Fabio Celoni racconta Il Destino di Paperone su Topolino

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Gabriele Lippi

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Mercoledì 14 dicembre arriva in edicola il numero 3499 del magazine Disney. Un numero speciale per celebrare i 75 anni del Papero più ricco del mondo, con una nuova epopea a puntate scritta e disegnata dal fumettista lombardo. L'intervista

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Senza più il becco di un quattrino, ospite nel suo stesso deposito, ormai sull’orlo di un crollo emotivo. È questo il Paperone che ci presenta Fabio Celoni nel prologo del suo Il Destino di Paperone, storia a puntate che uscirà su Topolino a partire da mercoledì 14 dicembre, col numero 3499, nel quale ci sarà anche un'altra storia di Paperone, Fama, disegnata da Giorgio Cavazzano e scritta da Marco Nucci. La storia di Celoni sarà pubblicata per cinque settimane, anticipata dall’assaggio approdato in fumetteria per il Free Comics Book Day. Un’opera ambiziosa e straordinaria, quella di Celoni, che esordisce da sceneggiatore sul Topolino e naturalmente disegna magistralmente, come è solito fare, le tavole da lui stesso scritte. Una nuova epica avventura per il Papero più ricco del mondo, alla scoperta di nuovi luoghi e alla riscoperta di se stesso e delle ragioni del proprio vivere. Una storia profonda e artisticamente stupefacente, che lo stesso autore ci ha raccontato in questa intervista.

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Una grande storia in cinque capitoli per celebrare i 75 anni di Zio Paperone. Come è nata Il Destino di Paperone?
È una mia idea che si è sviluppata diversi anni fa, che ho portato avanti con il tempo mentre facevo altre cose e che si è sbloccata con l’arrivo di Alex Bertani, a cui è piaciuta molto. Lui mi ha consigliato di andare avanti fino alla realizzazione finale del soggetto e della sceneggiatura. Inizialmente non doveva uscire per i 75 anni di Paperone ma semplicemente essere una storia di un personaggio che ho sempre adorato, che è molto più profondo di quanto si pensi, carico di facce nascoste oltre quella dell’avarizia.

Qual è l’aspetto che ami di più di Paperone?
Il fatto di avere ancora questo sguardo acceso di curiosità, come un bambino. Non è mai stato bambino. Ringiovanisce con il passare degli anni.

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Per la tua prima sceneggiatura su Topolino hai scelto di mettere le mani su un classico come Paperino e le lenticchie di Babilonia, per proseguire la storia di Romano Scarpa. Ci vuole un bel coraggio…
Io sono un grande amante delle storie di Scarpa e Barks, ma questa storia non è nata come sequel delle Lenticchie di Babilonia. Doveva essere un mio what if: cosa sarebbe successo se Paperone, che è un personaggio così profondo e umano, avesse raggiunto davvero il suo punto di rottura? A tutti noi capita o capiterà prima o poi, mi sono chiesto quali lati del carattere di Paperone sarebbero venuti fuori. Voleva essere un’esplorazione dell’anima di Paperone e un omaggio alle grandi storie avventurose di Carl Barks. Poi mi serviva un aggancio perché Paperone si trovasse nella situazione in cui si trova all’inizio della storia e mi è venuto in mente di riagganciarla al finale delle Lenticchie di Babilonia.

La tua è una storia che ha il respiro per inserirsi nella tradizione e nella mitologia di un personaggio tra i più iconici del fumetto. In che modo ti sei approcciato ai grandi classici? Hai riletto alcune storie di Paperone prima di metterti al lavoro?
Non ho riletto le storie semplicemente perché fanno parte del mio patrimonio genetico. Ne ho lette talmente tante e talmente tanto, sono cresciuto con Scarpa, Barks, Martina, Pezzin, Cimino, questi grandi autori mi hanno un po’ formato nella visione, hanno creato un humus da cui nascono le mie cose. Ho riletto Le lenticchie di Babilonia, quella sì, per dei dettagli narrativi sui quali non potevo andare a memoria. Volevo essere il più preciso possibile, sono molto nerd in questo.

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In questa storia, Paperone ha davanti uno dei suoi nemici storici, la Banda Bassotti, con un rapporto di forze che è ribaltato. Ma la cosa che mi ha colpito è che i Bassotti, a ben vedere, non sono il vero antagonista di questa storia… C’è un fantasma a insidiare Paperone, un fantasma quasi dickensiano. Parti dalla tradizione per creare qualcosa di profondamente innovativo.
Credo che sia fondamentale appoggiarsi alla tradizione, anche perché credo sia l’unico modo per poter tentare poi di espanderla e innovare. Non si può prescindere da quello che è stato, si scivolerebbe nella presunzione fine a se stessa, che non porta niente di buono. Nell’immaginario, la figura del fantasma doveva essere qualcosa di grande e potente, poi è anche una strizzata d’occhio a Dickens, all’Ebenezer Scrooge del Canto di Natale, che poi è il personaggio che ha ispirato Barks per Paperone, anche se a livello grafico c’entra poco con i fantasmi del Canto di Natale di Topolino. A volte basta un mantello per spalancare un mondo di riferimenti…

Un’altra cosa interessante è che si tratta di una storia classica nelle dinamiche: c’è l’obiettivo classico di accumulare ricchezze, ci sono le avventure attraverso cui questo si realizza… e c’è anche un aspetto spesso trascurato di Paperone, la sua generosità.
Il fatto che siano delle avventure volutamente classiche, da un certo punto di vista, è un omaggio a Barks, pur con tutte le distanze del caso dal grande maestro. Avevo in mente quel respiro lì, il modo in cui Barks usava Paperone e lo faceva girare per il mondo pur senza aver mai visto lui di persona niente fuori dell’America. Per quanto riguarda la generosità, questa è una saga che vuole andare a esplorare le profondità del cuore di Paperone, nel bene e nel male, non solo la sua patina superficiale che poi è quella che tutti conoscono in maniera più grossolana, il suo essere avaro o burbero. Paperone, per me, è un sognatore indomito.

