Camila Sosa: “Io persona trans, ex prostituta, attrice: le mie mille vite in un libro”

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Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

La scrittrice argentina de "Le cattive" presenta in Italia la sua nuova raccolta di racconti "Sono una pazza a volere te". Nel giorno dedicato alla lotta contro l'omobitransfobia un dialogo sul potere della parola 

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“Nella scrittura è inutile mascherare una prima persona perché i testi cominciano a soffrirne dopo tre o quattro capoversi”: un inciso tra le pagine della nuova raccolta di racconti della scrittrice argentina Camila Sosa Villada vale più di mille interviste. Si chiama “Sono una pazza a volere te”, edito da Edizioni Sur, ed è un viaggio commovente e ironico nel continente americano e nel tempo. Ma anche dentro se stessa e le sue mille vite. Sosa Villada è la scrittrice trans, la figlia nata con il sesso sbagliato, la ragazza povera che si barcamena come può, l’ex prostituta che è stata salvata dal teatro. Nelle 220 pagine dell'opera si ritrovano i frammenti di tutti queste identità e esperienze.

Abbiamo incontrato a Torino l'autrice che con il best seller “Le cattive” ha venduto centinaia di migliaia di copie. Ci ha raccontato della sua letteratura che è ostile alle etichette e dell’Argentina del nuovo presidente Milei che annovera tra i suoi primi atti politici il bando dalla pubblica amministrazione del linguaggio inclusivo e di "tutto ciò che riguarda una prospettiva di genere".



Perché una raccolta di racconti come “Sono una pazza a volere te” ?

Volevo portare i miei lettori a fare una passeggiata attraverso la mia immaginazione contorta. Sono un po' pazza, e in qualche modo la mia parte di attrice si insinua in ogni storia. Ogni racconto sembra scritto da un personaggio diverso. Ci sono le mille personalità che abitano dentro di me. E in realtà sono solo una parte.

 

Quale racconto parla più di lei?

Il primo, “Grazie, Difunta Correa”. È  stato detto e scritto tanto quando è uscito “Le Cattive”. Tutti si chiedevano se fosse o meno autobiografico, se la mia letteratura fosse autofiction o no. Questo primo racconto di “Sono una pazza a volere te”  è la cosa più autobiografica che io abbia mai scritto. Racconto di quando mio padre e mia madre fecero un voto a una vergine pagana in Argentina, affinché lasciassi la prostituzione. Funzionò. Tre mesi dopo quella promessa la mia carriera da attrice decollò, feci uno spettacolo così bello e di successo che non dovetti più tornare in strada.



Nel suo libro ci sono prostitute, persone trans discriminate, donne che per sfamarsi scendono a compromessi, famiglie povere e infelici perse in villaggi sperduti, eppure lei non ama la parola “marginalità”, che potrebbe essere la sintesi perfetta di tutto questo.

No, non amo questa parola perché è il frutto di una posizione borghese. Non posso negare che questo sia un libro che parla di personaggi ai margini, ma ancora prima di essere tali sono persone che esistono, non necessariamente marginalmente. Sono in periferia solo perché c'è gente che monopolizza un presunto centro.


La sua vita è un romanzo. Come la descriverebbe a chi non sa nulla di lei?

Marguerite Yourcenar scrisse: “Che non si incolpi nessuno della la mia vita”. Non trovo le parole per raccontarla o spiegarla: è quella che mi è toccata essendo una “travesti” latinoamericana, nata povera. Ho sempre voluto raccontare quello che succedeva attorno a me, niente di più. La parola è stata come un dono per poter capire quello che non riuscivo a capire. E la cosa più incomprensibile era la repulsione che causava la mia natura, lo sguardo schifato con cui mi guardavano.

 

I primi segnali lanciati da Milei, il nuovo presidente argentino, sembravano all’insegna del “vivi e lascia vivere”, ma la realtà ha sconfessato le previsioni e sembra sia in atto un arretramento sul fronte dei diritti civili. Come vive questa nuova era?

È doloroso per me parlarne perché, ad essere onesti, molte persone della comunità LGBT, lavoratori, persone che vivono in quartieri molto disagiati lo hanno votato e lo sostengono. Lo scenario è terribile per alcuni gruppi sociali, ma lo stanno comunque appoggiando. Il governo sta mettendo in atto scelte devastanti, penso alle politiche culturali restrittive, al modo in cui imposta il rapporto con l’altro, distruggendo l’idea di uguaglianza tra cittadini. Eppure lo hanno votato, e sembrano contenti. Questo mi addolora.

 

Ha paura come parte di una minoranza?

C’è gente che ha paura, anche io ne ho. Ma a me non possono fare nulla, perché sono famosa, guadagno, sono più protetta di una “travesti” che si prostituisce in un angolo della strada. Ho paura anche per i miei genitori. Anche la paura è qualcosa di antico, che fa andare avanti la storia. O ti minacciano o ti fanno delle promesse, è la politica.

 

I suoi libri sono inevitabilmente politici. Come analizza la situazione generale?

Mi sembra che in Sud America sia in atto un esperimento di uomini d’affari che stanno manovrando delle loro marionette per vedere fino a dove ci si possa spingere. Bolsonaro era un po’ peggio di quelli che c’erano prima, Milei è ancora un po’ peggio di Bolsonaro. Dove arriveremo e come sarà il prossimo? Me lo sto chiedendo.

 

Eppure la letteratura latinoamericana è in una fase d’oro. E sono le donne e le autrici trans a essere protagoniste. Da Cristina Rivera Garza a lei che con “Le cattive” ha venduto centinaia di migliaia di copie. Come spiega questo scarto tra politica e letteratura?

Per molto tempo siamo state nella parte più bassa delle librerie. Per trovare un libro scritto da una donna dovevi piegarti e scandagliare lo scaffale più basso. Adesso all'improvviso ci troviamo a occupare il centro, quello che può sembrare una fortuna o un vantaggio, in realtà comporta molte responsabilità, perché dobbiamo interrogarci sul potere della parola. il fatto che ora sulla scena ci siano donne o trans non significa che sia meglio di prima. Non basta esserci, ed essere protagoniste. Dobbiamo porci delle domande, se ha senso o no quello che scriviamo, se abbiamo interiorizzato la stessa logica dei baroni della letteratura.

 

Qual è il filo rosso?

Per anni abbiamo scritto sapendo che nessuno ci avrebbe letto, ci lanciavamo nella letteratura come fosse un fiume straripante. Questa è la nostra forza artistica.

 

Le piace la definizione “letteratura transgenerica”?

Mi obbligano ad utilizzarla. Temo sia usata anche come operazione di marketing. Le case editrici credono che possa attirare l’attenzione dei elettori. Il mio lavoro è scrivere. Dicano quel che vogliono. Basta che serva a vendere e a essere letta. Bisogna sottolineare però che il mondo trans in tutto questo boom letterario resta indietro. Io sono un’eccezione, molti arrancano e cercano faticosamente di farsi un spazio. Perché ancora più delle scrittrici donne le persone trans sono state tenute lontano dall'Accademia, dalle scuole di scrittura, dagli ambienti che contano.

 

Qual è il suo messaggio nella giornata contro l’omobitransfobia?

Che dobbiamo abituarci all’idea di essere in guerra costante. L’omotransfobia non morirà mai. E noi, i diversi, gli “anormali”, continueremo ad esistere, come le antilopi che continuano a nascere nella savana, nonostante siano circondate da predatori pronti a sbranarle.

 

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