Giorgio Cavazzano: "Io e Zio Paperone, 75 anni portati bene"

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Gabriele Lippi

Decano degli illustratori Disney, Cavazzano è nato a Venezia nell'ottobre del 1947, due mesi prima che Carl Barks desse vita al Papero più ricco del mondo. "Sono stato ultra ripagato, ricevo tanti sorrisi e tanto affetto... Conservo ancora tutti i disegni che i bambini mi regalano". L'intervista

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Sono cresciuti insieme, Zio Paperone e Giorgio Cavazzano, nati nello stesso anno a distanza di un paio di mesi uno dall’altro, per incontrarsi appena adolescenti e non perdersi più di vista. Ok, Paperon De Paperoni adolescente non lo è stato mai (sarebbe meglio dire quasi mai, confronta Don Rosa per maggiori informazioni), perennemente cristallizzato in un’anzianità costante, anzi, forse capace persino di ringiovanire col tempo, di ergersi dritto sulla schiena, di rinvigorirsi avventura dopo avventura, decino dopo decino. Cavazzano, al contrario, sembra non essere invecchiato mai: nell’aspetto, nella vivacità, nello spirito, in un tratto che fu rivoluzionario e che rimane estremamente attuale anche oggi, circa 60 anni dopo le prime tavole inchiostrate per Romano Scarpa, fino a diventare punto di riferimento per qualunque giovane disegnatore si approcci alla materia di Topolino. Paperone e Cavazzano festeggiano insieme i tre quarti di secolo con una storia, Fama, pubblicata sul Topolino 3499 uscito il 14 dicembre in edicola (testi di Marco Nucci), e pare un buon momento per fare qualche bilancio o, almeno, per provare a pescare dal cassetto dei ricordi come mirabilmente fa il libro intervista a cura di Francesco Verni, Giorgio Cavazzano. Un veneziano alla corte del fumetto (Sergio Bonelli Editore, 336 pagine, 32 euro) e come proviamo a fare con questa intervista.

Tavola tratta da "Fama", Topolino 3499, testi Marco Nucci, disegni Giorgio Cavazzano - © Disney

Settantacinque anni, esattamente la stessa età di Zio Paperone. Come è condividere con lui l’anno di nascita?
È un qualcosa di straordinario, avere la stessa età del personaggio più famoso al mondo è una bella cosa. Sono orgoglioso, li portiamo bene tutti e due.

La tua carriera nel fumetto è iniziata molto presto. Ci racconti come?
Con qualcosa che ha del magico. Sono nato in una città straordinaria e bellissima come Venezia. In famiglia c’era già un disegnatore di fumetti, mio cugino Luciano Capitanio. Lo andavo a trovare durante le vacanze e mi ha passato la passione. Poi ho conosciuto casualmente Romano Scarpa, che è stato il mio maestro per tanti anni. A un certo punto ho deciso di trovare un mio percorso, una identità che non fosse solo disneiana, anche se con Disney ho un rapporto bellissimo.

La tua collaborazione con Scarpa è iniziata in un modo particolare. Grazie a un prete…
Sì, Don Paolo Donadelli, un’altra bellissima persona che col tempo ho avuto la fortuna di conoscere. Io avevo letto una storia sul Topolino, Paperino e le lenticchie di Babilonia, e cominciai a girare per Venezia chiedendo al fruttivendolo e agli altri commercianti se conoscessero Romano Scarpa. Casualmente incontrai su un vaporetto la sua fidanzata che mi diede il numero di telefono. Chiamai subito e lui mi disse che aveva bisogno di un collaboratore perché il suo era andato via. Ovviamente mi precipitai nel suo studio e ottenni il lavoro. Quando compii 60 anni, poi, mi telefonò il parroco di Jesolo, Don Paolo Donadelli. Mi chiamò dicendomi che doveva affrontare una operazione molto difficile e non sapeva se sarebbe sopravvissuto, e che voleva dirmi che era lui collaboratore di Romano Scarpa che se n’era andato lasciandomi il posto dopo aver avuto la vocazione. Se ripenso a queste opportunità arrivate per caso. Anzi, non per caso perché le ho cercate…

