Dimmi Grenache, rispondo Cannonau: i vini che hanno convinto di più al concorso di Navarra

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Paolo Fratter

Per la rubrica “Dimmi 5 vini”, siamo stati alla decima edizione del concorso internazionale “Grenaches du Monde”, a Navarra. Dei 900 vini provenienti da tutto il mondo, poco più di 160 erano italiani. 42 hanno ottenuto il punteggio più alto, con il Cannonau a farla da padrone. Vi raccontiamo quali etichette ci hanno convinto di più e qualcosa in più su questo vitigno. A cominciare dal nome

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Non saremmo mai arrivati a questo punto, se non fosse stato per Nimrod. Se non gli fosse balenata in testa quell’ idea sconsiderata di costruire, a Babele, dove regnava, una torre alta fino al cielo, sarebbe stata tutta un’altra storia. E invece sappiamo come è andata a finire, no? Dio la prende sul personale e decide di punirlo, confondendo le idee a tutti gli uomini che, confluiti a Babilonia, fino a quel momento avevano condiviso la stessa lingua. Risultato? Da allora, nessuno utilizza più le stesse parole, un sacco di cose si sono decisamente complicate e anche per gli enofili è stato un po’ più difficile capirci qualcosa. Soprattutto in alcuni casi.

Un unico vitigno, mille nomi 

Emblematico quello del vitigno conosciuto in Sardegna (e in buona parte d’Italia) come “Cannonau”, che in altre regioni del nostro meraviglioso paese ha assunto, invece, nomi completamente diversi. In Toscana lo chiamano “alicante”, “tai rosso” nei Colli Berici, “granaccia” nelle colline savonesi, “gamay del Trasimeno” in Umbria e “bordò” (nome che da un po’ di tempo non si può più riportare in etichetta) nelle Marche. Gli ultimi due, in particolare, nulla hanno a che fare con il Bordeaux francese e con le uve con cui, sempre oltralpe, viene prodotto il Beaujolais Nouveau. Sono probabilmente due nomi con cui i vecchi contadini identificarono quella varietà di uva di cui non conoscevano né l’origine, né la provenienza: alle loro orecchie “gamay” e “bordò”, per l’appunto, dovevano suonare sufficientemente esotiche. Grazie alle analisi effettuate qualche anno più tardi, possiamo dire che erano decisamente fuori strada

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Tra Francia e Spagna

Beninteso… una dimensione internazionale questo vitigno ce l’ha eccome e pure piuttosto ingombrante.  Se allarghiamo la prospettiva e usciamo dai confini del nostro meraviglioso paese, scopriamo che francesi e spagnoli ricorrono ad altre parole ancora per identificarlo, rispettivamente “grenache” e “garnacha”, dando vita, in alcune regioni, a vini altrettanto identitari e molto radicati, da un punto di vista produttivo, storico e culturale. In Francia, la grenache incide per almeno un 40% nella Cote du Rhone, dove ha trovato la sua espressione più riuscita a Chatenauneuf-du-Pape, un po’ il simbolo del Rodano del Sud, in cui si produce un vino caratterizzato da grande struttura, sentori speziati e un apporto alcolico di tutto rispetto: qui, infatti, dobbiamo fare i conti con la gradazione minima più alta di tutta la Francia, ovvero 12,5 gradi, col risultato che, alla fine, ogni bottiglia, se va bene, oscilla tra i 14 e i 15 gradi. La Spagna, invece, rivendica di essere stato il paese di origine della garnacha e, secondo questa versione, sarebbero stati gli Aragonesi a introdurlo in Sardegna nella nel XV secolo.

