Cibo, il “costo nascosto” tra impatto ambientale e salute: il pane da 3 a 4,56 euro
EconomiaIntroduzione
Il vero costo del cibo va al di là di quello che vediamo sullo scontrino: ciò che viene prodotto per il mercato alimentare ha impatti sull’ambiente, sulla salute delle persone e sulla società in generale che vengono poi “pagati” dalla collettività. Basti pensare alla perdita della biodiversità legata alle pratiche di allevamento e coltivazione (cambi d’uso del suolo, intensificazione agricola e inquinamento diffuso), ai processi energivori, ai risvolti ambientali dei packaging, alle problematiche sanitarie legate a un’alimentazione scorretta.
Ha cercato di capire e monetizzare qual è il “costo nascosto” del cibo la startup green tech italiana Up2You, su commissione del Gruppo Food, con uno studio presentato in occasione dell’action tank Food Social Impact 2025. Dai latticini ai salumi, ecco cosa è emerso.
Quello che devi sapere
Il “costo nascosto” del cibo, l’indice Isfa
L’analisi ha preso in considerazione sette filiere chiave del mercato italiano ed europeo (bakery, pasta, conserve, surgelati, carni, latticini, ortofrutta), tentando di rendere visibili “le principali esternalità ambientali, sociali e di governance oggi esclusi dalla contabilità tradizionale”. Per farlo ha sviluppato l’indice Isfa (indice di impatto socioambientale delle filiere agroalimentari), che quantifica insieme gli impatti ambientali, sociali e di governance (ESG) di un prodotto lungo tutta la sua filiera, traducendoli poi in un unico valore monetario.
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Gli impatti principali delle filiere agroalimentari
In sintesi, ognuna delle filiere considerate dallo studio ha un impatto specifico che diventa “monetizzabile”. Si parla ad esempio della produzione di emissioni biogeniche, quindi metano e protossido, della gestione degli allevamenti e dei reflui, ricollegandosi alla questione climatica, per quanto riguarda carni e latticini. Per ortofrutta e conserve si fa riferimento particolare al fabbisogno idrico e alla “localizzazione in bacini soggetti a stress stagionali, con implicazioni per resilienza e pratiche irrigue”.
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I parametri, dai gas serra al benessere dei consumatori
Ecco quindi che Up2You ha preso in esame in tutto 13 “temi materiali” – cioè parametri – che poi sono stati valutati tramite un “indicatore di impatto specifico, privilegiando metriche standardizzate e scientificamente validate (es. da studi LCA o dall'OMS)”. Si tratta di:
- Benessere animale;
- Emissioni di gas serra;
- Rifiuti;
- Packaging;
- Consumo di acqua;
- Biodiversità;
- Fertilizzanti;
- Pesticidi;
- Salute e sicurezza sul lavoro;
- Pari opportunità;
- Salute e sicurezza dei consumatori;
- Benessere dei lavoratori;
- Condotta etica.
Lo yogurt
Sulla base dei risultati, è emerso ad esempio che ai 4 euro di prezzo medio per un chilo di yogurt al supermercato vanno aggiunti 2,61 euro di ISFA, per un totale di 6,61 euro e un aumento del 65%. I driver principali sono impronta GHG (gas effetto serra), impatto dei pesticidi, benessere animale.
Il prosciutto cotto
Se il prosciutto cotto costa al chilo 22 euro, il suo ISFA è di 4,52 euro. Totale 26,52 euro e aumento del 27%. Driver principali: impronta GHG, benessere animale, nutrienti e mangimi (eutrofizzazione).
La passata di pomodoro
La passata di pomodoro passa da 2,90 euro a 4,38 euro (+1,48 euro; +51%). Driver: biodiversità ed ecosistemi, consumo di acqua blu, condizioni lavorative.
Il pane bianco
Il pane bianco passa dai 3 euro al chilo a 4,56 euro (+1,56 euro; +52%). Driver: Biodiversità ed ecosistemi, impronta GHG e salute dei consumatori.
La pasta
Per la pasta di va da 1,62 euro a 2,30 euro (+0,68 euro; +42%). Driver: impronta GHG, impatto dei fertilizzanti, consumo di acqua blu.
I piselli surgelati
E ancora, i piselli surgelati partono da 4 euro e arrivano a 4,80 euro (+0,80 euro; +20%). Driver: impronta GHG, impatto dei fertilizzanti, condizioni lavorative.
Le banane
Per le banane si differenziano quelle convenzionali da quelle Altromercato (la centrale di importazione del commercio equo e solidale). Le prime passano da 2,50 euro a 3,31 euro (+0,82 euro; +32%). Le seconde da 2,80 a 3,32 euro (+0,53 euro; +19%). I driver sono nel primo caso impatto dei fertilizzanti, condizioni lavorative e impronta GHG, nel secondo solo i fertilizzanti.
Le differenze tra filiere e i principali costi esterni
Dall'analisi, si legge nel report, “emerge una chiara distinzione tra le filiere più lunghe e quelle più brevi, come quella dell’ortofrutta o dei surgelati”. I prodotti come prosciutto cotto e yogurt sono quelli che “presentano i valori di true price gap più elevati in termini assoluti”. Il motivo sta nella “maggiore complessità delle fasi di processing dei prodotti, nonché all'indicatore del benessere animale, non influente per filiere totalmente vegetali”, senza dimenticare i gas serra, “significativamente più alte a causa dei processi digestivi degli animali e della produzione di mangimi”. Si citano poi biodiversità, uso di fertilizzanti ed emissioni di gas serra come “le principali fonti di costo esterno”, portando l’esempio del pane bianco e della passata di pomodoro, su cui gli impatti su biodiversità ed ecosistemi sono tra le voci più rilevanti. “Importante” anche la salute dei consumatori. In ogni caso, in termini relativi, “l'aumento percentuale del prezzo è elevato per tutte le filiere, superando il 40% per quasi tutti i prodotti analizzati, a dimostrazione di come i prezzi di mercato siano sistematicamente disallineati dai costi reali sostenuti dalla società e dal nostro pianeta”. Medaglia d'onore ai piselli surgelati, che “mostrano un aumento relativo inferiore alla media (20%), grazie a impatti contenuti su quasi tutte le dimensioni": la filiera delle verdure surgelate s"i dimostra quindi come una categoria “pronta” per un posizionamento positivo di sostenibilità nei retailer”.
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