La Spada di Ghiaccio, Pippo e Topolino tornano nelle terre dell'Argaar

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Gabriele Lippi

Mercoledì 30 novembre torna una delle saghe più amati nella storia di Topolino. A curarne i testi, coi disegni di Cristian Canfailla, è Marco Nucci. "Una sfida un po' sovrannaturale"

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A 40 anni dal primo capitolo, a 29 dall’ultimo, torna una delle saghe più amate nella storia di Topolino. Mentre Panini Comics celebra il quarantennale della prima uscita con una doppia versione cartonata (un volume da 25 euro, un altro deluxe in formato gigante da 85), La Spada di Ghiaccio si arricchisce di una nuova avventura, in edicola con Topolino da mercoledì 30 novembre, e per la prima volta a curarla non c’è il Maestro Massimo De Vita. A occuparsi di testi e disegni, stavolta, sono altri due artisti Disney: Marco Nucci nelle vesti di sceneggiatore e Cristian Canfailla in quelle di disegnatore. Si torna nell’Argaar, dove il tempo scorre 222 volte più veloce e tutto è cambiato. Ma non vi preoccupate, perché le atmosfere sono le stesse che avete imparato ad amare in questi 40 anni, come ci ha spiegato Marco Nucci.

La copertina di Topolino dedicata al nuovo capitolo de La Spada di Ghiaccio - © Disney

Che effetto ti ha fatto tornare, a distanza di tanti anni, in un luogo amatissimo dai lettori e dai personaggi?
Per me è stato un po’ sovrannaturale scrivere una storia de La Spada di Ghiaccio, un po’ non ci credevo che lo stavo facendo, perché non era mai capitato a nessun altro narratore Disney che non fosse Massimo De Vita. Non sono un invasato, non credo che nei fumetti ci sia niente di sacro, però per certi versi era un lavoro inquietante, oltre che un grande onore era un grande onere.

Qual è stato l'aspetto più complicato?

La cosa più difficile tra tutte è stata cercare di capire quali sono i punti che rendono La Spada di Ghiaccio così speciale. Se la rileggi con l’attenzione con cui l'ho fatto io, 12, 18, 1000 volte, si capisce che quella leggendarietà che ammanta la storia è inspiegabile. Si tratta di una storia molto classica, molto bella, ma i suoi meriti trascendono se si considera il periodo, la bravura nei disegni di De Vita, il fatto di uscire in un’epoca di fermento per le nuove properties, l’uscita a Natale, un Pippo straordinario. Questi erano gli elementi da capire e tradurre nel presente perché ci fosse ancora modo di raccontare qualcosa.

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La prima pagina de La Spada di Ghiaccio, scritta e disegnata da Massimo De Vita nel 1982 - © Disney

Sì, vero, però siamo nel 2022 e qualcosa sarò pur cambiato...

Infatti un'altra difficoltà era capire come raccontare ai bambini di oggi questa storia senza ripeterla o tradire il sentiment della vecchia guardia, tra cui mi annovero e sarei stato il primo a sputare in faccia a chi avesse tradito la saga. Certo, sarei stato io stesso, ma ho uno specchio e posso farlo. Sarà difficile accontentare quei fan, perché ci sono i ricordi dell’infanzia che ci influenzano.

Quindi, alla fine, qual è questa formula?

La Spada di Ghiaccio funziona così bene perché è una commedia, con una struttura avventurosa, col viaggio dell’eroe e ambientazioni fantasy, ma fa ridere. E spesso mi rendo conto di quanti i critici si dimentichino di come l’umorismo sia l’ingrediente principale di narrazioni che sembrano appartenere ad altro genere. Pippo si cuce addosso il ruolo dell’eroe in modo naturale ma surreale al tempo stesso.

Il primo capitolo è come se fosse un lungo preambolo.
Sì. La storia originale parte in una manciata di pagine. Io non potevo farlo perché dovevo introdurre i nuovi lettori. Dovevo trovare un espediente narrativo che potesse spiegare il contesto e non escludesse chi non aveva mai letto La Spada di Ghiaccio senza fare lo spiegone. La storia alla fine è molto semplice ma per arrivarci ho sbattuto la testa contro il muro decine di volte.

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L'incipit del nuovo capitolo scritto da Marco Nucci e disegnato da Cristian Canfailla - © Disney

Affrontare un classico è anche un grande azzardo, un salto nel vuoto. Avrai avuto a che fare con pressioni e aspettative enormi, no?

Io vivo nella sfiga e nella fortuna di essere veramente molto severo con me stesso su quello che scrivo. Nessuno può pressarmi più di quello che faccio io, chi lo facesse sarebbe una persona veramente spietata. Avrò stracciato un centinaio di soggetti su La Spada di Ghiaccio prima di dare una chance a uno. Ci ho messo dei mesi. Lo faccio perché mi piace l’idea di scrivere storie che mi sembrino belle e mi piacciano. 

