Dal genio di Millar e Quitely, un'opera che si interroga su supereroi, politica ed economia ponendo questioni e senza dare risposte definitive
Da un grande potere derivano grandi responsabilità, ma fino a che punto queste responsabilità devono spingersi? La storia del fumetto supereroistico americano ha sempre relegato i suoi semidei in terra al ruolo di vigilantes: poliziotti armati di pugni potentissimi e delle migliori intenzioni sostanzialmente servi della nazione e qualche volta, per osmosi, del pianeta intero. Di rado, soprattutto nel loro primo mezzo secolo di storia, i comics si sono spinti sul terreno accidentato della politica e dell’economia.
La rivoluzione di Watchmen
Quel paradigma che vedeva i supereroi relegati sostanzialmente al mantenimento dell’ordine pubblico (e per via indiretta dello status quo politico e sociale) è stato messo in discussione solo a partire dagli anni ’70 in poi, toccando l’apice della critica e decostruzione della mitologia supereroistica con il Watchmen di Alan Moore, un’opera che ha completamente ribaltato l’approccio alla tematica. Negli anni a seguire, infatti, diversi autori (soprattutto britannici) hanno inserito la politica e l’economia all’interno dei loro fumetti.
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Supereroi alle prese con l'economia
Jupiter’s Legacy (Panini Comics, due volumi da 136 pagine e 18 euro ciascuno), recentemente trasformato in serie tv da Netflix, è il piccolo manifesto di Mark Millar sul ruolo e i limiti del supereroe. L’autore di Ultimate Avengers, accompagnato da un Frank Quitely in forma straordinaria, ritorna a far interagire i suoi personaggi con l’attualità e la storia, prendendo spunto dalle due grandi crisi finanziarie che hanno scosso gli Stati Uniti e il mondo: quella del 1929 e quella del 2008. In questo contesto, in un’America che sembra aver perso le sue incrollabili certezze liberiste, Millar fa agire un gruppo di umani che pare aver ricevuto un’investitura aliena per risollevare le sorti del Pianeta Terra, ma finisce per rivelarsi fondamentalmente inadeguata allo scopo.
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Agire o non agire
Jupiter’s Legacy impernia le sue dinamiche sulle opposte visioni di Sheldon e Walter Sampson, il primo incapace di dar forma all’utopia a cui deve il suo stesso alter ego, il secondo con ambizioni da Casa Bianca e convinto di avere in mano la cura perfetta per risolvere tutti i problemi del mondo. Se The Utopian è un fermissimo assertore del non expedit supereroistico, Brainwave al contrario pensa che le sue responsabilità debbano necessariamente spingersi oltre, indicando agli umani la retta via sottoponendoli a una dottrina ultra liberista che porti all’estremo tutti i principi e i valori cardine su cui si sono costruiti gli Stati Uniti d’America.
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La terza via
L’aspetto più interessante di Jupiter’s Legacy è che Millar non dà una soluzione, si limita a proporre un dilemma difficilmente risolvibile. Perché se è vero che gli uomini migliori non possono certo esimersi in piena coscienza da un impegno politico concreto, non è certo con la limitazione del libero arbitrio che si può migliorare la condizione dell’umanità. Per i super di Millar esiste, forse, una terza via, quella di un impegno concreto ma meno invadente, quello che solo una nuova generazione può portare avanti partendo dai problemi degli ultimi e non dagli interessi dei primi.