Pensioni, età d’uscita dal lavoro sempre più alta: si andrà verso i 70 anni nel 2067

Economia
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Introduzione

Nel corso dei prossimi decenni, i requisiti anagrafici per ottenere la pensione di vecchiaia subiranno un innalzamento graduale. Le proiezioni indicano che la soglia minima verrà portata a 69 anni nel 2050 e raggiungerà i 70 anni entro il 2067. Secondo le stime elaborate da Inps e Ragioneria generale dello Stato, e sulla base delle scelte introdotte con l’ultima legge di Bilancio, l’aumento dei limiti di età inizierà in modo progressivo a partire dal 2027. Ecco cosa sapere.

Quello che devi sapere

Collegamento con l’aspettativa di vita

L’aumento dei requisiti per il pensionamento è strettamente connesso al meccanismo di adeguamento automatico alla speranza di vita, che impone di modulare l’età di uscita dal lavoro in base alla durata media della vita della popolazione. In sostanza, più a lungo si vive, più tardi si potrà accedere alla pensione, poiché il sistema previdenziale deve ricalibrarsi su una maggiore permanenza in attività. Per il biennio 2027-2028, il governo ha già programmato lievi aumenti: nel 2027 l’età minima richiesta crescerà di un solo mese, nel 2028 di due mesi aggiuntivi, e nel 2029 si aggiungeranno altri due mesi. Questo meccanismo di adeguamento graduale sarà applicato in modo generalizzato, escludendo però le professioni considerate usuranti o gravose. Alla fine di questo percorso, la pensione di vecchiaia sarà raggiungibile a 67 anni e 5 mesi, mentre per la pensione anticipata serviranno 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne.

 

Per approfondire: Manovra 2026, le misure per i pensionati: dalle minime all'aumento dell'età dal 2027

L’allungamento della vita lavorativa

In questo modo si assiste a un progressivo prolungamento della vita lavorativa, che costringe la gran parte dei lavoratori a restare occupati più a lungo, con assegni pensionistici via via più ridotti. Solo una minima parte della platea, circa l’1,7% dei futuri pensionati, rientrerà nelle eccezioni riservate ai mestieri gravosi o usuranti. Tutti gli altri, invece, dovranno accumulare più anni di lavoro per ricevere trattamenti previdenziali inferiori. Secondo Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil nazionale, il governo ha di fatto cancellato ogni margine di flessibilità in uscita, non rinnovando strumenti come Quota 103 e Opzione Donna, quest’ultima già fortemente limitata di recente. In tal modo, conclude Cigna, si chiude definitivamente la possibilità per lavoratrici e lavoratori di andare in pensione prima dei parametri fissati dalla riforma Fornero.

 

Per approfondire: Pensioni, lavori gravosi e usuranti esclusi dall’aumento d’età nel 2027: ecco quali sono

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Le stime Istat

Le stime congiunte dell’Istat e della Ragioneria Generale dello Stato prevedono che, entro il 2050, l’età richiesta per la pensione di vecchiaia raggiungerà 68 anni e 11 mesi, sia per gli uomini che per le donne. Guardando ancora più avanti, nel 2067, la soglia potrebbe toccare i 70 anni. Ciò significa che, se le dinamiche demografiche e l’aspettativa di vita seguiranno i percorsi stimati, nei prossimi decenni l’uscita dal mondo del lavoro avverrà decisamente più tardi rispetto ai livelli attuali.

L’invecchiamento

Ma perché questo innalzamento? La ragione è legata al progressivo invecchiamento della popolazione italiana e al costante aumento della durata media della vita. Secondo le previsioni Istat, nel 2050 la speranza di vita alla nascita dovrebbe arrivare a 84,3 anni per gli uomini e 87,8 anni per le donne. Parallelamente, la quota di over 65 sul totale dei residenti crescerà dal 24,3% del 2024 a oltre il 34,6% entro il 2050. Questa trasformazione avrà due conseguenze principali: da una parte, un maggiore peso economico sul sistema previdenziale pubblico, che si fonda sull’equilibrio tra lavoratori attivi e pensionati; dall’altra, la necessità di prolungare la permanenza nel mercato del lavoro per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico nel lungo periodo.

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Aspettare tanto per andare in pensione

Per chi è attualmente in servizio, le proiezioni mostrano che l’opportunità di lasciare il lavoro intorno ai 67 anni, oggi considerata la soglia “standard”, tenderà a diventare progressivamente meno frequente o soggetta a requisiti più severi. Il graduale innalzamento dei limiti anagrafici comporterà che chi oggi ha tra i 40 e i 50 anni dovrà probabilmente attendere età più avanzate per accedere alla pensione, rispetto ai lavoratori ormai prossimi alla fine della carriera.

Le scelte attuali del governo

L’incremento dell’età pensionabile non riguarderà in modo uniforme tutti i lavoratori. La normativa attuale prevede deroghe e regimi speciali per chi svolge mansioni usuranti o particolarmente gravose, consentendo in alcuni casi di sospendere o posticipare l’adeguamento automatico legato all’aspettativa di vita. In pratica, chi ha alle spalle anni di attività fisicamente impegnative potrà mantenere requisiti più favorevoli rispetto ai dipendenti con carriere meno pesanti. Queste differenze introducono una distinzione chiara tra l’età pensionabile “teorica”, stabilita per legge, e l’età effettiva in cui ciascun lavoratore lascerà realmente il servizio. Il valore fissato dalla normativa rappresenta un punto di riferimento generale, ma la situazione personale, contributiva e professionale può determinare notevoli scostamenti nei tempi di uscita dal lavoro. Parallelamente, le più recenti riforme previdenziali stanno limitando o cancellando alcune vie d’uscita anticipate: al momento risultano infatti assenti dalla Manovra 2026 misure come Opzione Donna e Quota 103, che in passato consentivano un pensionamento prima dell’età ordinaria.

 

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