Mostre, il potere secondo Mao Xuhi
LifestyleA Venezia la prima retrospettiva dedicata all’artista cinese
Il potere e l’autorità, come ci usano e quello che ci fanno diventare. Davanti a loro, mostri che ci controllano da lontano mentre ci sforziamo di vivere, siamo tutti nudi, vulnerabili. Poi però c’è il modo in cui noi ci rapportiamo al potere. C’è il rispetto, certo, e la paura, ma anche la ribellione.
Il fatto che l’artista in questione sia cinese eleva a potenza il messaggio di questa mostra in corso a Venezia fino a tutto il mese di gennaio, negli spazi di Palazzo Grimani (che, se non l’avete già visitato, da solo vale un salto in Laguna).
Si tratta della prima retrospettiva organizzata in Itala sull’artista Mao Xuhui (1956). Tecnicamente è camaleontico, nel senso più affascinante che si riesca ad attribuire all’aggettivo. A volte somiglia a Cézanne, a volte a Bacon. Ma non imita: adotta codici di comunicazione.
A cavallo della grande trasformazione economica del Paese
Mao Xuhui è nato a Chongqing, nel Sud-Ovest della Cina. I genitori insegnavano nella scuola di Geologia della città ma pochi mesi dopo la sua nascita furono trasferiti d’autorità a Kunming, 800 chilometri di distanza, per dare il loro contributo alla trasformazione economica del Paese ordinata da Mao Zedong.
Nell’anno 2000, all’interno di un volume dedicato all’arte cinese contemporanea, l’artista scrisse: «A volte ho la sensazione che il Paese e la città in cui vivo siano cambiati irriconoscibilmente. Non sono più amichevoli. Siamo stati il catalizzatore culturale di quel cambiamento, ma non ci aspettavamo che la situazione si trasformasse in qualcosa di simile […] A parte il profitto, nessuno ha fede in nulla. Negli ultimi anni, penso spesso a Nietzsche e alla sua affermazione che "Dio è morto". Questa è la nostra realtà. È prima di tutto una morte spirituale».