Forse proprio perché le hai cercate sei stato premiato dal destino, se vogliamo vederla in modo romantico.
Direi che sono stato ultra premiato…

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Quando hai iniziato a disegnare le tue prime storie su Topolino, ti veniva rimproverato di avere uno stile troppo personale e innovativo. Oggi il tuo stile è diventato canone. Che effetto ti fa?
Mi fa molto piacere, avevo ragione io evidentemente (sorride, ndr). Quando inchiostravo le pagine di Scarpa, che erano bellissime, in queste non c’era una vitalità, una effervescenza nella dinamica, erano monotone e io volevo cambiare. Fui persino minacciato attraverso il legale della Disney di tornare allo schema classico di inquadrature e personaggi, ma non diedi ascolto perché sentivo che era giusto. A un certo punto dovetti lasciare il Topolino italiano per approdare a quello francese. Lì fui accolto come un grande artista e un grande autore perché sentivano che nel ‘68 erano cambiati letteratura e cinema, e il fumetto in Francia aveva seguito questi cambiamenti. In Italia è successo dopo.

Tu sei ancora in attività, lavori tanto, ma esiste oggi un erede di Cavazzano?
Sì, sono ancora in attività, continuo a disegnare, ora sto disegnando una copertina per il Topolino. Di miei potenziali eredi ce ne sono tanti e molto bravi, non voglio fare nomi ma basta guardare il settimanale. Ci sono sceneggiatori importanti, nuovi, che stanno avendo delle idee molto originali sui personaggi. E disegnatori anche. La qualità molto alta. Anzi, un nome, uno solo, lo faccio: Stefano Intini, lo adoro, ha una originalità unica, lo si riconosce subito.

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Il tuo rapporto con Disney Italia non è sempre stato idilliaco. Un po’ come molte storie d’amore…
Ed è una storia d’amore che continua tutt’ora. Sono stato lasciato dal primo direttore Mario Gentilini, in Francia ho trovato un’altra atmosfera e considerazione. Quando Gentilini andò in pensione subentrò Gaudenzio Capelli che mi aprì le porte e mi fece tornare a casa. Da quel momento non ci sono più state rotture o litigi, anzi…

Esiste un’epoca d’oro di Topolino in quanto a creatività artistica e diversità di stili?
Sì, certo. C’è stata. Quando tornai a casa ci fu un ingresso di autori che mi imitavano in maniera quasi perfetta, certe volte non riconoscevo le storie, mi chiedevo quando l’avessi disegnata e non era mia. Poi c’è stato un interessante arrivo di nuovi autori che hanno trovato dei percorsi diversi. Oggi c’è un’uniformità di stile, siamo in attesa di disegnatori che collaborino con Topolino che possano avere delle idee e degli argomenti espressivi più originali ma la strada è quella giusta. Considerando il calo di vendite subito dall’editoria, Topolino rimane con dei buoni livelli e garanzie abbastanza sicure.

Questa età dell’oro è, come dicono molti, quella a cavallo tra i Novanta e i primi Duemila? L’epoca dei progetti come PK, Mickey Mouse Mistery Magazine, W.I.T.C.H. e altri?
Sì, devo dire di sì. Ci sono stati dei cambi e arrivi di direttori con idee molto originali. Paolo Cavaglione, Gaudenzio Capelli, Valentina De Poli e Claretta Muci. Un periodo meraviglioso pieno di idee ed entusiasmi. Ricordo certi incontri con tutti noi: si parlava, si studiavano nuove produzioni e prospettive. Poi si è tornati un po’ a riprendere la classica storia disneiana, anche se oggi qualche bel tentativo c’è, soprattutto tra gli sceneggiatori. Per esempio Casti e Nucci stanno facendo delle cose molto interessanti.