La Spada di Ghiaccio aveva già avuto tre sequel. Questa è la prima volta che De Vita non vi è coinvolto e prima di te solo Fabio Michelini si era cimentato con la sceneggiatura di uno dei capitoli, lavorando però con De Vita. Ci hai pensato?
Sì, l’ho pensato, ho pensato che fosse un onore e una difficoltà, ma anche una bella sfida. Negli ultimi anni ho sceneggiato tante storie e avevo bisogno di fare qualcosa di più difficile. Qui c'è la difficoltà dell’artificiere, andare a toccare una bomba senza farla esplodere. Ho pensato fosse una fortuna poter scrivere il sequel di una storia che avevo letto a sette anni. È stato bello, poi dopo mi sono disperato. Sarei davvero curioso di avere un feedback di De Vita, anche cattivo, eh.

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La seconda tavola del nuovo capitolo scritto da Marco Nucci e disegnato da Cristian Canfailla - © Disney

Ti ricordi la prima volta che hai letto La Spada di Ghiaccio
Sì, credo fosse il 1993, mancava una decina di giorni a Natale, c’era un albetto appena uscito, una brossura che aveva la copertina argentea riflettente con le prime tre puntate della saga. C’era la neve e lessi La Spada di Ghiaccio. Ero un neo lettore e rimasi veramente incantato. Mi piacerebbe oggi avere la stessa emozione di quel bambino e il mio obiettivo principale è stato quello di dare alla storia più magia che potevo per regalare ai nuovi lettori giovani le stesse emozioni che provai io. Stiamo parlando di uno dei fumetti che mi hanno spinto a voler fare questo mestiere.

Nel nuovo capitolo da te sceneggiato ci troviamo in un Argaar molto diverso. Tante cose sono cambiate…
La storia esce 40 anni dopo ma nell’Argaar il tempo scorre 222 volte più veloce che da noi. Se sono passati così tanti anni, ho pensato, deve essere cambiata un’era. E la questione del tempo è uno dei temi, tutte le avventure passate sono diventate leggende dimenticate, i personaggi vecchi sono scomparsi, ce ne sono di nuovi e si cercano le vecchie leggende come se fossero una cosa perduta nel tempo. D’altra parte sono passati otto millenni ed è comprensibile che nessuno reputi verosimile quella leggenda. Però non ho mai pensato di dare un cambio di design e atmosfera all’Argaar. Il lettore aveva il diritto a quell’ambientazione anche dopo 40 anni, ho cercato di non essere egocentrico e punk, anche perché il fantasy è tante cose, ma non è punk.

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Pippo resta comunque il protagonista e l’eroe, almeno questo possiamo dirlo?
Beh certo, se uno toglie quello è finita la storia. Una storia non si basa mai sulla trama ma sul modo in cui vengono messi in scena i personaggi. La Spada di Ghiaccio funziona perché Pippo è Don Chisciotte e Topolino e Sancho Panza. Se togli quello, non è più La Spada di Ghiaccio. Rimangono Pippo e Topolino, sono coprotagonisti insieme, ma c'è un'inversione del peso narrativo dei due rispetto a quello a cui siamo abituati. E Pippo stravince perché è il più simpatico ed è un grande eroe a modo suo.

La sensazione è che anche i toni del racconto siano un po’ più cupi, le minacce e i nemici più concreti. Re Atro, il cattivo della storia, ha corpo e volto, a differenza del Principe delle Nebbie...
L’idea era mantenere un cattivo che fosse in parte un manipolatore come il Principe delle Nebbie, ma in un senso molto più prosaico. Volevo diversificare, non riproporre lo stesso tipo di personaggio, dandogli al contempo una fisicità più netta, reale, nostra e moderna, visto che viviamo in un’epoca in cui la manipolazione della realtà è forte. Non volevo fare politica e parlare della realtà ma creare un cattivo più plastico. Volevo dare più un’idea di struttura sociale che si è radicata, in cui i cattivi non sono tanto delle entità della notte quanto dei cupi invasori che si sono presi l’Argaar, e il modo più efficiente per togliere la libertà a una terra leggendaria è negarne la leggendarietà, cancellarne l’identità e gli eroi.

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Come avete lavorato con Cristian Canfailla sull’aspetto grafico? Avete usato come bussola lo stile e le tavole di De Vita?
Fin da subito io ho chiesto Canfailla perché secondo me era l’ideale prosecutore del lavoro di Massimo De Vita. Si è concretizzata una cosa che secondo me è anche bella perché non si è scelto un grande maestro ma un disegnatore nuovo anche se già molto solido. Lui ha fatto un lavoro straordinario e ha affrontato una sfida importante, perché lui nasce da De Vita, è il suo idolo. Quando abbiamo parlato con Freccero, art director di Topolino, lui gli ha detto: "Cristian, sii te stesso ma cerca di stargli un po’ attaccato a De Vita, vai incontro alla tua matrice devitiana e sposala", anche perché si tratta comunque del quarto capitolo di una saga disegnata in un certo modo. Cristian mi mandava ogni tavola appena conclusa, la guardavamo con Freccero, c’è stata molta cura. Angela Capolupo, che ha colorato anche la nuova edizione del classico del 1982, si è occupata dei colori. Qui ha scelto delle tinte più piatte, non troppo pittoriche come la deluxe appena uscita, uno stile più da Topolino, che non caricasse molto la tavola ma fosse comunque speciale.

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