Jason Aaron: "Scrivo ciò che vorrei leggere e ci metto del mio"

Lifestyle
Gabriele Lippi

Gabriele Lippi

L'autore di Scalped e Thor, impegnato con il rilancio delle Tartarughe Ninja e recentemente sbarcato in DC, era ospite della Milan Games Week, dove si è raccontato a Sky TG24 tra rapporto con le sue opere, i personaggi e la religione

ascolta articolo

Jason Aaron è l’uomo che nell’ultimo anno ha portato Zio Paperone in un’avventura che non aveva mai vissuto, ha scaraventato un ancora giovane Batman nello Spazio e chiuso in cella Raffaello. Un autore che da 20 anni imperversa nel mondo del fumetto con ecletticità e versatilità non comuni, che spazia dal crime al supereroistico, mischiando non di rado gli ingredienti. Da Scalped fino al recente rilancio delle Tartarughe Ninja, con la nuova serie stampata in Italia da Panini Comics. Aaron è stato ospite della Milan Games Week, dove lo abbiamo incontrato per farci accompagnare da lui in un viaggio nella sua carriera.

Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron
Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron

Vorrei partire dalle ultime uscite: sei abituato a lavorare con grandi personaggi come Wolverine e Hulk, Thor e molti altri, ma negli ultimi anni hai scritto una storia per un personaggio iconico come Zio Paperone e ora lavori sul franchise delle Tartarughe Ninja. Siamo abituati a vederti su storie piuttosto adulte e ora hai a che fare con personaggi che hanno segnato l’infanzia di milioni di persone.
Sì, mi è sempre piaciuto fare cose diverse. Ho scritto tante storie oscure, violente, sanguinose per adulti, a partire da Scalped, ho lavorato tanto su Wolverine e The Punisher, con personaggi che si sparavano e accoltellavano a vicenda, ma ho fatto anche Wolverine e gli X-Men, che è una serie più leggera, che un po’ mi ha riportato ai fumetti che leggevo da ragazzo, cose come la Justice League International di Giffen e DeMatteis Excalibur, Blue Beetl, Blue Devil, storie divertenti che per prime mi hanno fatto innamorare dei fumetti. E poi mi piacciono le sfide, leggo tante cose diverse e penso che questo si noti nel mio lavoro. Sono stato veramente entusiasta di poter fare Zio Paperone.

 

Che rapporto hai con quel personaggio?
C’è un’introduzione a quel fumetto in cui ne parlo. Ho letto le storie di Don Rosa a mio figlio quando lo mettevo a letto ogni notte. Ora lui ha 19 anni, ma ancora parliamo tanto di Zio Paperone. E penso che per la prima volta nella mia carriera ho ricevuto messaggi dai miei amici che mi dicevano di aver letto un mio fumetto ai loro figli, qualcosa che non capitava tanto spesso quando scrivevo The Punisher.

 

E per le Tartarughe Ninja?
Penso che quel lavoro non sia poi molto diverso dallo scrivere Thor o Superman. Sono personaggi che ho letto da quando ero piccolo, che sono entrati dentro me, e l’opportunità penso sia arrivata al momento giusto della mia carriera. Mi è successo spesso così, anche con Thor, non è che andassi in giro a cercare quelle opportunità di lavoro, sono arrivate. Ho realizzato che avevo qualcosa da dire con quei personaggi: una nuova ripartenza, in occasione dei 40 anni del franchise.

Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron
Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron

Per Zio Paperone e il Decino dell'Infinito, come per Absolute Superman, ti hanno affidato un compito enorme: non semplicemente scrivere una storia con questi personaggi ma scrivere qualcosa di realmente nuovo, rivoluzionario sui personaggi. Come è stato?
È esattamente la cosa che mi piace di più. Ogni volta che mi ritrovo a scrivere di un personaggio che viene pubblicato da 50, 60 o 70 anni penso che il mio lavoro debba essere riuscire a portare ciò che amo di loro, scegliere i migliori momenti del passato, ma poi fare qualcosa di nuovo e diverso, qualcosa che rifletta chi sono io e come vedo questi personaggi, una storia che non si sia già vista migliaia di volte prima. È stato lo stesso con Conan: sono un grande fan dei libri di Howard, dei fumetti di Conan, ma non volevo fare quello che era già stato fatto in passato. La stessa cosa vale per le Tartarughe, cerco di rendere omaggio ai fumetti di Eastman e Laird senza copiarli. Non sono capace di scrivere come qualcun altro che non sia io, e l’unica cosa che mi riesce è fare storie che vorrei leggere.

 

In Italia abbiamo letto solo il primo numero delle tue Tartarughe Ninja e dà l’idea di essere una serie cupa, abbastanza realistica. Cosa stai cercando di aggiungere al franchise?
Nel quarantesimo anniversario sto cercando di tornare indietro a quella prima serie, a quanto fosse cruda, a quanto fosse influenzata dai film di arti marziali e d’azione degli anni 80 che ho amato, dai fumetti di Frank Miller, e volevo recuperare un po’ di quelle atmosfere per concentrarmi su un cast centrale simile a quello della prima serie, per fare qualcosa che fosse ancora più cupo e tagliente con questi personaggi. Voglio dire: devi tenere in considerazione che sono delle gigantesche tartarughe parlanti, che da una parte è un concept ridicolo, ma ormai dopo 40 anni hanno una loro personalità, sono così conosciute dal pubblico, c’è tanto potenziale da poter sfruttare e con cui poter giocare. Voglio essere realistico e cupo senza nascondermi da quella parte matta e selvaggia che questi personaggi, come molti altri di cui ho scritto in carriera, hanno.

 

Stiamo leggendo ora anche il tuo Batman Off World. Ero particolarmente curioso di vedere Batman fuori dalla sua comfort zone, lontano dalla terra… Come ti è venuta l’idea di portarlo nello Spazio?
Volevo che il mio primo lavoro alla DC fosse una storia di Batman, ma volevo fare qualcosa di diverso e sorprendente. Mi piaceva l’idea di vederlo nello Spazio per la prima volta, ancora giovane, non completamente addestrato, vicino come crescita al Batman: Anno Uno di Frank Miller e David Mazzucchelli, per esplorare la prima volta che incontra degli alieni e minacce che giungono da un altro pianeta dopo aver speso anni a girare il mondo per allenarsi a diventare Batman, a combattere il crimine a Gotham. E nell’universo DC questo succede speso, ci sono alieni che piombano sulla Terra ogni giorno, e per me era anche un modo per rendere omaggio a molti dei fumetti DC che mi sono piaciuti da bambino, come l’Atari Force di José Luis García López, i New Teen Titans così pieni di elementi alieni con la sorella di Starfire, gli Omega Men… Sono buona parte dei motivi per cui sono diventato ossessionato dai fumetti.

Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron
Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron

Vorrei parlare di una delle tue opere che ho amato di più: Scalped. Ha ottenuto grandi applausi dalla critica ma anche qualche reazione negativa. Pensi che oggi, con la sensibilità attuale, sarebbe possibile per te scrivere una serie come Scalped?
Sarebbe certamente più complicato. Scalped è stato per me quello che per una garage band e il primo album, andare in battuta per la prima volta e fare un fuoricampo. Devo dire che abbiamo appena fatto una edizione omnibus, un volume con dentro i primi 30 capitoli, così l’ho riletto, una cosa che non facevo da anni, forse addirittura da quando avevo completato la serie, e sì, c’è qualcosa che oggi rifarei in modo diverso. Ma c’è così tanta passione, c’è tutta la fame e la voglia che avevo di cogliere la mia chance di scrivere una serie a fumetti. Ci ho messo il cuore in quella serie, tutto quello che avevo, ed è la serie che mi ha dato tutta la mia carriera, e quindi ne sono ancora molto orgoglioso. Se la leggi puoi vedermi mentre imparo a scrivere, a raccontare una storia. Man mano che la serie procede e io e Guéra impariamo a lavorare insieme, e puoi notare quanto amo quei personaggi, per me è stato chiaro da subito che sarebbe ruotato tutto intorno ai personaggi. Scalped non è mai stata una serie che dovesse colpire per le dinamiche di trama, se non ti piacciono i personaggi non ti viene voglia di continuare a leggerla. Così mi sono concentrato su loro, sul raccontare la storia dal loro punto di vista, e ancora oggi li amo. Di tutti i personaggi di cui ho scritto negli ultimi 20 anni, non ce ne sono tanti che posso dire mi manchino, ma lo direi dei personaggi di Scalped.

