La scrittrice torna in libreria con un nuovo romanzo intitolato "L'acqua del lago non è mai dolce", pubblicato da Bompiani. E durante "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, dice: "I personaggi non devono essere completamente chiari e cristallini. Omettere è uno dei compiti della scrittura"
È tutto un romanzo di cose e di sottrazioni, questo di Giulia Caminito. Si intitola "L'acqua del lago non è mai dolce", l'ha pubblicato Bompiani e racconta la storia di una ragazza, Gaia, cresciuta negli anni Duemila, dentro una vita povera e durissima, con una madre fiera e determinata, un padre disabile, tre fratelli (due sono gemelli) e con pochi, pochissimi oggetti.
"La posizione di Gaia, nella sua vita, è stata sempre quella del non avere", racconta Caminito durante 'Incipit', la rubrica di libri di Sky TG24. Per questo la madre di Gaia non rientra mai a casa a mani vuote, perché, dice, "quello che non serve più agli altri a noi serve di sicuro". Ed è ancora per questo che le punizioni nell'infanzia e nell'adolescenza di Gaia passano per le cose e soprattutto per la loro assenza, con sua madre che raramente dà schiaffi o calci, preferendo invece sottrarre qualcosa: la cena, i pochi giochi, la merenda o l’astuccio.
La provincia
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Il romanzo di Giulia Caminito racconta questa crescita e descrive questa realtà fatta di pochi oggetti e di molte sottrazioni, in un paese (Anguillara Sabazia) dove, come del resto in tutti i paesi, è "necessario identificarsi prima di pretendere attenzione, perché si esiste quando gli altri hanno capito con certezza chi sei, quando rendi chiaro da che famiglia provieni, quali sono i tuoi terreni, le case le ville gli appartamenti".
"La domanda è sempre di chi sei figlio, il che vuol dire inevitabilmente chiedere se appartieni o no realmente a quel paese", racconta Caminito, cresciuta anche lei in provincia, anche lei ad Anguillara, anche se in una famiglia borghese molto diversa da quella della sua protagonista.
"Omettere è un compito della scrittura"
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E, a proposito di provincia, è sempre Gaia, il personaggio del suo romanzo, a confessare come la madre le abbia insegnato "che raccontare le minuzie, le faccende, le piccolezze di famiglia in paese è molto peggio che affrontarlo nudi con le mani legate". Sembra quasi inevitabile chiedere allora alla sua autrice se funziona così anche nella narrazione di una storia: “L'omissione conta molto - risponde lei - I personaggi non devono essere completamente chiari e cristallini". Poi aggiunge che omettere è proprio un compito della scrittura, un lavoro - dice - che cerca di fare sempre anche se forse potrebbe essere fatto meglio e di più: "Spesso quello che viene soltanto espresso nel testo tra le righe è più importante di quello che viene esplicitato, è un equilibrio su cui bisogna allenarsi e cercare di imparare".
Le parole e i luoghi comuni
Caminito racconta poi come sia ossessionata rispetto all’originalità e rispetto alla distanza, all’ovvio, al già letto e al già ascoltato. "Non voglio muovermi - spiega - in luoghi troppo comuni, mi viene da storcere il naso quando mi rileggo se qualcosa mi sembra troppo evidente, cerco sempre di lavorare un po' di più sull’eccezione".
E però poi aggiunge che è ovvio che ogni libro è attraversato da alcuni luoghi comuni, anche questo libro, dice, parla di uno scontro tra madre e figlia nel periodo dell’adolescenza, di gelosie che si scatenano all’interno di amicizie tra donne.
I luoghi comuni ci sono, ammette, però bisogna riempirli attraverso le parole per dare un'originalità e uno sguardo diverso all’interno della narrazione.
Ecco, è forse in questa autocritica e in queste ammissioni venate da una sottile inquietudine che sta il meglio di questo romanzo, perché è probabilmente da qui che germina una scrittura in grado di descrivere (e di circoscrivere) con grande pertinenza la realtà che racconta.