Per la rubrica "Dimmi 5 vini" vi proponiamo 5 champagne, tutti a base Chardonnay, provenienti da 5 territori molto diversi tra loro, tra la Cote de Blancs e l'Aube. Validi compagni di viaggio nell'ultima notte dell'anno, per brindare a quel tanto o poco di buono che un anno molto complesso come il 2021 ci ha lasciato e celebrare con le persone che amiamo l'arrivo del 2022
Potevamo forse, a pochi giorni dall’ultimo dell’anno, non pubblicare un articolone con le bollicine da bere in vista del 2022?
Dico: potevamo? La realtà è che eravamo lì lì per fare gli originali, puntando tutto, per sorprendervi, sul cacchione di Aprilia e sull’ancellotta di Massenzatico, ma poi, all’ultimo, ci siamo buttati a capofitto su un grande classico delle feste: lo champagne. Perché rischiare in fondo e uscire dall’area di comfort, quando possiamo godere dei benefici di una sincera omologazione?
Gente che si impone delle linee guida
Così, alla fine, nello spirito della nostra rubrica “Dimmi 5 vini”, abbiamo selezionato 5 bottiglie che vi faranno godere come solo una scimmia bonobo nel periodo di massima fertilità.
Qualcuno storcerà il naso… Ma come?!? Parliamo di oltre 34 mila ettari vitati, di più di 300 Cru (tra cui 17 “Grand” e 44 “Premier”) distribuiti in 4 macroaree (la Montagne de Reims, la Vallee della Marne, la Cote des Blancs e la Cote des Bar) e su per giù 4700 produttori/imbottigliatori e ci venite a dire che siete riusciti a scegliere 5 vini per la vostra micragnosa rubrica?
Accogliamo l’osservazione. Ci abbiamo pensato a nostra volta e abbiamo deciso di imporci alcune linee guida per restringere il campo. Abbiamo così puntato solo sui blanc de blancs, champagne a base di Chardonnay (ai blanc de noirs e ai blend penseremo magari un’altra volta), percorrendo idealmente quelle terre da nord a sud, soffermandoci su alcuni terroir, dalla Cote de Blancs all’Aube, che danno vita a vini con un carattere molto, molto, molto riconoscibile. E badate che uno non scrive tre “molto” di fila così, a caso. Il tutto, aggiungiamo, tenendo fuori le grandi maison (quelle, più o meno, le conosciamo già) e tenendo contenuto il prezzo (non aspettatevi miracoli: sempre di champagne si parla).
Per farlo, abbiamo scomodato uno dei più grandi esperti dell’orbe terracqueo : Mario Federzoni che, oltre a fondare Premier Italia, un’azienda specializzata nell’importazione di bollicine francesi, sullo champagne ha scritto una sfilza di libri (l’ultimo, “Champagne tra mito e realtà”, è uscito pochi giorni fa). Dopo un brainstorming durato settimane (anzi: mesi!!!) siamo riusciti ad arrivare a una sintesi.
Apprezzo il gesso
Prima di tutto, ricordiamo perché la Champagne è considerata così speciale, qual è la sua vera ricchezza, ovvero la conformazione del suo sottosuolo , ovvero la “craie”, in francese “gesso”, che, a queste latitudini, arriva a uno spessore di 200/250 metri. In lingua gallica la chiamavano, non a caso, “can pan”, ovvero “terra bianca”. Ebbe origine circa 70 milioni di anni fa quando al posto delle colline su cui si adagiano ora le vigne si trovava un mare poco profondo popolato di ostriche, ricci di mare, conchiglie e , attenzione al parolone di chi ne sa a pacchi, di belemniti (che non sono altro che dei calamari preistorici). Quando le acque si ritirarono, questi fanghi ricchi di gesso e fossili marini si solidificarono per dare vita a un terreno unico per la coltura della vite. Per una serie di motivi.
E’ innanzitutto un efficace regolatore termico: trattiene il calore di giorno per rilasciarlo di notte, mettendo la pianta nelle condizioni di “lavorare” molto più a lungo, aiutandola così a concentrare i profumi. Non è una questione secondaria, se consideriamo che la temperatura media annuale supera di poco i 10 gradi, con Reims, la capitale “commerciale” della regione, che si trova tra il 49esimo e il 50esimo parallelo, considerato il limite massimo per produrre vino di qualità.