 

Un aspetto che mi incuriosisce è il lavoro che hai svolto sul linguaggio in Scalped, con quelle parti in lingua Lakota. Come hai fatto? Avevi un consulente? E come mai hai deciso di non tradurle nemmeno in nota?
Non avevo alcun consulente, nessuno che mi aiutasse, almeno all’inizio. Usavo dei dizionari di lingua Lakota, prendevo frasi da altre cose che avevo letto. Più tardi alcuni fan Lakota della serie hanno iniziato a farmi segnalazioni, ma all’inizio ero da solo. Per me era importante che i personaggi parlassero la propria lingua, anche più della totale comprensione del testo da parte dal lettore.

 

L’attenzione al linguaggio è una costante del tuo lavoro, dall’uso del Lakota in Scalped allo slang di Southern Bastards, fino ad arrivare ai toni epici di Thor. Quanto tempo dedichi a questo aspetto?
Non saprei, è una buona domanda… Per me il dialogo è una parte decisamente importante del processo di scrittura, è una delle prime cose che faccio. Scelgo i momenti più importanti, che siano scene d’azione o particolarmente emozionanti, faccio un rapidissimo sketch e mi metto a scrivere i dialoghi. A volte è proprio il dialogo a dirigere il flusso della narrazione, lavorare in maniera opposta mi riesce più difficile. I dialoghi mi aiutano a capire di quante vignette ho bisogno sulla pagina, quali sono i momenti su cui voglio concentrarmi.

 

Sei nato e cresciuto in Alabama. Come è stato accolto Southern Bastards dai tuoi amici e dalla tua famiglia?
Beh, mia madre è sempre stata la mia più grande fan, quindi è probabilmente l’unica bisnonna di tutta l’Alabama che abbia letto ogni singolo albo di Southern BastardsThe Goddamned e qualsiasi cosa abbia mai scritto. Penso sia una cosa strana per me: scrivo fumetti da 20 anni, i miei amici e la mia famiglia sanno qual è il mio lavoro e sono felici per me, ma la maggior parte di loro non necessariamente legge quello che faccio. Persino la mia compagna ha letto tantissima delle mie serie ma non quelle che ho fatto quando non stavamo ancora insieme, come Scalped e Thor. Ovviamente ciò che faccio è parte di ciò che sono, se mi leggi mi conosci. Scrivere è forse il modo in cui principalmente riesco a relazionarmi col mondo, mi riesce più facile scrivere che parlare, ma allo stesso tempo sono felice di avere alcune persone nella mia vita con le quali posso essere semplicemente una persona e non un autore.