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Il francobollo dell'Inferno di Topolino realizzato da Giorgio Cavazzano - © Disney

Qual è il momento più alto della tua carriera?
Collaborare con Poste Italiane realizzando l’Inferno di Topolino in forma molto grafica, una serigrafia inserita poi con sei francobolli disneiani. È stato un momento magico, ho avuto gioia e mi sono sentito veramente onorato.

Il personaggio a cui sei più legato?
È un po’ come chiedere a una padre qual è il suo figlio preferito… Sono legato a un personaggio che continua ad avere gesti bellissimi da parte dei lettori che è Reginella, ed è un omaggio sentimentale che dedico a Rodolfo Cimino.

E la cosa più strana che ti è capitata facendo questo lavoro?
Le due prime pagine di una storia in due puntate di Zio Paperone e il Terzo Nilo.La prima pagina era un’inquadratura normale, io invece ho cercato di renderla come se fosse un’incisione di fine ‘800, come venivano rappresentate dagli esploratori. L’altra è il mio ingresso in Bonelli, ho scoperto cose nuove ed entusiasmanti. Ringrazio sempre Sergio Bonelli e oggi il figlio Davide di avermi dato questa opportunità.

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Sergio Bonelli ti aveva chiesto di disegnare un Texone. Davide ha rinnovato la sua richiesta nella prefazione al libro intervista realizzato con Francesco Verni, che è pubblicato proprio da Bonelli. Hai sempre detto no.
Confermo. Non posso dedicare un anno di lavoro per il Texone. Riconosco i miei limiti, l’esperienza mi ha insegnato questo. Non riuscirei a realizzare quello che ho in testa, diciamo che rimane un sogno nel cassetto.

È questo il progetto che avresti sempre voluto realizzare e invece non hai mai realizzato?
C’è un altro desiderio, chiamiamolo così, quello di avere un po’ di tempo libero per poter riprendere pennelli e colori acrilici e realizzare dei quadri. Ma ho delle scadenze incredibili, ho già tutto un programma per l’anno prossimo che non ti dico. E non posso abbandonare questi personaggi, ci sono affezionato.

Oltre al fumetto, hai un’altra grande passione: la musica. Hai definitivamente smesso di suonare?
Sì, ho smesso, sono un ferro arrugginito. Ne ascolto tanta, però. Non solo rock, non solo metal, amo anche la musica classica. Continuo ad avere sempre la radio accesa.

Ascolti anche la trap?
Quella un po’ meno, per la verità… Sarà l’età, certe cose non si capiscono. Ma se non sono cose violente mi piace il rap. Adoro Caparezza.

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Nel libro intervista già citato, tu dici: “Mi piace vedere l’espressione entusiasta dei bimbi quando mi chiedono un disegno oppure quando mi fanno un omaggio regalandomi uno dei loro”. Trovo sia una cosa bellissima. È ancora l’aspetto che preferisci di questo lavoro?
Eh guarda, li conservo tutti, sai, i loro disegni. C’è un insegnamento importante che mi ha dato Romano Scarpa. Mi diceva sempre: “Quando disegni rispetta sempre il più possibile il lettore, perché merita una considerazione unica. Il lettore è il tuo vicino di casa, è tuo figlio”. Continuo ancora ad avere questo grande rispetto e sono poi ripagato da questi gesti d’affetto che ricevo, mi stupiscono, a volte mi commuovono. Alcuni di loro vogliono diventare disegnatori, io gli dico di continuare a sognarlo ma anche che non esiste solo il disegno: esiste la creatività, la gioia di trasmettere un’emozione attraverso la matita. Ricevo tanti sorrisi e tanto affetto, sono ripagato e anche di più. E posso dire di avere una vita serena tranquilla. Non faccio il bagno tra le monete come Zio Paperone nel deposito, magari mi faccio una doccia, ma me la faccio bene.

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