impatto economico pari ad una riduzione del Pil di 3,5 miliardi di euro, pari allo 0,2% del Pil italiano e allo 0,7% del Pil del Mezzogiorno", scrivono i legali dei commissari dell'ex Ilva. "Calpestando gli accordi stipulati e gli obblighi assunti", sciogliendo il contratto, il danno creato da ArcelorMittal sarebbe "incalcolabile e concretamente irreparabile" con "pregiudizi diffusi" a carico "dell'intero tessuto socioeconomico delle aree interessate". E l'ex Ilva in amministrazione straordinaria "non ha né la struttura, né i mezzi per reagire all'inadempimento" di ArcelorMittal "per mitigarne i danni". La tesi di ArcelorMittal di una 'esatta esecuzione' del contratto di affitto degli stabilimenti di Taranto, secondo quanto riportato nella memoria depositata, "è del tutto mistificatoria" e porta ad evidenziare come il gruppo "non abbia mai regolarmente adempiuto al contratto e il livello del proprio inadempimento si sia gradualmente accresciuto man mano che la controparte comprendeva la propria inabilità a gestire in modo economicamente efficace i rami d'azienda presi in carico". 

Ex Ilva: "Si vuole imporre riduzione personale di circa 5.000 unità"

"Neppure oggi" ArcelorMittal "è regolarmente adempiente ai propri obblighi contrattuali" e la "gestione dei rami d'azienda" sta "continuando ad avvenire su una base nettamente depressa ed insufficiente rispetto alla capacità produttiva". Inoltre, "la consistenza del magazzino" anziché "essere orientata all'approvvigionamento" è "fortemente sbilanciata sul prodotto finito", scrivono ancora i legali che lamentano anche che Mittal "si rifiuta ostinatamente di consentire" verifiche e sopralluoghi. ArcelorMittal ha portato avanti le "consuete logiche" di "un certo tipo di capitalismo d'assalto secondo le quali se a valle dell'affare concordato si guadagna, allora 'guadagno io', mentre, se invece si perde, allora 'perdiamo insieme'” si legge nella memoria di 86 pagine in cui i legali dell'ex Ilva spiegano che il gruppo "cerca oggi di imporre surrettiziamente una riduzione del personale di circa 5.000 unità", di "dimezzare l'occupazione portandola da 10.700 dipendenti a soltanto 5.700".  ArcelorMittal, scrivono ancora gli avvocati, "non ha portato avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e con gli investimenti programmati, né ha eseguito il programma di manutenzione concordato nell'ambito del contratto in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio". In più, "non ha operato gli impianti secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità: anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operatività non più di due contemporaneamente".

I lavoratori in cassa integrazione

Secondo quanto si legge "la giacenza di materie prime al 20 novembre 2019 era tale da garantire (...) un'autonomia di circa 6 giorni". Una situazione che "oggi non è sostanzialmente modificata, posto che ArcelorMittal, successivamente agli impegni presi nel corso del presente giudizio, ha continuato a mantenere un magazzino fortemente sbilanciato sul prodotto finito da vendere anziché sull'approvvigionamento di materie prime destinate ad alimentare la futura attività". "La migliore conferma di quanto precede è del resto di poche ore fa - prosegue la memoria - quando la controparte ha dato notizia della messa in cassa integrazione di 250 dei 477 dipendenti operanti sull'altoforno 1 in ragione dello 'scarso approvvigionamento di materie prime e dell'attuale capacità produttiva legata alle commesse'". "Sul punto - continua l'atto - è del resto necessario sottolineare che la controparte si è rifiutata sino ad ora ostinatamente di consentire" ai commissari dell'ex Ilva o a chi per loro "qualsiasi tipo di verifica e sopralluogo finalizzati a controllare l'effettiva situazione e la correttezza della ben laconica, e generica, informazione trasmessa circa la produzione giornaliera di acciaio grezzo".

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