Gentleman's Hotel, Daniele Serra: "Sognavo Bonelli da quando avevo 15 anni"

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Gabriele Lippi

Il fumettista cagliaritano disegna la graphic novel sceneggiata da Luca Crovi e tratta da un racconto di Joe R. Lansdale. Lavoro frutto di una lunga collaborazione con lo scrittore americano, che ha chiesto e ottenuto la sua inclusione nel progetto di adattamento. Un'altra grande prova d'autore dopo Murder Ballads. "Da ragazzo leggevo Dylan Dog e Martin Mystere, emozionante essere dall'altra parte. Per me una sfida rinunciare a qualcosa nel disegno per concedere allo storytelling"

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“Daniele Serra ha uno stile che è difficile da classificare. Certe volte ha un che di impressionistico, altre appare più realistico. È impossibile incasellarlo. Ha una grande inventiva e la applica sia nelle sue copertine che nei suoi fumetti”. Parole e musica di Joe R. Lansdale, professione creatore di bestseller, autore di una trentina di romanzi e svariati racconti capace di svariare tra l’horror, il noir, la fantascienza. Sì, Daniele Serra è il disegnatore che piace ai grandi autori internazionali, che ha lavorato con Lansdale ma anche con Clive Barker e Stephen King, e che a un proficuo lavoro di illustratore ne ha affiancato più recentemente uno da fumettista con risultati altrettanto interessanti, disegnando Murder Ballads, opera che con la sceneggiatrice Micol Beltramini gli è valsa il Premio Coco per il Miglior Libro all’ultimo Etna Comics. Daniele Serra è anche il disegnatore di Gentleman’s Hotel, graphic novel di Sergio Bonelli Editore che adatta a fumetti, su sceneggiatura di Luca Crovi, un omonimo racconto di Lansdale. Un horror con atmosfere western da lasciare col fiato mozzato che esce in fumetteria e libreria il 23 settembre.

Raccontaci come nasce e si sviluppa l’adattamento a fumetti di The Gentleman’s Hotel.
Nasce che all’improvviso, di punto in bianco, mi chiama la Bonelli, in particolare Luca Crovi, lo sceneggiatore e il curatore del fumetto, dicendomi che avevano questo progetto con Lansdale e Lansdale aveva chiesto espressamente se si poteva utilizzare me come disegnatore. Diciamo che sono stato raccomandato da lui (ride). Avevamo già lavorato insieme, c’è un bel rapporto e ha pensato che sarebbe stato bello farlo ancora.

E poi a Bonelli non si può dire di no…
A Bonelli non si può dire di no, esatto. È stato un colpo al cuore quando mi hanno chiamato. Chi viene dalla mia generazione e fa fumetti è cresciuto leggendo Dylan Dog e Martin Mystere. Ritrovarsi dall’altra parte è una cosa molto forte a livello emotivo, mi ha fatto enormemente piacere e mi riempie d’orgoglio. Lavorare con loro era il mio sogno da quando avevo 15 anni, esserci arrivato, anche se un po’ in ritardo, è una grande soddisfazione. Farlo con la possibilità di esprimere il mio stile, poi, è stato bello.

Libertà totale da subito?
Mi hanno contattato ma conoscendo il mio stile e quello che facevo erano preoccupati che la cosa potesse non funzionare nel mondo Bonelli, proprio perché io ero un po’ lontano da quel tipo di disegno. Mi conoscevano principalmente per l’acquerello e gli ho mandato un po’ di prove inchiostrate, sono rimasti contenti dello stile e la collaborazione è iniziata. Poi è arrivato il Covid, la gestazione è stata un po’ lunga, loro sono stati molto accomodanti con me, non mi hanno dato nessuna deadline, mi hanno chiesto solo di fare un bel lavoro mettendoci il tempo che credevo. Che sarebbe una cosa da non dire mai ai disegnatori perché poi non finisce che non consegnano più.

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Avete avuto contatti con Lansdale prima e durante la lavorazione del fumetto?
Sì, ci faceva piacere che lui fosse partecipe della lavorazione anche se è rimasto molto esterno, molto superpartes, è uno che si fida molto. Io gli facevo vedere i progressi del lavoro, lui era contento ma non metteva bocca. L’unica cosa che ha commentato è stato quando ha visto Jebediah con la maschera, all’inizio, lì è rimasto un po’ interdetto, non capiva perché gliel’avessimo messa. A me e Luca, tra l’altro, faceva ridere anche perché era appena arrivato il Covid e sembrava quasi fatto apposta.