Altro aspetto: il gesso, quando si trova in superfice come nella Cote des Blancs, ha la capacità di riflettere i raggi sulle piante. Le foglie funzionano un po’ come pannelli solari che, assorbendo la luce, scatenano al loro interno tutta una serie di reazioni che permettono all’anidride carbonica di trasformarsi in zuccheri. questi si concentrano in misura proporzionale alla quantità di luce che le viti esposte al sole riescono a immagazzinare nel periodo che va da aprile a settembre.
Infine, il gesso è caratterizzato da una grande porosità che lo rende una sorta di serbatoio naturale capace di trattenere l’acqua della pioggia per rilasciarla gradualmente, garantendo alle piante, anche nelle stagioni siccitose, un nutrimento costante. Non senza sforzo, però: assorbire l’acqua trattenuta dal gesso provoca nelle viti un discreto stress che favorisce l’equilibrio tra gli zuccheri, i diversi acidi presenti e le molecole responsabili dei profumi. Le vigne sono così: come tutti i grandi fuoriclasse, danno il meglio di sé sotto pressione.
"Dimmi 5 vini"
Archiviato lo spiegone, andiamo a vedere quali sono i nostri 5 vini, perché li abbiamo scelti e soprattutto qual è il legame con il territorio di cui sono figli.
1) Il primo vino viene da Chouilly, uno dei 6 Grand Cru della Cote de Blancs (la macroarea dedicata prevalentemente all’allevamento dello Chardonnay), grosso modo sempre gli stessi da quando, nel 1927, fu istituita, in base al valore commerciale dell'uva, la classificazione dei diversi comuni. Detto più prosaicamente, nei Grand Cru le uve costano esageratamente di più rispetto ai cru peripherique: l’anno scorso furono quotate la bellezza di 8 euro e mezzo al chilo.
Chouilly, dicevamo. Un territorio caratterizzato da uno strato di argilla, che sovrasta la craie, dalla presenza di moltissimi fossili marini e da un clima più caldo rispetto ad altri comuni. Dà vini rotondi, strutturati, molto gastronomici, di facile beva, piuttosto accessibili. Se avete questo in mente per la notte di San Silvestro, la cuvee Coste Beert di Pierre Legras non tradirà le vostre aspettative.
Sta senz’ pensier
2) Non poteva mancare il più celebrato Grand Cru della Cote de Blancs, Mesnil sur Oger, famoso tra le altre cose per il Clos du Mesnil, il leggendario vigneto di poco meno di due ettari di proprietà di Krug. Qui non c’è uno strato argilloso a fare da “cuscinetto”: qui la parte gessosa arriva subito. Dà vita a chardonnay molto asciutti, verticali, di grande mineralità, che spiccano per eleganza e che hanno il maggior potenziale di invecchiamento di tutta la Cote de Blancs. In questo senso, con un discreto rapporto qualità-prezzo, la cuvee “Les Coulmets” di Guy Charlemagne rappresenta un’espressione autentica di questo territorio.
Mitologico.
3) Altro Grand Cru: Avize. Anche qui sono le durezze a essere esaltate. Acidità, ma soprattutto mineralità non mancano, tanto da dover essere un po’ stemperate. Jacques Selosse, iconico produttore biodinamico che ha legato tutta la sua storia ad Avize, ci riesce “giocando” magistralmente con le ossidazioni. Altri adottano altre soluzioni. Pascal Agrapart, altro grande produttore legato da sempre a questo Grand Cru, ricorre sempre alla fermentazione malolattica (quel processo che trasforma l’acido malico in acido lattico) che porta a stemperare un po’ l’acidità e ad aumentare la morbidezza. Lo stile è franco, territoriale, con dosaggi sempre molto sobri. Abbiamo scelto “l’Avizoise” 2014. È il primo mono-cru dell’azienda, prodotto con due vigne vecchie di 65 anni. Champagne meraviglioso, ma non facilissimo da trovare.
Fortune favors the brave.