 

C’è qualche possibilità che possa completare Southern Bastards?
Lo spero, ma continua a essere un’opera con lavori in corso…

Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron
Una tavola estratta dalla nuova serie delle Tartarughe Ninja scritta da Jason Aaron

Un’altra costante delle tue opere è la religione, la esplori in molti modi diversi. Sei cresciuto come un battista del Sud e alla fine hai scritto personaggi come il Macellatore di Dei e una serie come The Goddamned. Che rapporto hai oggi con la religione?
Credo sia lo stesso che ho avuto negli ultimi 30 anni. Sono stato ateo per la maggior parte della mia vita, ormai, ma resto affascinato dalle storie raccontate dalle religioni. Penso si noti in molto di ciò che ho fatto. Anche l’idea di fede penso che attraversi tutto il lavoro che ho fatto su Wolverine nel corso di sei anni. All’idea di merito e a cosa renda buono un dio ho dedicato un centinaio di numeri di Thor. E sono temi su cui continuo a tornare. Alla fine, come ho già detto, scrivere è solo un modo per portare avanti una conversazione. Queste sono le cose che ho dentro, che mi rimbalzano in testa e rendono pesante il mio cuore in un modo o nell’altro, cose che amo o che odio, in entrambi i casi si fanno spazio nella conversazione.

 

Ho letto che una volta James Elroy ti ha consigliato di non scrivere di ciò che sai ma di ciò che vorresti leggere. Le tue opere però sono anche piene di quello che conosci, voglio dire, sicuramente è quello che vorresti leggere ma c’è anche tanto di te stesso.
Certo. Ma sai, se guardi le prime due cose che ho fatto nei fumetti è tutto molto chiaro: ho cominciato con una miniserie sulla guerra del Vietnam e poi ho fatto Scalped, e io non sono un reduce del Vietnam né sono un nativo americano. Quindi sicuramente quell’autore non ero io che raccontavo di qualcosa che conoscevo ma che scrivevo una storia che mi interessava, da cui ero affascinato. L’idea è: ok, scrivi per te stesso, ma non scrivere di cui pensi di dover scrivere, non cercare di chiuderti in una scatola, ma scrivi di ciò che vorresti leggere, di qualcosa che pensi non esista ancora e dovrebbe esistere, e racconta quella storia a te stesso. È quello che ho fatto per tutta la mia carriera, non sarei mai capace di scrivere per qualcun altro o di andare a cercare un determinato audience. E sì, è vero che puoi vedere tanto di me in ciò che scrivo, ho appena fatto C’era una volta alla fine del mondo, che in Italia è pubblicato da BAO, e c’è tantissimo della mia storia in quel fumetto, ma spero anche di aver fatto un sacco di cose diverse nel corso della mia carriera.

 

Ok, parlando di Thor, com’è stato vedere il tuo lavoro e quello di Esad Ribic sullo schermo?
È stato bello, tutta l’esperienza lo è stata. Sono stato un po’ coinvolto nello sviluppo, ho parlato con Taika Waititi. Quello che hanno fatto nel film è molto diverso dalla mia run, ha un tono completamente diverso. Per esempio la storia di Jane Foster nel fumetto è molto lunga, costruita sull’emozione prima che si arrivi a quel tipo di morte in La Potente Thor. Voglio dire, io ho pianto mentre scrivevo l’albo in cui lei muore, ho pianto quando ho visto i disegni di Russell Dauterman, e Russell ha pianto mentre disegnava. Bisogna prendersi del tempo per far montare quel tipo di emozione ed è difficile farlo nel corso di un film di due ore, soprattutto se devi aggiungere anche la parte del Macellatore di Dei. Quindi mi sarebbe piaciuto vedere una versione più lunga della storia di Jane Foster, perché credo sia una delle cose migliori che ho scritto durante il mio periodo alla Marvel. E sono molto orgoglioso anche della parte del Dio del Tuono e del Macellatore di Dei. Ma è stata una bella esperienza, e più del film la mia cosa preferita è stato vedere cosa è accaduto poi: la gente che andava al McDonald’s per prendere l’Happy Meal con la Thor di Jane Foster, e sai, ho ancora la figurina Lego di Gorr il Macellatore di Dei poggiata alla mia scrivania. Vedere quei personaggi ovunque, le bambine vestite da Jane Foster a Halloween, questo per me è stata la cosa migliore.

Lifestyle: I più letti