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Cabras, caput mundi 

È un’ipotesi che non mette tutti d’accordo, soprattutto dopo che dei vinaccioli antichissimi, risalenti al 1200 A.C., sono stati rinvenuti, carbonizzati dal tempo, nel pozzo di Sa Osa, vicino a Cabras, in provincia di Oristano, semi che apparterrebbero secondo gli studiosi ad una tipologia di vite selvatica riconducibile al Cannonau. È una scoperta che ha in parte riscritto la storia di questo vitigno, anche se gli spagnoli sembrano non essersene accorti e che ci mostra una volta di più come ormai da diversi secoli il Mediterraneo sia la terra d’elezione di una varietà resistente sia al forte caldo sia alle forti raffiche di vento, che ama i terreni aridi e poveri. Un vitigno versatile da cui nascono vini di grande piacevolezza e bevibilità, che stanno attraversando, soprattutto in Sardegna, una fase di trasformazione anche da un punto di vista produttivo: i cannonau ruspanti dall’alto grado alcolico stanno facendo posto, sempre più spesso, a vini equilibrati ed eleganti. Certo, le alte concentrazioni zuccherine impongono ai produttori di tenere sempre a bada la quantità di alcool, ma sono nate nuove tendenze enologiche, nuove consapevolezze e filosofie produttive, che hanno portato dei cambiamenti importanti, pur non stravolgendo l’anima di questi vini che rimangono caratterizzati da possenza, struttura, acidità non eccessiva e una rotondità raramente stucchevole sostenuta dai sentori che contraddistinguono, nelle versioni più franche, questa varietà: una piacevole speziatura integrata ai profumi della macchia mediterranea e un frutto che riporta alle ciliegie e alle prugne.

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Cittadino del mondo

Tutte caratteristiche che hanno contribuito a una sua rapida diffusione avvenuta in tutto il mondo. Partendo dal bacino del mediterraneo (in cui viene prodotto anche tra Algeria, Tunisia e il Marocco) è arrivato fino alla California (a Monterey e nella valle di San Joaquin), al sud America (tra l’Argentina e il cile) e all’Australia (nell’area di Perth), diventando così la quinta varietà a bacca rossa più piantata in assoluto, dietro a mostri sacri, a livello internazionale, come Cabernet Sauvignon e Merlot. Alla fine, la progenie di Nimrod, partita da Babele confusa e disorientata dopo la maledizione divina, si è presa la sua rivincita, tornando a parlare, almeno di questo vitigno dai mille nomi, con la stessa lingua: quella dei sensi e della passione.

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Il concorso internazionale della Grenache

Quella stessa lingua che hanno parlato i circa 80 professionisti del mondo del vino, di 11 nazionalità diverse, chiamati a giudicare gli oltre 900 vini provenienti, a loro volta, da ogni angolo del mondo al “Concorso internazionale de la Granache”, arrivato alla sua decima edizione e organizzato, quest’anno, nella graziosa città di Olite, a Navarra, non lontano da Pamplona. L’Italia si è difesa alla grande ottenendo 42 medaglie d’oro (37 per la Sardegna, 3 per l’Umbria, 1 per Marche e Liguria) e 17 d’argento. C’eravamo anche noi e, per la rubrica “Dimmi cinque vini”, abbiamo fatto un’ulteriore selezione per segnalarvi quelli che ci hanno colpito di più.

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Dimmi cinque vini

Sono quasi tutti sardi, ma non sono mancate sorprese dalle altre regioni.

1.    Cominciamo con il cannonau di Sardegna classico “Soroi 2019” delle Cantine di Orgosolo, in Barbagia, prodotto con uve che sono espressione di vigneti che sfiorano un secolo di vita, cresciuti a 700 metri di altitudine. Un vino prodotto in 4 mila bottiglie, con un’alta alcolicità, tra i 16 e 17 gradi, ma che riesce a trovare comunque un suo bilanciamento e una sua armonia, caratterizzato da una grande persistenza e dai classici sentori di macchia mediterranea.