4) Ultimo grand cru della nostra lista. Parliamo di Cramant, una delle aree più interessanti. E’ stato uno dei primi villaggi a ottenere la qualifica di Grand Cru, per i suoi vitigni allevati solamente a chardonnay. Per un lungo periodo, si è prodotta una tipologia che adesso qui non esiste più, il Cremant de Cramant (una vocale in più o in meno e cambia tutto) uno champagne con una pressione minore in bottiglia: al posto delle classiche 6 atmosfere ce n’erano grosso modo poco più della metà, con l’effetto di ottenere una spuma soffice per un vino piuttosto morbido. Le cose nel tempo sono cambiate, perché dopo una controversia durata diversi anni, il termine “Cremant” venne tolto alla Champagne e riservato ad altre regioni, come l’Alsazia e la Borgogna. Tutto questo per dire che anche se il Cremant de Cramant è storia passata, qui si continuano comunque a produrre, anche per questo tipo di retaggio, vini caratterizzati da un’ elegante morbidezza, sostenuta però da una spina dorsale di grande freschezza. Cramant, grazie alla sua esposizione ideale, forse la migliore tra tutti i Grand Cru rappresenta una sintesi tra la grasezza di Chouilly e le durezze di Mesnil Sur Oger. La scelta del vino è ricaduta sul Blanc de blancs della cantina Delavenne, con uve provenienti al 100% da questo Grand Cru. Vino setoso all’impatto e teso in bocca. Lo definirei “didattico” per capire Cramant.
In medio stat virtus.
5) Abbandoniamo la Cote de Blancs adesso e ci spostiamo poco distante, a 60 km in direzione sud-est, nel Vitryat. Perché parliamo della zona più piccola di tutto lo champagne, con i suoi 480 ettari (non tutti vitati), in un’area prevalentemente collinare? Perché qui si producono champagne con un timbro molto diverso da quelli di cui abbiamo parlato finora e, anche in questo caso, con un legame molto stretto col territorio.
Il gesso che caratterizza la Cote des Blancs, infatti, cambia completamente e si trasforma in una marna grigio-verde caratterizzata dalla presenza di microalghe marine osservabili solo al microscopio, in grado di dare ai vini, qui meno strutturati che altrove, la piacevolezza di sentori molto marcati di frutta esotica. Sono quelli che caratterizzano il “Carnet de Leone” extra brut di Bolieu, realizzato con vigne di età superiore ai 40 anni e poi affinato in botti di rovere, con l’aggiunta di un 15% di vino di riserva.
Una da 0.75 non basta.
6) Chiudiamo con una bonus track, a nostro parere una vera chicca. Siamo nell’Aube, ultima frontiera della Champagne, in un'area con terreni completamente diversi, rispetto a quelli che abbiamo trovato finora. Il suolo, qui a sud, è più antico del gesso della Champagne del nord. I suoli sono fatti di argille e marne del cosiddetto Kimmeridge (quelle che si trovano anche a Chablis), caratterizzate anche in questo caso dalla presenza di tanti fossili marini. Nel sottosuolo, infatti, non si trova più il gesso, almeno non nella stessa misura in cui si trovava qualche km più a nord. E’ un territorio più simile alla Borgogna che allo Champagne: non a caso, questa è una terra di Pinot nero, non di Chardonnay. Con una sola eccezione, siorre e siorri: parliamo del villaggio di Montegueux, unica collina di gesso di tutta l’Aube con un sottosuolo di origine marina e un substrato di milioni di ostriche, ammoniti e micraster, una specie di riccio di mare preistorico. In questo comune, una sorta di enclave a vocazione bianchista, si produce uno chardonnay di grande complessità che non è esagerato definire “salato”, per la sua spiccata mineralità. Tra le tante realtà interessanti (e quasi tutte poco conosciute), abbiamo scelto la cantina Beugrand e il suo blanc de blancs non dosato, prodotto con vigne di 45 anni di età e un 50% di vini di riserva. Vino che, gli va riconosciuto, ci è stato segnalato dall’amico Andrea Silvello di “Top Champagne”, uno dei blog più seguiti dagli appassionati di bollicine. Mai consiglio fu più apprezzato.
Fuori dal coro.
6 champagne completamente diversi che hanno una cosa in comune: sono potenzialmente tutti ottimi compagni di viaggio per salutare con le persone che amiamo un anno difficile, faticoso e complesso come questo 2021.
Diteci cosa ne pensate e con quali vini celebrerete l’arrivo del nuovo anno. Ci trovate sempre all’indirizzo:
A votre santè!