Daniela Thiele: “Per 18 anni ho scritto romanzi fingendomi un uomo, Nicolas Barreau"

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Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

Il suo è stato lo svelamento di identità più atteso del 2024. Abbiamo incontrato Daniela Thiele, la donna che per 18 anni si è nascosta dietro lo pseudonimo Nicolas Barreau, vendendo con le sue commedie romantiche milioni di copie

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Il caso più noto è forse quello di George Eliot, un nome maschile fittizio con cui Mary Ann Evans scelse di firmare i suoi romanzi per non destare scandalo. Come lei, Louisa May Alcott, l’arcinota autrice di Piccole Donne, che si spacciò a  lungo per A.M. Barnard. Sulla stessa scia J.K. Rowling: l'inventrice di Harry Potter, su richiesta della casa editrice, si nascose dietro una sigla ambigua perché da uomo avrebbe "venduto di più". La letteratura mondiale è piena di libri scritti da donne che riportano sulle copertine dei nomi maschili. Si è aggiunta a questa lista di scrittrici leggendarie la tedesca Daniela Thiele, autrice di commedie romantiche di successo, prima fra tutti Gli ingredienti segreti dell'amore. Il suo è stato lo svelamento di identità letteraria più atteso del 2024. Per 18 anni ha utilizzato lo pseudonimo maschile Nicolas Barreau, un alter ego inventato a cui era stata associata anche una foto per rendere il tutto più credibile. Thiele ha scelto il Salone del Libro per il suo primo incontro con il pubblico. E proprio a Torino ha presentato il suo ultimo romance, L’amica della sposa, edito da Feltrinelli. L’edizione italiana ha preceduto anche quella tedesca. L’abbiamo incontrata per capire le ragioni del suo lungo anonimato.

Daniela Thiele

Come ci si sente a uscire da un anonimato lungo 18 anni?
Mi sento un po’ sovrastata, perché ho incontrato così tanti lettori, è la prima volta che parlo con loro, non avevo mai autografato i miei libri. Sono sensazioni nuove. Mi spaventava fare questo passo, ma la risposta del pubblico è stata delle migliori. Sono felici di incontrarmi, mi pregano di continuare a scrivere libri a lieto fine. Mi incoraggiano a non abbandonare il mio romanticismo. Nelle mie commedie trovano un messaggio di speranza.

 

Quando ha preso la decisione di svelarsi?

Ci ho pensato molto. Quando i libri hanno cominciato ad avere successo molti volevano sapere chi fosse Nicolas Barreau, una situazione comparabile al caso “Elena Ferrante”. Ho letto tutti i suoi libri e la adoro. E proprio leggendoli mi sono posta per la prima volta la questione. Da lettrice e fan avrei voluto conoscerla, così mi sono messa nei panni dei miei lettori. Rispetto la scelta di Elena Ferrante. Ogni autore può avere una ragione per non riverlarsi al pubblico. 

 

Perché l’anonimato?

Lavoro da sempre nel mondo dell'editoria. Ho una piccola casa editrice fondata 18 anni fa insieme a mio marito. Quando l'attività era appena avviata e non avevamo tanti soldi per acquistare i diritti di pubblicazione per grandi autori, avevamo solo il nostro entusiasmo. Fu mio marito a suggerirmi di scrivere un romanzo. Io avevo sempre vissuto nelle storie e per le storie. Era arrivato il momento di provare a fare la scrittrice secondo lui. Scrissi il mio primo romanzo, ma volevo dividere i due ruoli, l’essere editrice e l’essere autrice. 

 

Perché nascondersi dietro uno pseudonimo maschile?

Volevo creare una grande distanza tra me e quello che scrivevo, perché non volevo scrivere storie che fossero in alcun modo riconducibili alla mia vita. Ho esercitato al massimo creatività e inventiva e in questo modo mi sono protetta.

 

Come ha plasmato questa identità maschile? E per costruire il ragazzo della foto da chi ha preso ispirazione?

Il modello è stato il mio amato papà che è morto molto giovane. Quando ho trovato le sue foto, sono rimasta colpita dalla sua bellezza e eleganza. Sembrava Jean-Paul Belmondo, aveva quel tipo di fascino. Ho dedicato a lui il mio primo romanzo. In Nicolas c'è sicuramente qualcosa di mio padre.

