Hellen Ligios: "Il mio romance piace perché la protagonista non è una top model"

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Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

Per capire il fenomeno "romanzo rosa", il genere che dal 2019 ha più che raddoppiato le vendite, abbiamo incontrato una autrice italiana esordiente. Hellen Ligios ci ha raccontato come si diventa una scrittrice di professione ai tempi delle piattaforme digitali in cui si pubblicano i romanzi a puntate

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Scrivere solo di cose, posti, luoghi che conosci. È la regola d’oro dei corsi di scrittura creativa. Un comandamento trasgredito sistematicamente dalle scrittrici di romance in testa nelle classifiche italiane e mondiali. Perché il romance come il fantasy ha bisogno di un altrove. Hellen Ligios, autrice romana trentacinquenne sotto pseudonimo, ha ambientato il suo romanzo d’esordio Ci volevamo noi, a Sacramento, nelle ville di lusso dell’upper class californiana, tra multinazionali della frutta e figli di ambasciatori. Nella vita di una giovane promettente ed agiata, Liz, irrompe un motociclista bad boy, Jaz. Una storia che non parla solo d’amore, come ci si aspetta dal genere, ma di gabbie mentali e di come liberarsi dalle pressioni sociali. Abbiamo incontrato l’autrice al Festival del Romance. Il suo libro nato quasi per gioco su Wattpad, social network di lettura e condivisione lanciato nel 2006, è arrivato alle stampe grazie a Magazzini Salani, esordendo nella top ten narrativa italiana.

 

Cosa faceva prima di diventare scrittrice?

Ho studiato lingue orientali all’università e mi sono specializzata in giapponese. Ho trascorso anche un periodo in Giappone. Poi sono tornata in Italia e ho lavorato nell’alta moda.

 

Come si diventa scrittrice di romance?

Ho iniziato pubblicando “Ci volevamo noi” su una piattaforma canadese che si chiama Wattpad, dove le scrittrici emergenti hanno la possibilità di pubblicare i loro scritti a puntate. Ho cominciato a macinare tantissime visualizzazioni. Su Wattpad funziona che più visualizzazioni fai, più le persone ti leggono. È stata la casa editrice a contattarmi. È iniziata così la mia carriera. 

 

Lei è di Roma, ha studiato giapponese all'università, ma i suoi romanzi sono ambientati in America. Perché?

Preferisco parlare di cose lontane. E ho sempre avuto il mito americano. L'America per me rappresenta, nonostante le sue contraddizioni, un sogno e credo che resti il sogno di molti italiani. Il messaggio che manda il mio romanzo è quello di non perdere la speranza, di continuare a credere nell’amore. La gente ha bisogno di ricordarsi che ogni tanto i sogni si avverano. Credo inoltre che le storie che leggiamo possano ispirarci a rompere dei circoli viziosi e questo è il romance. Invito i miei lettori a scappare dalle gabbie della quotidianità, delle consuetudine giornaliere. Per comunicare tutto questo ho bisogno di ambientare le mie storie in un Paese lontano, ho bisogno di un altrove.

 

Come si fa a scrivere di un luogo e di contesti lontani?

Nel mio caso le serie tv sono state fondamentali, in particolare quelle legate al mondo “bikers”, l’universo dei motociclisti californiani. 

 

C'è stato qualcosa di personale, un fatto scatenante che l’ha portata a rifugiarsi nel romance?

Sono cresciuta in mezzo ai libri. Mia madre è una grande lettrice e essendo stata sempre circondata da librerie piene ho subito fin da piccolissima questo fascino. Aprivo i libri, magari non capivo bene, però comunque mi appassionava sfogliare le pagine, mi affascinava sapere che c'erano mondi invisibili, storie immaginate e scritte da persone che non conoscevo che davano vita a personaggi straordinari. 

 

Come descriverebbe la sua generazione?

Penso di far parte della generazione degli anni Novanta, cioè quella che è cresciuta con il walkman, con il game boy, quello non a colori ma in bianco e nero. In una parola mi sento “Millennial”. L’ultima generazione cresciuta, almeno fino a un certo punto, senza social, senza telefonini. Adesso mi sono adeguata, perché nel mondo in cui viviamo è necessario essere presente. È tutto basato sui social. E nel genere romance tutto questo è fondamentale: per esistere bisogna esistere anche sui social. Pensiamo poi al processo editoriale, che è completamente diverso dal passato. Si pubblica sulla piattaforma online e solo dopo si arriva alle stampe.

 

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Cosa cercano i suoi coetanei o i lettori più giovani che si rifugiano nel romance?

Vogliono sognare e sperare anche loro di trovare l'amore. Penso che però la chiave del successo del mio libro (n.d.r. prima di essere dato alle stampe “Ci volevamo noi” aveva collezionato più di un milione di views). Molte ragazze si riconoscono in Liz, perché non è la classica protagonista che rispetta dei canoni irraggiungibili, non è una top model. È una ragazza normale, come tante, con i suoi “difetti” e le sue imperfezioni. Ma soprattutto, al di là dell’aspetto estetico, è una giovane donna che si sente in gabbia, vuole qualcosa di più, desidera essere libera di trovare l'amore, di evadere proprio dalla società e dalle imposizioni sociali. Io penso che sia proprio questo che vorremmo un po' tutti: sentirci liberi. I lettori di romance volgiono sentirsi capiti ed evadere.

 

Lei ha sperimentato delle imposizioni, come quelle che descrive nel libro?

Sì, ho sentito il peso della responsabilità, quello di trovare il posto fisso, di eccellere, di dovermi laureare con certi risultati, di non dover essere meno degli altri. Attenzione però, non perché qualcuno, qualche familiare mi sia stato addosso. Parlo di qualcosa venuto da dentro: ho sofferto mentre cercavo a tutti i costi di “stare al passo”, perché è quello che mi imponevo. Sono riuscita comunque a raggiungere tutto ciò che volevo con grande fatica interiore. Mi pento di non aver vissuto quegli step con più leggerezza. 

 

Il romance è un mondo complesso, pieno di sottogeneri e temi ricorrenti anche noti con la parola inglese “trope”. Ci aiuta a fare ordine in questo ginepraio di categorie e sottocategorie?

I trope sono delle caratteristiche che sono presenti nella storia e che prevalgono. I miei trope sono “Enemies to Lovers”: la storia in questi casi si basa su un nemico che diventa amico e magari qualcosa di più. Ma i miei romanzi rientrano anche in un altro trope, quello chiamato “Bad boy”. Il protagonista maschile del mio romanzo è un cattivo ragazzo. Poi c’è il “revenge”, quindi la vendetta familiare su cui si basa la mia saga. Per fare una sintesi direi che mi muovo nel “dark romance” (n.d.r. romance a tinte cupe) con sottogenere crime. 

 

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