In che modo si è svolta la collaborazione con Luca Crovi?
Anche da questo punto di vista mi sono trovato veramente bene. Luca, oltre a essere splendido a livello umano e avere una conoscenza molto approfondita di fumetto, letteratura e cinema, ha reso molto facile il mio lavoro. Si fidava di me e questo penso sia molto importante per un disegnatore. È giusto che lo sceneggiatore dica la sua e metta dei puntini sulle i dove il lavoro può essere migliorato, ma in generale lui partiva dall’idea che gli piaceva quello che stavo disegnando. La sua sceneggiatura era molto aperta, mi lasciava molto spazio a livello di inquadrature e regia, ma anche sull’impaginazione, il numero di vignette, era molto disponibile al dialogo per migliorare lo storytelling. È andata talmente bene che non mi sembrava vero.

Vieni dal mondo dell’illustrazione e sei un nome relativamente nuovo nel fumetto italiano. Quali differenze ci sono tra i due aspetti del tuo lavoro? Quali sono le difficoltà principali che hai incontrato nell’approcciarti al fumetto?
Sono due mondi che trovo molto diversi. L’illustrazione è un one-shot, con un’immagine devi dire tutto, mentre col fumetto è più importante lo storytelling rispetto al disegno in sé. Per me è molto difficile proprio non innamorarmi del disegno in sé, della vignetta, che deve passare spesso in secondo piano rispetto alla storia. Un disegno magari meno bello, meno curato, meno studiato ma più funzionale e più veritiero e aderente al messaggio che vuoi trasmettere in quella vignetta legandola alla successiva è più importante rispetto alla bellezza del segno, del tratto. È qualcosa su cui lavoro molto, un grosso sforzo per me uscire da questa gabbia della bellezza del disegno.

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Rispetto a Murder Ballads mi sembra di aver notato un tratto più dinamico, anche per le esigenze del racconto. È così?
Assolutamente sì. Io ho dovuto un po’ imparare con questo fumetto, avevo lavorato più su fumetti in stile Murder Ballads e ritrovarmi in uno più d’avventura e più commerciale mi ha costretto a reinventarmi dal punto di vista delle inquadrature. C’è molto più movimento di macchina, molta più ricerca della giusta inquadratura, del giusto spazio ed equilibrio tra personaggio e ambiente. È un lavoro che ho dovuto fare anche nello studio delle anatomie, volevo un po’ sfidarmi da questo punto di vista e avvicinarmi più al fumetto realistico bonelliano.
Ecco, per il tuo primo lavoro con Bonelli hai cercato di avvicinarti allo stile di un editore così storico? Cioè, intendiamoci, il tuo stile è evidente, ma c’è anche qualcosa di Bonelli in questo volume…
Ci sono stati dei compromessi. Mi hanno consentito di tenere il mio stile ma mi hanno chiesto di non allontanarmi troppo dal loro, di non fare cose troppo artistiche. Ed è anche una cosa che mi interessava provare. Con questo tipo di storia è importante che ci sia una certa credibilità. Se prendo Murder Ballads, è un fumetto che rimane più onirico, poetico, romantico, possa giocare più col visto non visto, con volti meno definiti. In questa storia tutto doveva essere ben chiaro. Sentivo che dovevo essere più chiaro nel segno.

Hai dimostrato già in passato di padroneggiare molto bene diverse tecniche. Ce n’è una che preferisci?
Mi piace molto cambiare, dopo un po’ mi annoio se faccio sempre la stessa cosa. Adesso mi sono molto affezionato all’inchiostro, la tecnica usata per alcune storie di Murder Ballads e per Gentleman’s Hotel, mi piace molto inchiostrare. Devo dire che quella che mi sembra che in qualche modo mi rappresenti maggiormente è l’acquerello anche se è quella che mi costa più fatica e sto cercando di evitare per i fumetti. Esteticamente è molto bella ma per la maggior parte delle storie che vuoi raccontare risulta spesso incomprensibile e difficile da gestire. Rimanere sull’acquerello sfumato, che dice e non dice, rende più faticoso lo storytelling. Mi piace usarlo ma è talmente sfiancante, ed è un lavoro molto più lungo, che posso utilizzarlo raramente e solo per determinate storie su cui funziona.

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Digitale o carta?
Assolutamente cartaceo manuale. Ora sto iniziando a fare alcuni lavori in digitale ma esclusivamente stile Bonelli inchiostrato, per un discorso di velocità, di urgenze e scadenze. Ho comprato la tavoletta da un mese e sto cominciando a lavorare. E mi diverte. L’acquerello, poi, sempre a mano, per me non esiste in digitale.
Tu hai uno stile certamente particolare, molto gotico, hai mai pensato di misurarti su un genere diverso?

Non so se funzionerebbe il mio stile. Penso di non riuscire a farne uno diverso, non ho la capacità come altri disegnatori di essere in qualche modo malleabile e gestire diversi stili. Ho paura di non essere capace di fare altro. Ho provato a fare delle cose anche per bambini ma secondo me erano poco credibili.

Progetti per il futuro? Su cosa stai lavorando ora?
Mi sto allontanando un po’ dall’Italia, sto lavorando a un altro fumetto con Lansdale per un editore americano e ho altre cose in ballo che però non sono ancora sicure.

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