
I circa 200 miliardi concessi all’Italia dall’Unione europea sono un’occasione irripetibile per il rilancio del Paese, ma burocrazia lenta, deficit d’infrastrutture e di personale tecnico adeguato, rischiano di farli sfumare. L’analisi sulla situazione

L’Italia rischia di veder sfumare una parte dei circa 200 miliardi concessi dall’Unione europea con il Piano di recupero e resilienza. Per il rilancio del Paese si tratta di un’occasione unica, ma burocrazia e deficit di infrastrutture e di personale tecnico adeguato ostacolano le possibili soluzioni, col rischio di non riuscire a usare i fondi, sprecando così un’opportunità storica
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Finora l’Italia ha speso solo il 6% dei fondi ricevuti: sui 191 miliardi e mezzo del Pnrr, alla fine del 2022 l’Italia ne ha spesi solo 23. Come evidenzia Il Corriere della Sera, in realtà, al netto dei crediti d’imposta automatici per le imprese e l’edilizia, sono soltanto 10 miliardi su 168,4, con un tasso di attuazione del 6%
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Un secondo problema, sempre riportato dal Corriere della Sera, è la rata da 19 miliardi, ovvero la terza tranche dei fondi del Pnrr che riguarda i 55 obiettivi del secondo semestre 2022. La Commissione europea ha obiezioni su tre punti: le concessioni portuali, le reti di teleriscaldamento e i Piani urbani integrati (con riferimento agli stadi di Firenze e Venezia)
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Terzo problema sono le riforme troppo lente che vanno a bloccare i 27 obiettivi del primo semestre 2023, per un valore di 16 miliardi. A preoccupare è soprattutto il ritardo delle riforme di sistema, dalla giustizia alla concorrenza

Il quotidiano di Via Solferino spiega che “il fatto che la terza rata da 19 miliardi di euro sia in qualche modo sotto giudizio significa poco, non è questa la vera partita”. La Commissione porta pazienza, però vuole le modifiche chieste da Roma “entro la fine di aprile, e le vorrebbe una volta per tutte. In sostanza il governo ha 30 giorni di tempo per fare un check up e decidere quali progetti vanno modificati o addirittura espulsi dal Piano di ripresa e resilienza”

La trattativa con Bruxelles comporterebbe una rimodulazione dovuta al lievitare dei costi delle materie prime e alla consapevolezza che alcuni capitoli di spesa possono entrare in una fase critica e non essere attuati entro la scadenza, prevista a giugno del 2026. L’idea del governo sarebbe spostare alcuni progetti del Pnrr sui Fondi di coesione, che possono coprire appalti e programmi da mettere a terra entro il 2029. Si creerebbero così dei "buchi" nel Pnrr, con la speranza di coprirli dopo la sua scadenza e sotto altra forma

Nel frattempo si sposterebbero le risorse del Pnrr sui progetti fattibili entro la scadenza del 2026. C’è poi un problema delle competenze tecniche di cui tanti Comuni, soprattutto i più piccoli, sono privi. Per ampliare i loro uffici tecnici, il governo Draghi aveva stanziato 30 milioni, ma il relativo decreto è entrato in vigore solo un mese fa, mentre la previsione era di 15mila assunzioni entro fine dicembre 2022

La difficoltà nel trovare personale tecnico sarebbe influenzata anche dal compenso pari a 2.000 euro al mese per architetti, ingegneri, agronomi, esperti di diritto comunitario, ai quali tra l’altro si offre solo contratti a termine. Il risultato è che si presentano in pochi ai concorsi e molti vincitori poi rinunciano al posto

Il Corriere della Sera ha poi ricordato che il governo Draghi ebbe solo un mese di tempo, nella primavera del 2021, per mandare i piani a Bruxelles: “Inevitabile dunque che alcune delle incoerenze di oggi riflettano la fretta di allora”, come gli stadi di Firenze e Venezia che non hanno niente a che fare con la logica del Recovery, la sperimentazione del trasporto su gomma all’idrogeno che non sembra praticabile fino ai campi eolici off-shore nel Mediterraneo che non sono realizzabili a costi competitivi

Se quindi sostituire alcuni piani con altri sarebbe una soluzione adeguata, resta da capire come metterli in pratica. Seppur la Commissione europea non avvertirebbe molta concretezza da parte italiana nell’indicare nuove direzioni di marcia, il governo ha ancora un mese per riscrivere alcune parti del Pnrr
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