2.    Sempre in Barbagia, il cannonau di Sardegna riserva “Carros 2018” dei Fratelli Puddu, prodotto nella sottozona di Nepente di Oliena, che dà vini di grande intensità particolarmente apprezzati dagli appassionati. È un’area che si trova ai piedi del monte Corrasi (la vetta più alta del Supramonte Montano, le cosiddette “Dolomiti di Sardegna”) che svolge una importante funzione termoregolatrice, che facilita di molto il lavoro dei vignaioli. Per produrre questo vino le lavorazioni sono manuali, con pochissimi trattamenti. Il “Carros” aspira a essere il vino della tradizione: si presenta morbido al palato, con una leggera speziatura e una dominante molto fruttata. Una rivisitazione in chiave moderna - ci ha detto con orgoglio Nina Puddu - del vino che si faceva un tempo in casa.

3.    Ci spostiamo a Mamoiada, ora, paese che vanta una lunga storia vinicola le cui vigne sono tutte allevate tra i 600 e i 900 metri slm. Non solo è il posto più alto nella viticoltura sarda, ma è anche diventato una delle sue realtà più interessanti, grazie anche al lavoro dell’associazione “Mamojà”, che riunisce circa 25 produttori, che hanno preso consapevolezza delle enormi potenzialità del loro territorio. Laddove fino a qualche anno fa si produceva vino sfuso, ora si imbottiglia un cannonau di prim’ordine, grazie a un terreno granitico, di natura leggermente acida e a un microclima caratterizzato da escursioni termiche importanti. Il “S’Ena Manna 2019” della Cantina Ladu è una delle espressioni di questo territorio. Un anno di botte e un anno di affinamento in bottiglia, con fermentazioni spontanee e poco interventi in cantina.

4.    Lasciamo la Sardegna, per le Marche. Tra i premiati c’è anche questa Grenache del Piceno che ha dato prova di avere un grande potenziale di invecchiamento: il “Cinabro 2009” di Le Caniette, vino prodotto in purezza da vecchie vigne con piede franco e affinato per 3 anni in vecchie barrique.
Un vino elegante, con sentori di frutta e spezie, con una componente antocianica molto discreta e una sorprendente freschezza. Un sorso tira l’altro.

5.    C’è anche un vino prodotto da una cantina sociale dell’Umbria, tra le realtà che ci hanno maggiormente colpito: il “Divina villa” dell’Azienda Duca della Corgna, a Castiglione sul Lago, sul Trasimeno, in provincia di Perugia. Un vino che, dal 2015, quando ha partecipato per la prima volta al Concorso internazionale della Grenache, è sempre riuscito a conquistare almeno una medaglia, quasi sempre d’oro. Un vino prodotto con uve grenache e una piccola percentuale di cabernet sauvignon, espressione del microclima particolare delle colline che si trovano intorno al lago Trasimeno, caratterizzato da una piacevolissima beva.

6.    Aggiungiamo due bonus track: la prima è il “Gublot” della società agricola Roccavinealis, un’azienda giovanissima fondata da 4 amici che può contare su tre ettari vitati di granaccia e una produzione di 10 mila bottiglie. Siamo sulle colline savonesi, in un territorio caratterizzato da marne grigie e calanchi: da queste parti dicono di produrre un vino ligure con la terra del Piemonte. Il “gublot”, parola che significa “bicchiere” nel dialetto locale, è una garnaccia delicata, elegante che, udite udite, se vi va di osare, si fa godere anche con alcuni piatti di pesce. Ecco, l’ho detto.

7.     Seconda e ultima bonus track. Vi parliamo di un vino liquoroso fortificato sorprendente: il “Festa Nòria 2020” di Santadi, un vero e proprio porto all’italiana, prodotto da uve cannonau. Prima la surmaturazione in pianta, poi, tra fine settembre e inizio ottobre, la vendemmia con una fermentazione che va avanti per circa dieci giorni e, infine, un affinamento fatto in barrique di quarto e quinto passaggio. Siamo di fronte a 120 grammi di zucchero per litro e a 17 gradi di alcool, ma chiamarlo vino da dessert è limitante. Anche con formaggi stagionati ed erborinati non si parlare dietro

 

Questi i nostri cinque vini (più gli extra). Se avete domande, curiosità o volete dirci la vostra ci trovate come sempre all’indirizzo dimmicinquevini@gmail.com

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