 

Prima si parlò di un autore collettivo, poi un critico tedesco avanzò l'ipotesi che fosse proprio lei l'autrice. Come si fa a mantenere un segreto del genere?

Non ho mai rivelato questa informazione nel mio ambiente. Ne erano a conoscenza solo i miei familiari e qualche amico stretto. Non è stato facile. C’era dentro di me il desiderio di condividere con il mondo la gioia di tutto quel successo, di tutti quei traguardi. Di carattere sono una persona molto estroversa, amo stare tra le gente. Poco tedesca, molto italiana, in un certo senso.

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Molti lettori sono rimasti delusi quando hanno scoperto che Nicolas Barreau fosse un personaggio immaginario. Ha mai avuto paura di farli innamorare di un fake?

Avevo paura del giudizio gente, che qualcuno avesse costruito le sue aspettative su Nicolas Barreau. Nella foto è un bel ragazzo, giovane. Anche se dopo 18 anni sarebbe invecchiato anche lui. Sicuramente ci sono state delle donne che hanno amato la sua faccia, ma penso che non si sarebbero mai innamorate di lui se non avessero letto i romanzi e quei romanzi li ho scritti io. 

 

Perché la Francia?

Anche su questo fu mio marito a darmi l'idea. “Conosci bene Parigi, hai studiato lì, sei da sempre legata alla Francia, è il posto perfetto per ambientare delle commedie romantiche”, mi disse. I primi due libri sono andati bene, il terzo, Gli ingredienti segreti dell’amore, è stato un successo. Non sono riuscita più a fermarmi, e ho capito che poteva giovare alla nostra casa editrice.

 

Pensa che la Germania non sia abbastanza romantica?

Parigi è decisamente più romantica, ma la ragione per cui l’ho scelta è perché quando ero studentessa mi sono perdutamente innamorata di questa città. Un amore che ho continuato a coltivare. Al di là di questo, c’è un segreto di famiglia: il mio bisnonno era il figlio illegittimo di un conte francese e di una donna della borghesia, insomma di una non nobile. Quando rimase incinta, la mia trisavola scappò in Germania, anche per allontanarsi dalle voci e dai pregiudizi. Nonostante le difficoltà nel crescere un figlio da sola a quei tempi, il mio bisnonno divenne ingegnere e affiancò Gustave Eiffel nel progetto della Tour Eiffel, il simbolo di Parigi. Quando ho scoperto questa storia di famiglia, ho capito perché sentissi un legame così forte con questa città. Adesso cammino nel VII arrondissement piena di orgoglio e ammirazione. 

 

Sarà la trama del suo prossimo romanzo?

Sì, vorrei scrivere un libro su questo. Sarebbe un’occasione per scrivere qualcosa di diverso rispetto alle mie commedie romantiche. Il mio bisnonno fece fortuna, ma poi perse tutto negli anni Venti. Ebbe otto figlie, solo una si sposò, perché non permetteva a nessun uomo di avvicinarsi. C’è anche della tragedia in questa storia familiare. 

 

La spaventa cambiare genere?

Penso che sia più difficile scrivere commedie che tragedie. Nelle storie a lieto fine, apparentemente più leggere, tutto deve combaciare perfettamente a livello narrativo: è un lavoro complesso di scrittura e costruzione della trama.

 

E l’Italia?

Ho già ambientato in Italia “Il caffé dei piccoli miracoli”. La storia si svolge a  Venezia, una città che amo e che incarna al meglio la mia idea di romanticismo. Mia madre mi ha trasmesso l’amore per questo Paese. Era una bellissima donna: capelli neri e occhi azzurri. Assomigliava a Sophia Loren. Amava così tanto l’Italia che mi diede un nome italiano, Daniela, e scelse come secondo nome Beatrice, in omaggio a Dante e a quella storia d’amore eterna. Tutto torna. Ero molto legata a lei e quando è morta ero nel bel mezzo della redazione del mio ultimo libro. Il dolore mi ha travolta e ho pensato che non sarei mai riuscita a terminarlo. E invece mi sono fatta coraggio e sono qui a presentarlo.

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