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E farlo viaggiare è anche un modo per costruire mondi. È una cosa più divertente o più difficile?
Beh, da una parte è molto divertente. Se dovessimo realizzare tutte le storie in un unico ambiente sarebbe terribile. Uno degli incubi dei disegnatori Disney è dover disegnare una storia di 20 pagine tutte ambientate nel deposito, un ambiente cubico, e dover disegnare tutte le monetine una ad una. Cambiare ambiente sconfigge la noia ma è anche complicato perché devi studiarti gli ambienti diversi, renderli credibili, non ridicoli.

Fin dal prologo, hai costruito la tua storia con una regia molto cinematografica. Che è un po’ la tua cifra stilistica…
Hai visto bene, nel senso che io sono un grande innamorato del grande cinema, come lo sono del grande fumetto. Queste due arti sono molto simili e vicine, sono nate nello stesso anno, anche se il fumetto per il grande pubblico italiano è considerato un po’ il fratello nascosto in cantina, tenuto alla catena, con le lische di pesce da mangiare. Ma se ci si pensa, il lavoro nel cinema nasce a livello di storyboard, è puro fumetto che diventa base per la narrazione cinematografica. E contemporaneamente il cinema fornisce delle visioni per chi fa fumetti. Le due arti si parlano molto frequentemente e sempre più spesso. Il regista muove la macchina da presa come vuole, l’autore di fumetti fa lo stesso con le sue vignette. Non è un semplice vezzo stilistico per apparire particolarmente fighi, è necessità narrativa. Se faccio un’inquadratura dal basso è proprio perché un’inquadratura del genere suggerisce anche a livello inconscio, anche a chi non ha la competenza specifica, che Paperone è in difficoltà davanti al fantasma del suo Destino. E il lettore si trova in basso come Paperone e viene sovrastato da quest’ombra, che diventa ancora più minacciosa. Se invece faccio un’inquadratura dall’alto, suggerisco una cosa diversa, do respiro alla scena, la telecamera si allontana… Il senso della narrazione determina la scelta dell’inquadratura e secondo me vedersi molti film di grandi registi può aiutare ad affinare questa sensibilità.

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Parliamo anche dello straordinario lavoro fatto sui colori.
L’aiuto di Luca Merli al colore è stato fondamentale. Come sempre, ha realizzato un grande lavoro in grado di esaltare al meglio le atmosfere dei miei disegni. Questa è una storia un po’ speciale, che alterna momenti di grande tensione emotiva ad altri più avventurosi, o divertenti. Il colore deve sottolineare questi diversi momenti narrativi varia il suo impatto emotivo anche in base alle location delle avventure, questa è una cosa importante e abbastanza inedita. Luca è stato magistrale in questo. Abbiamo lavorato a lungo sulla scelta dei “registri” da usare, non è stato facile, finché ha trovato la chiave per procedere con un uso davvero originale del colore, ed efficacissimo. 

Lo stile Disney è molto legato a delle convenzioni, i personaggi sono quelli e guai a chi li tocca. Eppure il tuo tratto è ormai straordinariamente riconoscibile. Sto leggendo in questi giorni il libro intervista di Francesco Verni a Giorgio Cavazzano e lui racconta come sia stato complicato imporre il proprio stile su Topolino. Per te è stato difficile?
Per me è stato difficilissimo, ho vissuto un po’ quello che ha vissuto Giorgio ai suoi tempi. Lui era stato un grandissimo sperimentatore, aveva rotto le regole del gioco in maniera geniale, con un grandissimo talento riconosciuto poi anni più tardi. Noi da bambini adoravamo le sue storie, riconoscevamo quello stile, e lo trovavamo assolutamente Disney. Per quanto riguarda il mio percorso, non ho voluto fare il rivoluzionario o il distruttore, semplicemente ho iniziato studiando moltissimo gli stili classici e la tradizione Disney a partire dai corti animati degli anni 30, 40 e 50, frame per frame per vederne i trucchi, e poi tutti i grandi autori Disney del passato, Gottfredson tra tutti, disegnatore straordinario ma anche lui estremamente personale, anche se ora è considerato classicissimo. Mi sono costruito così, all’inizio copiando, poi lavorando il segno si modifica da solo, in modo progressivo. Ti muovi, fai una deviazione, torni indietro, rifai, cambi strada… Penso sia l’unico modo per riuscire a esprimere una visione personale. Ho sempre cercato di mantenermi disneyano, anche se la redazione di allora non capiva troppo questo mio desiderio, vedeva solo le novità. Sono contento che le cose siano cambiate ora anche per me e che quegli anni così difficili siano un ricordo. Ma sono stati fondamentali per costruire la mia cifra stilistica.

Centonovanta pagine di storia, una grande epopea. Uscirà in volume?
Credo di sì, dovrebbe. E me lo auguro.

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